Acque addormentate
Voglio saltare nell’acqua per cadere sul cielo. (Neruda)
Janette non parlava. Aveva dieci anni, ma non parlava, viveva dal di dentro senza che mai fosse possibile un contatto con il mondo esterno. Ogni tanto fissava le cose e pareva che pensasse, nascosta nelle pieghe della sua mente.
I genitori la osservavano con apprensione e ormai non speravano più che le cose cambiassero.
La diagnosi era stata categorica
Si consolavano vedendo che la bimba era serena; affascinata dalla natura camminava nei prati intorno a casa e spesso si fermava presso il laghetto delle anatre. Stava ore a fissare l’acqua come
ipnotizzata. La madre non capiva cosa la incuriosisse tanto.
A volte le si metteva alle spalle e guardava insieme a lei, ma vedeva solo una laghetto limaccioso, con canne lacustri, qualche rana e qualche anatra. Forse le interessavano quelle.
Nessuno poteva sapere che Janette nell’acqua inseguiva le nuvole; le spiava entrare in acqua e riflettere sé stesse mentre le loro ombre si allargavano come un mantello che protegga un corpo.
Si incuriosiva, non capiva come mai le nuvole avessero il potere di cambiare il colore delle cose; in cielo erano bianche, pannose, morbide ma quando si tuffavano nel laghetto diventava tutto scuro.
Janette aspettava con fiducia di scoprire se le nuvole alla fine avrebbero imparato a nuotare come le anatre. Era curiosa e paziente; avrebbe spiato il miracolo fino alla fine dei suoi giorni. Le nuvole invece risorgevano dal laghetto e riprendevano a volare.
La bambina non parlava, ma pensava; arroccata nel suo mondo profondo, si domandava se le nuvole e le anatre fossero parenti. Tutte entravano nel laghetto e tutte sapevano volare.
Vedeva la mamma anatra insegnare ai piccoli come entrare in acqua e questi subito erano felici; avrebbe voluto far sorridere anche le sue amiche nuvole e che si divertissero come i piccoli anatroccoli.
Decise che sarebbe stata la loro mamma .
Aspettò che una piccola nuvola comparisse nel cielo e si riflettesse nelle acque, poi si spogliò mettendo i panni in ordine sulla sponda. Se avesse avuto freddo avrebbe usato il mantello della nuvola per coprirsi, sapeva che non c’era rischio che si sciogliesse come fa la lo zucchero nel latte.
Entrò in acqua senza paura, sperando di non spaventare quella piccola nuvoletta; con le mani cercò di afferrarla per accarezzarla e sorreggerla, ma lei si spostava sempre più verso il centro del laghetto.
L’acqua ora era alta e Janette non toccava più il fondo; un poco si spaventò, ma poi riuscì ad agguantare l’orlo della nuvola e lì rimase aggrappata sperando che alla fine sarebbe volata via portandola in salvo.
La nuvola era troppo piccola ed inesperta.
Janette la perdonò e rimase sul fondo a guardala andare via, poi chiuse gli occhi e l’unica compagnia fu per sempre il suo corpo muto.