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Luca Curatoli
Alfredo Canovi
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Alfredo Canovi
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MessaggioTitolo: estratto   estratto Icon_minitime13/5/2011, 15:33

Reggio nell’Emilia; 8 Settembre 1988
Il pesante portone si chiuse fragorosamente alle spalle di Alfredo, la cornetta del nero telefono antico in bachelite venne tolta dal suo alveo naturale e posizionata sul tavolino, a gambe in su.
Dopotutto lei era arrivata e lui non voleva che qualcuno nella prossima ora potesse disturbarlo,
sentiva impellente la necessità di appartarsi con lei, non credeva ai propri occhi, dopo averla tanto desiderata era lì, così austera nella sua statuaria bellezza che pareva volesse sfidarlo apertamente a compiere la prima mossa.
Lui, quasi intimidito da tanta alterigia, le girava intorno, squadrandola attentamente da ogni prospettiva per ammirarne le curve sinuose, le perfette proporzioni, il suo inimitabile colore bruno.
Dopo questo primevo rituale di corteggiamento a distanza, questa sorta di balletto d’amore le si avvicinò e con la mano tremante per la trepidazione cominciò ad accarezzarla.
Un piacevole brivido di lussuria lo pervase quando sotto i suoi sensibili polpastrelli sentì la sua calda e vellutata superficie e quasi gli parve di sentirla fremere al suo tocco.
Ovunque adesso, morbosamente, le sue mani si muovevano per cercarla in ogni anfratto più recondito, in ogni dove, ma soddisfatto si soffermò a lungo sulla sua schiena color cioccolato al latte.
Solo a questo punto si rese finalmente conto che lei era sua, soltanto sua.
Le si parò davanti e lentamente abbasso il legnoso ostacolo che nascondeva ai suoi occhi la parte di lei che più lo faceva impazzire.
Dopo di che estrasse lentamente,con lenta dolcezza, il primo tiretto in noce e subito dopo il secondo, poggiò delicatamente il piano della ribalta su di essi, estasiato fissò lo scarabattolo che si mostrava a lui in tutto il suo splendore di autentico capolavoro costruito oltre quattrocento anni fa da un maestro ebanista di indubbia capacità ma di minor fama, visto che non aveva lasciato da nessuna parte un indizio sulla sua identità.
Solo la ribalta in sé, l’oggetto del desiderio di Alfredo, tramandava ai posteri con la sola presenza una fenomenale capacità di falegname.
Si allontanò ancor più da lei per poterla fissare con la calatoia aperta, ed ancora non si rendeva conto che finalmente possedeva una ribalta a bureau della fine del diciassettesimo secolo, veneziana e quindi molto proporzionata anche se ricercata e leziosa, gradevolmente lastronata in radica di noce, che il tempo e le cure esperte di anziane e canute perpetue avevano trasformato, donandole un caldo colore tra il bruno ed il ruggine, con le corte e fitte venature ricalcate in nero che si stagliavano da una liscia superficie con ondulate variazioni di tono.
Adesso Alfredo, raccolto in contemplazione del preziosismo oggetto non rimpiangeva più i cinquanta milioni di lire che aveva dovuto sborsare, anche perché sapeva perfettamente che il suo valore commerciale era molto più alto, ma non era soltanto una questione economica, dopotutto l'amore e la passione non hanno prezzo.
Dalla distanza in cui si trovava poteva ammirare l’elegante piede a mensola sovrastato da grosse e elaborate cornici costruite sempre in massello di noce, sul quale poggiava l'elegante corpo del mobile, munito di quattro cassettoni mossi con un motivo a onda accentuato il giusto perché non scadesse nel volgare, e sopra, separata da una ulteriore cornice la parte rastremata al cui interno un elegante scarabattolo a castello disegnava perfette geometrie accuratamente studiate.
Era concepito come il frontale di un nobile palazzo, con tre file di quattro cassettini ognuna che digradavano in profondità ed altezza, elegantemente lastronati in olivo e riquadrati da semplici ma consone cornici.
Sopra di essi, nella parte centrale quattro colonne intagliate a tutto tondo con relativi capitelli in stile corinzio creavano tre splendidi vani, divisi gli uni dagli altri con una esile paratia in legno e sovrastati da tre volte, come a disegnare una trifora romanica.
Per ultimo, nella parte alta imponenti cornicioni simulavano la trabeazione tipica dei sottotetti dei manieri rinascimentali.
Non era soltanto la intima bellezza dell’oggetto in sé che attraeva il giovane antiquario, sapeva bene che la ribalta era sempre stata in una canonica della provincia reggiana, sempre a contatto con preziosi segreti da custodire gelosamente, e nonostante non ne fosse assolutamente sicuro, come non lo si è mai riferendosi alla fortuna, in cuor suo sentiva che il superbo mobile nascondeva qualcosa.
Con mano attenta tastò ogni superficie dello scarabattolo alla ricerca dei “segreti”, i cassettini o gli interstizi nascosti in cui gli antichi proprietari celavano i loro piccoli tesori, picchiettò con le nocche delle dita sulle pareti per controllare se il rumore “suonava a vuoto”, indizio di una interessante cavità, tirò con delicata forza tutte le sporgenze e spinse con vigoria i piani per vedere se scorrevano verso l’interno.
Nulla. Allora con un intuizione felice tolse il primo dei quattro cassetti del robusto corpo della ribalta e con la mano tastò sotto il cornicione che separa detto corpo dalla parte rastremata. Un sussulto. Le punte delle dita tastarono un pezzo di metallo dove non avrebbe dovuto esserci nulla, ecco trovata la molla, con forza spinse finché la chiave rientrò verso l’alto accompagnata immediatamente da un “Tlac” metallico, alzò lo sguardo e notò che la prima delle quattro piccole colonne si era spostata notevolmente in avanti, lasciando trasparire dietro di sé un rustico cassettino in legno bianco alto e stretto quanto la colonna.
Lo estrasse con trepidazione ma subito si accorse che era vuoto, troppo minuscolo per contenere qualcosa di prezioso, deluso fece rientrare il cassetto nella sua fessura e spinse con decisione per incastrarlo nuovamente nella sua sede, questa mossa ottenne un effetto imprevisto, un altro scatto, ben più rumoroso del precedente e l’imponente trabeazione ebbe uno scossone, portandosi in avanti di alcuni centimetri, dimostrando con orgoglio di non essere solo un mero e decorativo orpello.
Alfredo prese la struttura con la punta delle dita e la tirò verso di sé, scoprendo un ulteriore cassetto segreto
Diversamente dal precedente però questo conteneva qualcosa, avidamente Alfredo scrutò all’interno e subito il suo sguardo fu attratto, come succede a quello di una gazza ladra, da uno strano luccichio … Estrasse ulteriormente il nascosto segreto e poté cosi ammirare meglio ciò che il suo occhio aveva intravisto, un prezioso rosario con la catenella in argento ed i grani in madreperla facevano da corona al crocefisso d’oro massiccio che lo decorava, mentre in un altro angolo del cassetto alcune medaglie e monete dei più svariati metalli facevano bella mostra di sé.
Nascosto nell’angolo più scuro del cassetto, un cencio un tempo bianco ricopriva qualcosa di quadrato, come lasciava intravedere l’ormai grigiastra custodia, costretta da stretti legacci in semplice corda annodati al centro del frontale.
Di punto in bianco i preziosi oggetti trovati fino ad allora persero d’importanza, la curiosità tipica di tutti quelli che fanno il nobile mestiere di ricercatore e commerciante di oggetti antichi prese il sopravvento.
Con lo stomaco che si contorceva per l’emozione destò dal suo lungo torpore il pacchetto e lentamente, quasi con sacralità, lo liberò dalla sua costrizione, svolse il panno grigio alzandone prima un lembo e poi il seguente, infine sollevò la copertura finale.
Fu così che davanti ai suoi occhi si mostrò un libro, decisamente molto antico, con la copertina in pergamena incartapecorita dal tempo che mostrava anche alcuni forellini rotondi, risultato del prezioso pasto di qualche piccolo parassita affamato.
Incuriosito Alfredo apri la copertina e nella prima ingiallita pagina un frontespizio, rigorosamente scritto da mano di uomo, declamava il titolo e la data di produzione del piccolo tomo: “La vita di San Galgano “ - 1777 che riuscì a tradurre da una stravagante ed arzigogolata grafia.
Scorse le pagine del libro fittamente punteggiate da parole in lingua latina che non riusciva minimamente a comprendere, cercando ad ogni capoverso la presenza di quei delicati ricami, alcuni finemente colorati, che venivano disegnati dagli amanuensi come abbellimento estetico, cosa che avrebbe aumentato di molto il valore dell’antico manoscritto.
Purtroppo non ve ne era traccia, ma nel rigirare sotto i pollici le giallastre pagine trovò una busta chiusa, decisamente molto meno antica, ma indiscutibilmente interessante.
Era stata diligentemente sigillata ma non viaggiata, non aveva alcun bollo attaccato e nemmeno il timbro di qualche ufficio postale, semplicemente nascosta in quel libro e dimenticata nel fondo di un cassetto segreto di un mirabile bureau veneziano del diciassettesimo secolo.
Per qualche attimo Alfredo esitò a forzare i lembi della busta, gli pareva quasi di profanare la memoria di una persona sconosciuta, di carpirne i segreti più intimi scritti in un’epistola volutamente nascosta.
Ancora una volta però la sua innata curiosità vinse sui sentimenti, da una vecchia scrivania in rovere poco distante, costruita in un’industria inglese di inizio secolo prese un logoro tagliacarte senza più lama, infilò la punta arrotondata nella stretta asola sopra il lato ripiegato e gommato e lo squarciò, dal bordo aperto e seghettato estrasse tre fogli piegati in quattro, tutti scritti in microscopici caratteri stilati da una mano frettolosa, gettò la busta nel cestino, dispiegò la missiva e cominciò a leggere avidamente:
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Luca Curatoli
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime19/5/2011, 14:22

il racconto - se di racconto si tratta - inizia con una trovata forse tirata un po' troppo per le lunghe a descrivere il gusto, non si sa se del protagonista o di chi scrive. e birichino il taglio scelto di questo tuo estratto...

per il resto benvenuto in questa casa.
buttati che è morbido! dice una pubblicità. a presto
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Franca Bagnoli
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime20/5/2011, 06:53

Interessante e avvincente. A me, che sono curiosa e amante degli oggetti antichi, ha deluso la fine: avrei voluto leggere quella lettera. Ma è un problema mio e, tutto sommato, il mistero lascia la fantasia sbizzarrirsi in varie direzioni. Si, buttati. E' morbido anche se disabitato da tanto tempo.
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Alfredo Canovi
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime20/5/2011, 09:14

Buongiorno cari Franca e Luca e grazie per il benvenuto, anzitutto intendo scusarmi per la mancanza di tempestività nel rispondervi, purtroppo (o per fortuna) questa è la settimana che precede la giornata di scambi mineralogici che annualmente si svolge nella splendida cittadina veronese di Soave, quindi tra il lavoro ed i preparativi questo periodo si è rivelato molto caotico, ma ora eccomi.
E' vero, l'Alfredo di questo mio piccolo interludio sono io, sono io quell'antiquario che accarezzava delicatamente la superficie del mobile descritto, come altresì di una infinità di altri, infatti mio padre ed io per svariati anni siamo stati ritenuti gli antiquari più competenti della provincia di Reggio Emilia ( ovviamente molto di più il mio illustre genitore) fino a che la vita mi ha condotto lontano da lui con altri interessi ed obblighi, quindi quel pezzo è stato una sorta di deja vu, al quale ho aggiunto un sogno che tutti gli antiquari hanno, quello di reperire in un qualche mobile antico un tesoro, nello specifico una missiva nascosta che aprirà ad Alfredo le porte di uno dei più antiche misteri della storia dell'uomo…ma questa è un'altra storia.
Vi rinnovo i miei saluti ed i ringraziamenti.
Alfredo
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Franca Bagnoli
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime20/5/2011, 10:00

Allora, caro Alfredo aspettiamo l' altra storia. Sai, mio padre conosceva un antiquario che comprava le travi di antiche chiese che ristrutturavano il soffitto. Con quel legno antico realizzava dei mobili bellissimi su disegni di mobili antichi, li vendeva agli antiquari di una famosa via di Roma che li rivendevano come originali. Ciao. A presto.
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime20/5/2011, 20:38

Cara Franca, per il continuo della storia sarà un mio piacere che Lei la legga e la valuti.
Tenga conto però solo di una cosa, come ho già scritto quello di romanzare è un piacevole svago, normalmente scrivo, per passione, di argomenti e su siti che approfondiscono concetti filosofici, nella fattispecie i processi che conducono le persone a cadere vittime di aspetti propagandistici, quindi in qualche modo deleteri.
Il mio stile di scrittura a volte pare, anzi è, eccessivamente semplice perchè spiegare determinati concetti a tutti non è facile, per cui Le parrò troppo diretto e duro nei periodi, magari sbagliando punteggiature e quant'altro; di ciò ovviamente chiedo venia.
Per quello che riguarda l'antiquariato devo dirle che tutto il mondo è paese, mio padre cominciò questo lavoro all'inizio degli anni cinquanta vendendo piani di tavoli dell'ottocento a rstauratori fiorentini che ne ricavavano dei "fratini" del 1500 e 1600, però, mi creda il modo di distinguere i mobili realmente autentici e non ricostruiti con legname vecchio esiste, non è facile, il sistema me lo insegnò mio padre decenni fa, ma esiste.
Il "Buon antiquario" ancora c'è.
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Franca Bagnoli
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime20/5/2011, 21:11

Grazie, Alfredo della spiegazione. Credo anche io che l' antiquariato serio esiste. Io ho dei bei mobili realizzati dall' artigiano di cui ti ho parlato. Sono fatti con le travi di Santa Maria in Trastevere. So che non sono dell' epoca ma sono molto ben fatti. Quanto allo stile la semplicità mi piace. Di solito evita gli equivoci. Detto questo ti prego di darmi del tu. E' vero che sono vecchia ma puoi sempre considerarmi tua nonna. Ciao. A presto.
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Emma Bricola
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime22/5/2011, 08:46

attendo il seguito. Benvenuto! Smile
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime22/5/2011, 21:00


…gettò la busta nel cestino, dispiegò la missiva e cominciò a leggere avidamente:
Don Pierino Bondi, Busana Reggio Emilia
Quello che segue è l’incredibile racconto dei fatti che mi sono accaduti dieci anni orsono, dei quali avevo giurato a Sua Santità di non fare parola con nessuno, per nessun motivo.
Ma adesso che sento la morte alitarmi addosso dal capezzale nel quale son esiliato ormai da un paio d’anni, credo di non avere la forza per portare nella tomba un simile segreto, né quantomeno intendo mancare alla parola data ad un così santo uomo, motivo per il quale alleggerirò la mia coscienza vergando di mio, tremolante pugno, gli avvenimenti incredibili ai quali ho preso parte e poi , lasciando guidare alla mano del destino gli eventi futuri, delegherò al mio caro amico don Trentino, che mi sta ospitando e curando da tempo, l’incarico di nascondere queste carte nel posto più sicuro che lui conosce, lontano da occhi indiscreti e se il destino lo riterrà opportuno questo diario verrà rivelato.
Ora amico caro leggerai di cose sconvolgenti, da parte mia posso solo aggiungere, che Dio abbia pietà delle nostre anime!
Immediatamente dopo questa lugubre introduzione, alcuni versetti della Bibbia:
Genesi 6:1
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli degli E-lohim videro che le figlie degli uomini erano belle e si accoppiarono con esse
Genesi 6:4
C’erano sulla terra i Nefilim a quei tempi -e anche dopo- quando i figli degli “esseri celesti” si univano alle figli degli uomini e queste partorivano loro dei figli, sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.
Qui la Bibbia si fermava , ma la storia veniva ripresa da un antico testo, il “Libro dei Vigilanti”, il cui autore fu l’Enoc biblico.
Libro dei Vigilanti 6:1-6
Ed accadde, da che aumentarono i figli degli uomini, che in quei tempi nacquero, ad essi, ragazze belle di aspetto. E i figli degli esseri celesti, i figli del cielo, le videro, se ne innamorarono e dissero fra loro:
“Venite, scegliamoci delle donne fra le figlie degli uomini e generiamoci dei figli”. E disse loro Semeyaza, che era il loro capo: “Io temo che può darsi che voi non vogliate che ciò sia fatto e che solo io pagherò il fio di questo atto”. E tutti gli risposero e gli dissero: “Giuriamo, tutti noi e ci impegniamo che non recederemo da questo proposito e che lo porremmo in essere”.
Alfredo era stato educato dalla madre Ebe come un buon cristiano, da bimbo prima e da ragazzino poi gli venne imposto dalla severa madre una frequentazione domenicale assidua e in aggiunta a questo riunioni settimanali di catechismo, ma rimase sorpreso alla lettura di questi versi.
Un ulteriore capoverso recitava:
Dal Mahabharata: “Gli esseri celesti volavano sulle loro aeronavi, come portati dalle nuvole, raggiungevano tranquillamente la loro meta: i luminosi Adita nel loro splendore, i Marut muovendosi nell’aria; gli alati Suparna, i Naga coperti di squame e i Gandharva famosi per la loro musica: a bordo di splendenti veicoli celesti, tutti insieme solcavano il cielo limpido e azzurro.
La sua conoscenza degli antichi “Veda” non era infallibile, ma un po’ come tutti i ragazzotti del suo tempo si era avvicinato, più per curiosità che per fede, alla cultura indiana, quella che ancora non si chiamava “New Age” ma che seguiva gli stessi principi, quindi fu abbastanza semplice per lui riconoscere negli appellativi vergati dall’anziano e moribondo prelato alcune tipologie di “Vimana”, cercò nella sua mente di richiamare tutte le nozioni che possedeva su questi misteriosi e vecchissimi oggetti volanti, ma un’ulteriore appendice lo tolse d’impaccio, nulla sembrava volesse sfuggire al controllo dello scrivente:
Con il termine sanscrito "vimana" vengono indicati misteriosi oggetti volanti descritti negli antichi poemi epici indù, dalle prestazioni del tutto superiori a quelle delle moderne astronavi. Negli antichissimi testi religiosi della filosofia indiana le astronavi venivano descritte come i mezzi di trasporto usate dagli “esseri celesti” durante i loro viaggi.
Sembrava davvero l’estratto da una enciclopedia, ma la domanda nacque spontanea, cosa avevano in relazione brani del vecchio testamento con quelli dei poemi vedici?
La curiosa missiva ora prendeva il contenuto di un diario su cui scorrevano veloci eventi passati da tempo.
Roma; 8 Settembre 1961
Sono finalmente arrivato a destinazione, gli emissari dei Musei Vaticani mi stavano già attendendo impazienti sulla banchina della stazione Termini ,dove il mio treno si è fermato intorno alle 18,30, mi hanno caricato immediatamente su di un’autovettura e portato al laboratorio di traduzione testi.
Immaginavo che mi avessero chiamato proprio per questo motivo, dopotutto sono il più grande esperto italiano in lingue antiche, soprattutto l’Aramaico ,che ho studiato all’Università di Pisa e perfezionato a Gerusalemme e in Palestina.
Arrivammo quasi di soppiatto al museo, entrammo da una porta di servizio e mi indicarono subito un bancone sul quale era posizionato un rotolo che ad un primo esame mi sembrò molto antico, anche se stranamente in ottime condizioni.
Immediatamente dopo mi raggiunse il cardinale Weiss, il capo-curatore della libreria vaticana, il quale si rivolse finalmente a me senza le maniere fastidiosamente severe dei suoi subalterni che mi avevano prelevato alla stazione, probabilmente guardie svizzere in borghese.
Quello che l’alto prelato mi disse mi sconvolse; praticamente mi mise al corrente che quel rotolo fu trovato un anno prima, durante alcuni scavi a Gerusalemme, in quello che la troupe di archeologi pensava essere le rovine del Tempio di Salomone.
Coperto da una massiccia grata interrata cinque metri più sotto il piano attuale degli scavi trovarono un corridoio istoriato da strani disegni che nessuno di loro riuscì a datare né a comprendere.
Proseguirono seguendo lo stretto passaggio per circa trecento metri quando una parete si parò loro dinnanzi per ostacolarne il passo; diversamente dal corridoio che era stato intonacato in blue e dipinto con strani geroglifici il muro era costruito con pietre grezze tenute insieme con della semplice malta, per cui l’équipe non ebbe rimorsi a abbattere l’ostacolo.
Oltre una stanza di venti cubiti per trenta con le pareti completamente rivestite di lamine d’argento, annerite dal tempo ma ancora di consistente spessore, il tetto perfettamente squadrato a formare un compiuto parallelepipedo con le pareti era invece affrescato con tenui colori che richiamavano quelli del cielo autunnale, un tromphe d’oeil, la famosa tecnica pittorica basata sull'uso del chiaroscuro e della prospettiva, che riproduce la realtà in modo tale da sembrare agli occhi dello spettatore una illusione della realtà.
Sbigottiti dalla stupefacente stato di conservazione del capolavoro gli uomini illuminarono con torce elettriche l’affresco, solo per rendersi conto che esso raffigurava un cielo nel quale si libravano decine di aeronavi dalle forme più diverse, alcune a forma di sigaro o di piatto, altre parevano triangoli altre ancora stretti rombi, al centro del dipinto murale però quella più grande non aveva una forma particolare, pareva più che altro la luce di una torcia rivolta direttamente verso gli occhi, i colori cangiavano continuamente , e pareva che persino la fatiscente sagoma non fosse mai uguale ogni volta che la si guardava.
Al centro della stanza, su di un piedistallo in bronzo troneggiava una struttura, una cassa in legno rivestita con lamine d’oro,con quattro piedini riportanti un’elegante tornitura a pigna, tipica degli arredi babilonesi.
Sopra il coperchio dotato di una imponente bugnatura a sarcofago si stagliavano in tutta la loro meraviglia due angeli intagliati a tutto tondo e dorati con incredibile maestria, inginocchiati l’uno di fronte all’altro protendevano in avanti le loro ali quasi a toccarsi le une con le altre.
Il richiamo all’Arca dell’Alleanza fu immediato e tra gli archeologi serpeggiò un’incredula euforia, alcuni di lor sembrarono riconoscere in quella stanza il “Sancta Sanctorum la segretissima cella sotterranea in cui i leviti collocarono l’arca per proteggerla dall’invasione avvenuta probabilmente nel 587 a.C. da parte del le armate babilonesi che sconfissero gli ebrei e li depredarono di ogni bene.
L’esaltazione purtroppo si placò pochi giorni dopo, dai risultati delle analisi al carbonio-14, che datarono la struttura al secondo secolo dopo Cristo, troppo giovane per essere il mistico reperto, restava comunque una scoperta straordinaria, una copia dell’arca era custodita gelosamente in quel luogo da chissà quanto tempo.
Il passo ulteriore, dopo averla portata al Museo di Tel Aviv fu quello di aprirla.
Con una delicatezza che rasentava la pavidità venne schiuso il forziere, al suo interno vennero trovati cinque papiri ed un gruppo di tavolette in argilla incise con caratteri cuneiformi, un papiro era in geroglifici egizi, uno in aramaico, uno in sanscrito, uno in ideogrammi cinesi antichi mentre uno incredibilmente più vecchio degli altri era in una lingua sconosciuta.
Gli esami al carbonio in questo caso diedero esiti sconcertanti, i quattro papiri e le tavolette vennero datate duemila anni prima di Cristo mentre il papiro misterioso venne posto a diciassettemila anni prima della nascita del redentore.
Quasi tutti gli addetti ai lavori saltarono sopra le loro sedie ad una simile notizia, increduli fecero ripetere gli esami a dieci diversi laboratori sparsi nel mondo, ma tutti, chi più chi meno, confermarono la prima datazione.
Allorché inviarono il rotolo per la traduzione nei più famosi musei del mondo ma di tutti gli esperti contattati nessuno fu in grado non solo di tradurlo ma di capire quale popolo l’avesse scritto.
Così, sia l’arca che i papiri furono mandati agli archivi dei musei vaticani, dove si trovavano tuttora.
Qui diversi esperti linguisti vennero chiamati per la traduzione degli altri plichi e con sorpresa venne scoperto che tutti cominciavano con le medesime parole, si ipotizzò così la sconvolgente conclusione che ognuno di loro fosse la traduzione ,nei più antichi idiomi terrestri del rotolo misterioso.
Decisero così che io e altri maggiori esperti in lingue morte decifrassimo al meglio ognuno il proprio rotolo di competenza, così da confrontare i risultati e decretare o negare la veridicità della teoria.
Questo il motivo per cui venni contattato, mi disse il cardinale, ed io incuriosito cominciai la sera stessa la mia opera di traduzione, durata in tutto quattro mesi di assiduo e continuo lavoro, affascinato, a volte impaurito da ciò che lentamente si stava svelando sotto i miei occhi.
La prima parte del rotolo conteneva l’implorante esortazione rivolta al Dio unico per far correttamente comprendere dai lettori lo scorrere lo scritto , il Proemio, una pratica molto in voga anche nella civiltà greca, il cui più importante esempio si ha a proposito dell’Iliade.
Nel rotolo questa parte consisteva in una invocazione alla potenza del Signore del Creato, e recitava:
“Lodate o popoli della terra, puri ed impuri, il Dio Unico, il sublime architetto dell’universo, il modo in cui l’ordine formale genera il tutto nel creato si esprime come frutto del suo pensiero divino, ciò che si crea e si evolve, lo fa seguendo quelle regole e quelle precise geometrie che, eoni orsono uscirono come un flebile soffio dalla sua bocca.
Le sue parole sono l’armonia che crea o distrugge gli universi, la sua suprema volontà regola la vita stessa come solo lui l’ha pensata ed ordinata”
Dopo questa richiesta lo scritto continuava:
“ All’inizio dei tempi c’era l’uomo primitivo; un essere selvaggio, brutale, ma diverso da tutte le altre specie animali, era tenace, caparbio e molto intelligente. Ignaro di tutto conduceva la propria esistenza cacciando e riproducendosi, abbozzando anche un tentativo di vita sociale, in millenni si era evoluto trasformandosi da un ominide goffo e peloso nel ben più elegante homo sapiens, aveva imparato a domare il fuoco ed a costruire utensili per i più svariati impieghi, ed era soddisfatto della sua vita, non aveva di meglio da chiedere alle proprie divinità che una caccia abbondante ed un riparo sopra la propria testa.
Non aveva ancora costruito le città, ma si era già riunito in clan familiari e vagava errabondo sia per le terre conosciute che intraprendendo sentieri mai battuti prima, seguendo le grandi mandrie di cervi, la cui carne gli forniva il nutrimento e le cui pelli gli permettevno di confezionare vestiti e di ricoprire le proprie misere capanne fatte con pali intrecciati, anche se non disdegnava nei mesi più freddi , di trovare riparo in una accogliente grotta.
Aveva già alzato lo sguardo verso il cielo ammirandone le stelle, già si era chiesto cosa esistesse in quegli ampi spazi, già si era domandato dove andassero a finire le anime dei loro parenti ed amici morti, già si era dato i principi di una, seppur primitiva, religione, adorava il sole che lo scaldava e l’acqua che lo dissetava, gli animali e le piante che lo sfamavano e l’aria che respirava.
Forse furono questi pensieri a richiamare gli dei, o forse i tempi erano già maturi per la loro venuta.
Così, un bel giorno, oltre tremila generazioni fa , gli Dei arrivarono , a bordo di una meravigliosa astronave madre, chiamata “Il Respiro dell’Universo”, un veicolo composto da una pura energia senziente, in grado di plasmare lo spazio intorno a se usando l’energia armonica del cosmo, la stessa forma di energia vibrante che ha dato luogo al Big Bang e che regola ed alimenta i movimenti dei miliardi di corpi celesti, finché esisterà , esisterà anche l’energia necessaria per muovere il tutto, gli dei chiamavano questa energia “Praah-na”,”ciò che permea ogni cosa.“
L’energia armonica è come il movimento della marea, in cui l’energia che essa rilascia deve essere bilanciata dall’energia che assorbe, in un costante moto perpetuo che rilascia la stessa energia che assume , alimentando l’intero universo; nemmeno gli dei sapevano da dove nasceva il “respiro che alimenta”, molti di loro sono convinti che provenga dall’entità suprema che ha creato e regola l’ immensità, Colui che ha creato le leggi universali del cosmo, come se Egli stesso fosse l’insieme di forze e leggi che predetermino il tutto.
Costui è il Dio degli dei, l’ordine supremo, la magnificenza infinita, incorrotto e corruttibile da nulla.
La maestosità del “Il Respiro dell’Universo” era incommensurabile, esso era la massima espressione della mistica scienza degli dei, non aveva una forma ben precisa non essendo stata costruita ma evocata, i suoi contorni erano indefinibili ed in costante mutamento , emanava bagliori e riflessi multicolori ed era traslucida come il corpo delle meduse, non si illuminava ma irradiava di luce propria il creato. Cambiava in continuazione tutto di se, la forma, il colore, i riflessi, ora la stavi ammirando, il tempo di un battito di ciglia e non era più dov’era prima, senza essersi mossa ma avendo mosso lo spazio intorno a lei, non è mai dove è già stata e non sarà mai dove si pensa potrà essere.
Le sue dimensioni sono grandiose, come dieci lune messe insieme, ma non attrae masse intorno a sé, né modifica minimamente la gravità o l’orbita dei pianeti con cui viene in contatto, è eterea ed inconsistente, pur avendo attraversato l’intero universo, incontrato tempeste magnetiche , attraversato campi di asteroidi grandi come galassie, sopportato l’estrema energia di una supernova o attraversato buchi neri. Era lì, ma anche non c’era!
A quei tempi il pianeta d’origine degli dei era un mondo agonizzante, le risorse esaurite, la vegetazione scomparsa, l’aria irrespirabile, nonostante tutta la loro magnifica scienza materica gli dei erano ormai costretti all’estinzione, la loro antichissima razza era debole, il loro declino deciso dal tempo inesorabile, ma alcuni di loro, i più nobili non si diedero per vinti; mille di loro, i maestri ascesi avevano, millenni prima intrapreso una strada diversa da quella meramente tecnologica, si erano concentrati sull’intima essenza dell’Universo, avevano trovato il sistema di vibrare alla sua stessa frequenza, avevano trovato la “Melodia celestiale del cosmo”, ed avevano ricreato le strutture necessarie per la loro salvezza, scoprendo le meraviglie della scienza universale..
La scienza mistica degli dei, umilmente posò lo sguardo sui misteri del loro Dio supremo, e con tutta la disperazione di un mondo che stava per estinguersi, riuscirono a strappare una singola, microscopica cellula del Tutto, il “Respiro dell’Universo”.
Ebbero così una possibilità di salvezza, anche se questa comportava un sacrificio estremo, quello del proprio corpo fisico, nulla di corruttibile si sarebbe mai avvicinato alla nave e quindi idearono una interfaccia neurale che trasmise ai computer organici della nave madre, le sue sinapsi ed i suoi neuroni, l’intima essenza di ciascun Elohim, il suo vissuto, i suoi ricordi, le sue speranze divennero un tutt’uno con la nave madre.
Nei millenni che seguirono la coscienza della nave e quella degli Elohim tutti divenne una cosa sola, in un processo di simbiosi sublime che si ebbe soprattutto con i mille maestri ascesi, ai quali insegnò, più che a tutti gli altri E-lohim i misteriosi segreti della mistica scienza.
Quando si trovarono a cento anni luce di distanza dalla terra udirono le preghiere degli umani; si avvicinarono e videro l’uomo nella sua incompletezza, così essi decisero che si sarebbero espressi attraverso di loro, che gli avrebbero insegnato la loro scienza e la loro meravigliosa religione, che si sarebbero presi cura di lui, così come il loro Dio aveva fatto con loro, consegnandogli con infinito amore una microscopica cellula di se stesso, il “Respiro dell’Universo.
Così gli Alieni, che avevano ribattezzato se stessi come E-lohim, i profeti , si avvicinarono al primitivo pianeta, ma per non incutere, con la presenza incommensurabile del loro essere, eccessivo timore all’uomo rimasero distanti, in un’orbita intorno al sole, come quella di un pianeta, raggiungendo la terra a bordo di navicelle chiamate Ghandarva, l’unico splendente ma incorporeo veicolo in grado di trasportare l’essenza, l’anima stessa degli “Dei”, superba estensione del potere della nave madre con cui i profeti poterono raggiungere la terra.
Il compito non fu semplice, subito si resero conto che la cosa era alquanto pericolosa, per se stessi ed anche per gli uomini; per se stessi perché un ritorno così prepotente alla perduta corporeità avrebbe causato una sorta di delirio di onnipotenza, una frenesia di sensazioni e sentimenti in grado di farli impazzire ed impedire così i ritorno entro quel periodo di tempo oltre il quale la fusione delle due essenze, dei ed umani diventa possessione.
Da parte sua l’uomo non addestrato sarebbe immediatamente impazzito nel sentire comprimere nella sua mente un’entità cosi potente come quella degli Elohim, con la conseguente atroce morte.
Per questo motivo i maestri ascesi scelsero i “maestri illuminati”, dieci Elohim selezionati per la purezza del loro animo e la trasparenza dei loro sentimenti.
Costoro per anni studiarono, pregarono il loro Dio e si addestrarono per non soccombere alle passioni ed ai desideri degli uomini, per mantenere quel distacco che gli avrebbe permesso il ritorno alla loro nave una volta compiuto il loro compito.
Anche dieci uomini e donne, i più puri e pii vennero scelti per prepararsi all’accoglienza dell’anima dei maestri immortali, i quali li avvisarono attraverso” l’Estasi”, lo stato che si ha quando lo spirito degli E-lohim sfiora l’essenza umana, richiamando al loro cospetto l’essenza dell’uomo, che nel proprio corpo terreno rimane in una specie di sospensione e sente la sua anima staccarsi dal corpo.
Mentre essa è a contatto con gli dei, questi indicano all’uomo quali misteri dover seguire per rendersi degni di divenire un loro profeta.
Cosi fecero, i dieci “maestri illuminati” si trasfigurarono nei loro degli degni “Ha-Vatara,, i “discesi” gli intermediari umani, tra l'Essere Supremo e i mortali”.
L’antiquario si stropicciò vigorosamente gli occhi, vistosamente provato dalla lettura, vuoi per la minutezza dei caratteri che richiedeva una attenzione particolare vuoi per il contenuto della stessa, che invero non aveva del tutto compreso ma che doveva essere qualcosa di estremamente importante e segreto, visto il mistero con cui era stato custodito, il primo foglio si era concluso, così, con una strana curiosità mista ad uno strano malessere nell’animo prese anche il secondo, ma prima di continuare la lettura accostò a se una poltrona in pelle vecchia ma molto comoda, sulla quale soleva distendersi quando la giornata si era rivelata particolarmente faticosa.
Alfredo si adagiò sulla poltrona in maniera scomposta, quasi distendendosi , accavallò le gambe e ripose sul ginocchio la lettera.
Soddisfatto della posizione ottenuta, sguaiata ma molto comoda. continuò la lettura:
L’aiuto da parte dei profeti all’umanità non fu solo di tipo religioso, per millenni insegnarono all’uomo i segreti della scienza mistica.
Era questa la scienza eterna, i profeti avevano insegnato che essa era la capacità che ogni uomo, senza distinzione di razza, pensiero o sesso, aveva di invocare le mistiche frequenza del cosmo e di farle scorrere entro di se, per unirsi al Dio Supremo e trarre dal suo respiro l’energia e la forza per vivere e intonarsi al mondo circostante.
I bisogni fisici venivano limitati all’indispensabile, e per questo non si mangiava carne di altre creature, per arrivare con gli anni ad annullare la propria corporeità edad ingigantire le capacità del cervello e dello spirito, ci si nutriva unicamente della sostanza adatta a questo, il nettare e l’ambrosia del creato, alimenti e bevande con le quali placare i sempre più flebili necessità corporee.
Con l’ausilio della mistica scienza le menti erano in grado di fare qualunque cosa, spostare grossi carichi da un posto all’altro, alimentare i poderosi velivoli che portavano le cose e gli uomini non ancora purificati da un posto all’altro.
Questo periodo è considerato in quasi tutte le religioni il “Periodo Aureo” una sorta di paradiso nel quale l’uomo viveva in perfetta armonio con ogni cosa del creato, poteva, attraverso l’anima dei profeti venuti dal cosmo, scorgere da lontano la superba magnificenza del Dio Unico, il periodo in cui gli “Dei” erano orgogliosi di noi, quarantamila anni attraverso i quali l’uomo e gli Dei crearono splendide città e lussureggianti giardini, quasi tutta l’umanità godeva della benevolenza dell’Universo.
Ma questo periodo felice era destinato a scomparire.
Non fece in tempo a posare su di un adiacente, basso tavolino accanto a lui la lettera che sentì bussare alla porta in legno, si destò dal suo torpore e automaticamente , prese tutti i fogli e li nascose nel grosso cassetto socchiuso della ribalta, chiuse tutti i segreti aperti incassandoli nelle loro posizioni originali, abbassò la calatoia e si diresse verso l’ingresso del negozio.
Tolse il pesante scrocco dalla sua sede spinse l’anta in legno di castagno massello e si trovò di fronte a due splendide ragazze, una bionda esplosiva con un raffinato tailleur color malva ed una di rossa chioma con un vestitino attillato del quale il giovane non notò cero il colore ma come esso aderiva alle splendide curve arrotondate di lei.
Con una sorta di soggezione, come sempre capita ad un vero maschio di fronte a simili, repentine bellezze, si scostò dalla porta per permettere loro di entrare nel suo “Santuario dell’antica bellezza” come era solito chiamare scherzosamente la stanza, cinque metri per otto, che era la sua bottega di antiquariato.
Le due ragazze uscirono dal negozio senza aver acquistato nulla, ma Alfredo aveva ottenuto quello che gli interessava.
Infatti, sul retro di un suo biglietto da visita aveva segnato orgogliosamente: Liliana Torreggiani con il relativo numero di telefono, che avrebbe utilizzato la sera stessa, al massimo l'indomani: “In queste cose non devi mai porre troppo tempo in mezzo “era il suo motto.
La provocante ragazza coi capelli rossi era caduta vittima del suo fascino, o forse era il contrario, ad Alfredo non importava più di tanto.
Rientrando dopo averle salutate sulla soglia della sua bottega passò davanti ad un grande specchio incorniciato da una bordatura dorata in stile barocco, molto spessa e massiccia, ma ingentilita da ampi richiami alle foglie di acanto, motivo tipico di quell'epoca.
Si rimirò, soddisfatto di ciò che vedeva, da impacciato ed obeso ragazzotto quindicenne, a forza di frequentare giornalmente una palestra di Body Building, a seguire diete appropriate e nel praticare a livello semiprofessionistico il motocross, aveva sviluppato un corpo muscoloso e ben proporzionato, che evidenziava spesso con maglie e camicie particolarmente attillate che segnavano la sua possente struttura.
Anche il suo viso si era trasformato, da paffutello e foruncoloso che era , seppur di gradevole aspetto, ora, con i lineamenti precisi e ben marcati, coi corti capelli che già segnavano al grigio, retaggio di qualche atavica tara genetica, ma che lo rendeva particolarmente affascinante, si poteva definire un bell'uomo.
La prima cosa che fece, dopo questa metamorfosi fu quella di vendicarsi con quelle ragazze che lo avevano respinto, ammaliandole ora con la sua bellezza e fisicità, ed una volta finite nella sua rete, abbandonandole i senza alcuna giustificazione.
Era crudele, se ne rendeva conto anche lui, ma, come si suol dire: "La vendetta è un piatto che si gusta freddo".
Passato questo momento di narcisismo .si ricordò delle lettere nascoste nel segreto della ribalta e andò a riprenderle.
Le trovò spiegazzate, le spianò alla meglio poggiandole sulla scrivania e tirandole con la mano, si sedette nuovamente sul suo scanno e continuò la lettura.
Non fu per empietà che alcuni di loro disobbedirono alle disposizioni dei "maestri ascesi", forse fu nostalgia, forse fu la necessità di ricercare una corporeità mai del tutto dimenticata, o forse anche se in loro l'amore verso il Dio Unico probabilmente non era così pregnante come negli altri, fu così che si allontanarono dalla nave madre a bordo di un Ghandarva, l'estensione della stessa che permise alle loro essenza di arrivare indenni sul pianeta.
Potrebbe sembrare strano questo, dopotutto il “Respiro dell’Universo” pur essendo una minuscola cellula di un ben più immane e complesso organismo, era comunque sempre in contatto con il suo Creatore e pur sapendo che avrebbero contravvenuto alle sue stesse disposizioni diede loro il mezzo per farlo, in nome di quel “libero arbitrio", quel dono che il Dio aveva fatto ai suoi fedeli, una sorta di lasciapassare oltre le sue leggi invariabili, allorquando la capacità della mente avesse loro concesso di uscire dal labirinto dell’istinto. (Forse è per questo che in molte culture antiche il labirinto è presente come simbolo magico. N.dA.)
Così fecero, usarono il vimana per portarsi nella città di Poseidonia, la capitale del reame di Atlantide.
Era questo un immenso continente posto tra l'odierna Europa e le Americhe, ed era anche una delle più importanti colonie degli E-lohim, seconda solo a Mu, dove nella sua capitale Corinna, la "perla d'oriente" la religione del Dio Vero aveva raggiunto livelli impensabili.
Gli E-lohim che scesero furono dieci; Satan,Belzebub, Astaroth,Azazyel,Amazarak,Amers,Akibeel, Tamiel, Asadarel e Barkayal, questi nomi col tempo sarebbero diventati i nomi degli angeli dannati.
Il primo che scese dalla nave madre fu Satan,che nella sua precedente vita era bello come un adone e possente come un toro.
Fu così che una notte discese nel corpo del re di PoseidoniaGynh e giacque con la sua bellissima moglie Adhek.
Dopo un breve lasso di tempo, quantificabile in un giorno anche Belzebub e l’amico Astaroth scesero dal “Respiro dell’Universo” per possedere il corpo di due uomini e giacere con le loro consorti.
Belzebub scelse di entrare nel corpo del più importante ma corrotto sacerdote della religione eloimica, cosi da godere delle grazie di Kira, la sua bellissima moglie, mentre Astaroth copulò con Heige, la compagna del mecenate di corte Turkh, l’uomo più ricco di Poseidonia.
Gli altri sette angeli scesero insieme e visitarono la città scegliendo le loro spose tra le più belle e peccaminose.
Azaziel si appartò con la bellissima quanto superba cortigiana di corte Dehel, mentre il fratello Amazarak si trastullo con la grassa ed opulenta moglie del cuoco di corte.
Amers si impossesso del corpo di un grande statista,la cui splendida consorte era famosa per la sua immane invidia verso le altre mogli di diplomatici,
Akibeel cedette alla estrema bellezza della giovane moglie di un ricco e vecchio mercante della città, che riceveva un numero impressionante di giovani amanti duranti i lunghi periodi di assenza del marito.
Con il corpo del più bel ragazzo del paese gli fu gioco facile godere delle sue grazie più e più volte.
Invece Tamiel gioì delle generosità di Hurtha, la moglie dello strozzino più spietato ed esoso della città.
Asadarel si infatuò della splendida prostituta di alto bordo Ahghina, giacere con lei fu facile, bastò aprire i cordoni della borsa di un ricco ed abituale suo “amico” che servì a lui come crisalide, infine Barkayal prese il corpo e la moglie di Ghuy, un pover’uomo che da giovane aveva sposato la più bella ragazza del suo villaggio e che ora era costretto ad indebitarsi per il suo mantenimento, visto che lei bramava solo star seduta sul divano a sorseggiare sidro.
Il tempo di permanenza che gli E-lohim avevano progettato, per non distruggere le loro crisalidi però non venne rispettato, la simbiosi della possessione che per i primi mesi creò un connubio perfetto, divenne distruttiva
Fu così che un brutto giorno Azaziel si rese conto che l'essenza dell'uomo che aveva occupato, così come la sua vita era finita, la sua possessione non l'aveva solo ucciso ma annichilito, il corpo cominciava a decomporsi, la pelle divenne cianotica, la lingua gonfia, gli occhi sporgenti e i capelli cadevano a ciocche, destando in chi stava loro attorno un profondo disgusto, fu questo episodio, tramandato nei secoli, che accostò ai demoni l’alone di morte.
Avvisò i compagni, a quasi tutti era successo lo stesso, fu così che disperati per gli omicidi commessi uscirono dai corpi e si rifugiarono nel Ghandarva.
Decisero di tornare, avendo capito quali erano i profondi limiti del materialismo, diressero il proprio vimana verso "Il respiro dell'universo", masiccome nulla di corrotto poteva avvicinarsi a lei, e di corruzione umana loro ne avevano toccata parecchio, furono respinti nuovamente sulla terra, cacciati dal paradiso, si trasformarono così negli "Angeli caduti"
La nave percepì che in loro non vi era un profondo pentimento, acuito dalla lontananza con il tocco di Dio, e come ultimo regalo la nave madre creò un reame, Agharti , e lo nascose delle viscere della terra, lì si sarebbero nascosti loro e la loro prole.
Si perché nel frattempo ognuna delle donne che avevano fecondato con la loro nobile stirpe avevano dato alla luce dei figli.”
Qui la lettera diviene confusa, la narrazione diventa ostica per Alfredo che si sforza per acquisire il concetto espresso, si parla di un reame sotterraneo creati tra la giunzione di due universi paralleli, una porta per entrambi, la cui serratura si apre unicamente usando un’armonia di parole mistiche diverse a seconda del l’universo in cui si vuole entrare.
Seguono frasi trascritte alla rinfusa, probabilmente perché la traduzione era impossibile, non essendo più aramaico, ma una lingua molto più antica e nemmeno di questo mondo.
Quindi l’antiquario le saltò, non riuscendo a comprendere l’utilità di una simile cacofonia di suoni ed entrò in un nuovo paragrafo, in cui si narrava come i figli degli angeli decaduti divennero i Deh-Monn, i reietti, e di come dai loro padri celesti avevano acquisito poteri incredibili mentre dalla corruzione dell'animo delle loro madri umane le caratteristiche malvagie.
Loro sapevano che la loro abiezione, l’essere stati esclusi dalla visione e dall’amore di Dio fosse il frutto della miseria dell'animo umano, così cominciarono ad odiare gli uomini, ritenendoli colpevoli delle brutture che risiedevano nel loro animo, avendo ognuno di loro acquisito le peculiarità negative delle madri,
Ora il racconto lo aveva stregato nel suo più intimo anelito di una conoscenza antica ma che si rivelava spaventosamente attuale,, lettera dopo lettera, riga dopo riga intuiva l’importanza di quelle parole e l’influenza che queste avrebbero avuto in questo mondo normale, appisolato su fatti che ritiene semplici credenze o fiabe ma che invero ruotano interno a episodi veri, a volte meravigliosi a volte spaventosi.
Arrivò così, in un baleno all’ultima facciata dell’ultimo foglio rimasto da leggere, l’intestazione, siglata all’inizio della pagina recitava: “La scienza mistica” e continuava, subito sotto:
Questa pagina non esisteva all’interno del rotolo, si tratta quindi di una mia semplice conclusione, tratta da ciò che finora ho letto e della quale, amici cari che leggerete questo mio sfogo voglio farvi partecipi.
"In principio era il verbo" vangelo di S. Giovanni.
Cosa è l'antica scienza rivelata da Dio agli uomini attraverso gli E-lohim, i suoi profeti?
Anzitutto, cosa è la scienza se non la volontà di potenza necessaria a cambiare ciò che ci sta intorno al fine di adattarlo ai nostri scopi?
La scienza che il Divino ci ha regalato funge da ponte tra la ragione dell'anima e la religione, due aspetti aggreganti della stessa ricerca, usare la purezza delle religione che altro non è che la magia divina, l'antica scienza magica che insegna il potere della parola, del "Verbo" che Dio ci ha consegnato adattandolo alla ragione scientifica che permette il controllo del tutto.
Di ciò si fecero profeti gli "Antichi dei",
Essi vollero insegnarci la "trasmutazione mentale", l'arte di usare il suo "Verbo" per cambiare le condizioni della materia universale grazie alla forza della mente.
La mistica scienza conosce le cose che Dio ha creato in ogni dove ed è in grado d sfruttarle unicamente tramite i mezzi che egli ci ha donato, le "linee sincroniche" che altro non sono che “grandi fiumi di forza vitale" che circondano la Terra e la collegano all’Universo.
Ne esistono tre diversi tipi, i Leys che regolano e donano capacità di controllo sugli elementi, i Nexus, importanti portali collegati fra loro per teleportarsi ovunque e infine le Alesia, le arterie psichiche che donano capacità mentali.
Attraverso la scienza mistica un uomo poteva attingere a queste riserve latenti di energia e utilizzarle per compiere imprese che adesso sembrano impossibili, pur con la scienza materica così evoluta, come costruire edifico di dimensioni enormi, conoscere il cosmo intero ma soprattutto conoscere se stessi e le proprie potenzialità nascoste, ognuno era un essere perfetto con capacità singole uniche ma che se messe tutte insieme rendevano la civiltà irripetibile, questo era quello che definivano “Olismo”.
Non c’era però capacità se non quelle derivanti da questi canali della Terra, in grado di crearle amplificarle, quindi non c’era scienza misterica senza un amore ed un rispetto figliare verso la “Madre Terra”.
Lo scopo dei demoni è sempre stato quello di distruggere l’uomo, ma finché esso serviva e rispettava la madre terra questa era in grado di difenderlo, donando a esso l’arma più importante, la conoscenza.
Fu così che i demoni cominciarono a allontanare l’essere umano dalla scienza mistica, lunga e faticosa da raggiungere, cominciarono a tentarlo con una scienza volgare, distruttiva e che consumava tutto quello di buono con cui veniva in contatto, la scienza materica, che sfruttava risorse inquinanti e limitate e che traeva potenza dalla divisione degli uomini in capi e schiavi.
Una scienza che non si doveva mai usare, il carburante della scienza di Dio era l’uomo nella sua essenza più pura, la sua mistica coscienza, quello della scienza dei demoni era la schiavitù degli altri, indispensabile per espropriare alla terra tutto ciò che le serviva.
Invero qualche uomo nasce ancora con qui poteri a sua insaputa, e altri in parti del mondo ancora tentano di imitare come meglio possono le scienze mistiche, ma ormai sono solo rarità, il seme divino si è quasi del tutto esaurito.
Finito il racconto il giovane collezionista di preziose vetustà appoggio i fogli semiaperti sopra il tavolo a fianco della poltrona, dalla quale però non riusciva ad alzarsi, ancora incredulo da ciò che aveva appena finito di leggere, non riusciva a trovare la forza di alzarsi ancora, continuava a pensare a quello che il fato aveva trovato il modo di comunicargli, arrivo persino a pensare che tutto ciò che il prelato aveva scritto potesse essere un qualche tipo di scherzo ben congegnato, era come se la sua mente rifiutasse tutto, come se facesse d schermo alle notizie appena apprese poiché era in grado di distruggere tutto quello su cui poggiava il mondo attuale, lo faceva risultare come il frutto di un lavoro demoniaco splendidamente riuscito.
Aspettò ancora che la testa gli smettesse di girare poi lentamente si alzò, le gambe lo reggevano a malapena, andò verso un secretaire in legno di mogano con bronzi dorati, aprì lo sportello che rivelò tra le tante cose celate al suo interno anche una bottiglia di forma quadrata in spesso cristallo nel cui interno vi era un liquido color tabacco.
L’etichetta di colore blue portava stampigliata la scritta “Johnnie Walker Blue Label Anniversary ”ed era una delle più costose al mondo, Alfredo però in questo momento non ci faceva proprio caso, l’aprì recidendo la labella di garanzia, prese un corposo bicchiere in cristallo di Boemia splendidamente molato e se ne versò un bicchiere colmo , duecentomila lire che ingurgitò in un soffio, come fosse acqua, fece per ripetere il gesto quando fortunatamente per il suo fegato, qualcuno bussò di nuovo al portone.
A fatica ripose nuovamente la bottiglia ed il bicchiere nel mobile, lo richiuse e con un gusto amarognolo di tabacco masticato si avvio alla porta, la aprì e si trovò di fronte ad una donna bellissima.
Dimostrava all’incirca trent’anni, indossava un tailleur grigio principe di Galles con una gonna lunga fino al ginocchio che lasciava intravedere rotondità perfette e due lunghe ed affusolate gambe, muscolose ma armoniche, come quelle di una silfide, mentre la giacchetta, leggermente aperta concedeva alla vista di chi l’osservava una candida camicetta in raso che letteralmente stava per esplodere spinta all’inverosimile da un seno prorompente altre ogni immaginazione.
I suoi grandi occhioni azzurri fissavano Alfredo con una sorta di malizia appena pronunciata, dal suo viso rotondo, incorniciato da boccoli di capelli color dell’oro due labbra, provocatoriamente accentuate da un rossetto color sangue si mossero nell’atto di chiedere udienza all’uomo che, fissandola in maniera quasi indecente, era completamente bloccato, quasi ipnotizzato da una simile vista.
Resosi conto, dopo qualche secondo di empasse che ella voleva entrare nella sua bottega, si scansò, quasi arrossendo per la vergogna, la donna si fece avanti con un sorriso di comprensione dipinto sulla bocca, evidentemente non era la prima volta che le capitava.
Si guardò intorno incuriosita, intanto Alfredo stordito per la prepotente presenza femminile, o forse per il bicchiere di superalcolico appena sorbito, rientrò seguendo la provocante femmina, che appena raggiunto il centro della stanza si rivolse a lui e chiese:
“So che stamattina le hanno consegnato un oggetto che acquistò la settimana scorsa ad un’asta, una ribalta veneta del seicento, è vero?”
“Certamente, proprio stamane, ma non è in vendita, non ancora almeno, prima dovrei farle qualche piccolo intervento conservativo, così che possa decidere anche la mia richiesta economica.
Se riuscisse a passare la prossima settimana le potrei dire qualcosa di più”
“Guardi” Risponde lei, sensualissima, avvicinando il suo bel visetto a quello dell’uomo, ammaliandolo ulteriormente con un particolarissimo aroma che fluiva dal suo corpo caldo:
“Non faccio questione di prezzo, lei mi chieda quello che vuole, e vedrà che ci metteremo d’accordo”. L’ultima parte della frase, miagolata lentamente accanto al suo orecchio accese tutti i sensi del poveretto, ormai in balia della procace cliente, annaspò quasi a cercare una boccata d’aria chiarificatrice, tentando di ritrovare quella chiarezza di pensiero necessaria per ribattere ad una tale richiesta, ma inutilmente.
Neppure voltarsi verso l’angolo seminascosto del suo negozietto dove poter ammirare l’oggetto bramato da entrambi, neppure il rimirarlo orgogliosamente riuscì a stemperare la tensione emotiva creata dal sapere di avere una tale femmina vicino, che spruzza ferormoni come una fontanella, i cui richiami olfattivi inebriano la narici di lui, ormai dilatate oltre il normale.
Decise così di accontentarla, in uno sprazzo di lucidità azzardò una cifra elevata, quasi il doppio di quanto lui si era aggiudicato all’asta quell’antico e rarissimo oggetto di arredamento .
“So che vale di più, molto di più” era questa la frase con la quale cominciava tutte le trattazioni affaristiche, e nel pronunciarla si guardò bene dal voltarsi verso la giunonica potenziale acquirente.
La donna intanto si era avvicinata al mobile e la stava guardando ammirata, ci girò intorno finché su di un fianco trovò stampigliata a fuoco una specie di croce greca, smise di cercare, giusto in tempo per sentire l’antiquario pronunciare la cifra, esorbitante, di ottanta milioni di lire
Lei non batté ciglio , come se quella fosse stata la cifra che si aspettava di spendere, infilò la mano all’interno della borsetta in coccodrillo nero ed estrasse un pacchetto di banconote da centomila lire, esattamente cento, fior di stampa ed unite da una linguella gialla con su stampata la cifra totale, dieci milioni di lire.
Li ripose, uno ad uno sulla scrivania in rovere, fino all’ottavo, e poi si rivolse verso Alfredo:
“Spero che lei non abbia toccato nulla dell’oggetto, mi serve che sia nelle stesse identiche condizioni in cui glielo hanno consegnato”
Questa frase risultò strana all’orecchio del venditore, d’altro canto nel suo mestiere era venuto in contatto con i più originali collezionisti, per cui non diede molto risalto all’accaduto, così ingenuamente, ma onestamente garantì che il mobile non era stato sfiorato nella sua patina originale e aggiunse che al suo interno aveva ritrovato celati alcuni oggetti che le avrebbe tranquillamente consegnato.
Non fece parola della lettera perché voleva tenerla e studiarla ulteriormente, temeva anche che la stranezza del suo contenuto potesse spaventare la cliente e le facesse rescindere un contratto così vantaggioso.
Lei accettò di buon grado di controllare gli oggetti rinvenuto negli scompartimenti segreti della ribalta, anzi, sembrava quasi essere più interessata a quelli che all’oggetto in sé.
Prese tra le mani la corona in oro, argento e madreperla ma tempestivamente e quasi con fastidio la posò nuovamente nel cassetto, poi fu la volta delle medaglie e delle monete che seguirono la stessa sorte, infine prese in mano l’antichissimo libercolo dedicato alla vita di un santo misconosciuto ed ebbe un debole fremito, velocemente svolse le pagine, come se sapesse già cosa cercare.
Lo fece una volta ancora ma il risaltato evidentemente non la soddisfò, tanto che si rivolse nuovamente verso l’antiquario, si soffermò un attimo scrollando i sui lunghi e biondi capelli e poi nuovamente gli si avvicinò, con le movenze flautate di una gatta, nel farlo strusciò il suo enorme seno contro la spalla di lui, in un modo che parve quasi intenzionale.
Gli occhi di Alfredo, inumiditi dalla tensione, la fissavano intensamente accarezzando ogni singola curva di quel corpo torrido.
Ad ogni battito delle sue grandi ciglia nere e lunghissime ella pareva acquistare un alone di libido intorno a se sempre più grande e intenso, sempre più cresceva una passione incontrollabile, il desiderio pregnante ogni singola cellula del suo corpo era quello di stringere tra le sue possenti braccia quel superbo esemplare di femmina e sentirla sciogliersi all’unione delle loro labbra roride di desiderio, voleva toccarla, possederla, farla sua.
Il cervello pareva scoppiargli per la passione, le sue gambe, seppur tremolanti, sembravano godere di vita propria, autonomamente lo portavano vicina alla donna, che lo guardava con uno sguardo dolce ma velato da una punta di perversione che lo rendeva irresistibile.
Mai aveva provato una sensazione del genere, i suoi sensi parevano essersi risvegliati tutti contemporaneamente, l’olfatto inebriato dal profumo che lei spandeva nell’aria, la vista si pasceva di quel corpo perfettamente creato per la seduzione, l’udito coglieva ogni singolo sussurro che usciva da quella bocca peccaminosa, il tatto esplodeva ogni volta che lo sfiorarsi tra i due si faceva possibile, il gusto già pregustava il sapore della bocca di lei che non tardò a verificarsi, lei si alzò sulle punte, cinse selvaggiamente il collo di lui è appoggiò le labbra sulle sue.
Alfredo perse ogni controllo sul proprio corpo, rispose a quell’invito nel modo più istintivo, assaporando quel bacio tanto atteso.
Lentamente lei si staccò, senza lasciare la presa e si volse verso l’orecchio e sussurro, con la voce che pareva composta da un collage dei suoni più melodiosi al mondo: “Dov’è la lettera che si trovava dentro a quel libro in pergamena?”
La domanda scosse l’intorpidito intelletto dell’uomo, totalmente sopraffatto da quel momento di estasi, si concentrò un attimo e poi trasse dalla tasca posteriore dei propri calzoni i tre stropicciati fogli e li porse alla maliarda.
Ella si sciolse da quell’abbraccio, lentamente si allontanò e prese i fogli che lui le stava porgendo, li stirò un attimo con il dorso della mano contro la superfice della scrivania in rovere e diede loro una veloce lettura scartandoli ad uno ad uno, per poi riporli nella tasca interna della propria borsetta.
Nuovamente volse lo sguardo verso Alfredo, ancora inebetito dal bacio, ma stavolta i suoi splendidi occhi color del mare parevano colmi di tristezza, si avvicinò e con la mano leggera accarezzo il volto di lui: “Non ti puoi muovere, il bacio di una strzyga, il mio bacio, ha il potere di paralizzare ogni uomo, demone o dio.
Non hai idea di come odi fare questo, avrei voluto con tutto il mio cuore demoniaco che tu non avessi letto quella lettera, ma purtroppo ho percepito il tuo odore su ogni singola pagina e per questo non posso risparmiarti, come invece avrei voluto con tutta me stessa ”
Si scostò pochi passi indietro, aveva gli occhi lucidi, una grossa lacrima scese sulla sua guancia, ella, quasi incredula usò la sua delicata mano per tergerla dal volto e guardò, esterrefatta le sue dita umide.
“Erano secoli che non piangevo per un uomo!”
“Perché per me allora lo stai facendo?”
Biascicò Alfredo ancora paralizzato.
“Non lo so, forse perché mi ricordi molto l’uomo che amavo quando ancora ero incorrotta, forse perché ormai sono stanca di tutto il male che vedo intorno a me, vedi io sono nata dall’unione di un uomo con una demone, io ero una delle driadi, le ninfe dei boschi e vivevo sugli Appennini, nelle foreste di quella zona io e le mie sorelle usavamo spaventare i viandanti ed i cacciatori che si avventuravano incautamente tra i castagneti ed i faggeti.
Un giorno però lo vidi, stava camminando tra i cerri , credevo fosse un bracconiere, il genere di uomo che la mia stirpe odia oltre ogni immaginazione, essendo semidemoni legati alla fauna selvatica.
Mi avvicinai, rimanendo ben nascosta tra le vegetazione, quando lo vidi in volto il mio cuore impazzì nel petto, non avevo mai visto un volto così bello e pulito, un fisico così possente e altrettanto armonioso.
Esitai un attimo e proprio nell’istante in cui mi fermai per ammirarlo mi resi conto che un grosso lupo dal manto grigio si stava avvicinando all’uomo.
Volevo urlare, avvertirlo del pericolo ma mi accorsi che l’animale si avvicinò scodinzolando festoso, e l’uomo cominciò ad accarezzarlo teneramente, maiavevo visto un simile legame tra due esseri così diversi, dopo l’arrivo dell’amico l’uomo si chinò a raccogliere funghi.
Fu allora che mi innamorai perdutamente, decisi di mostrarmi a lui lo stesso giorno, gli aprii subito il mio cuore e altrettanto fece lui.
Passò quasi un anno, in cui ci incontravamo nel bosco tutti i giorni e ci amavamo con passione e trasporto indicibile, lui sapeva chi io fossi, gli dissi subito che ero una driade,un demone minore nato dall’unione di un uomo con un demone femmina, atto che comportava l’esilio immediato del bimbo, abbandonato in un bosco, in mezzo al mare oppure in un lago, chi riusciva a sopravvivere diventava il custode del luogo.
A lui non importava, perché il nostro amore era più forte di tutte le avversità della vita, finché un giorno…”
Per un istante il superbo volto del demone si contrasse in una strana espressione, che Alfredo riconobbe subito come un dolore incredibile , come se la lama arroventata di un coltello le penetrasse le carni , il ricordo riemp’ di lacrime i glauchi occhi della donna che ingoiò a fatica la saliva, un attimo ancora poi riprese col racconto.
“Un giorno scoprii di aspettare un figlio da lui, glielo dissi la sera stessa, eravamo entrambi così felici che quasi impazzimmo dalla gioia, certo, eravamo consci del fatto che questa unione non avrebbe dovuto essere portata a conoscenza di nessuno, lui disse che avrebbe costruito in una radura poco distante un capanna in legno dove avremmo potuto crescere il frutto del nostro amore, ci pareva che nulla potesse contrastare il nostro futuro, e così fece.
Un infausto giorno una sorella driade, la mia migliore amica, l’unica alla quale avevo confessato ogni cosa, presa da un’invidia irrefrenabile per la mia felicità mi tradì.
Così lui arrivò una sera a cavallo di un baio immenso, solo.
Baltazar, era uno dei più feroci generali diGamchicolh, il perturbatore di anime, signore di tutti i demoni tentatori.
Eravamo tutti e due in casa, egli entrò distruggendo con un sol pugno la porta costruita con pesanti tronchi di cerro, prese il mio uomo che si era confrontato a lui per difendere me e il figlio che portavo in grembo e lo gettò dall’altra parte della stanza troncandogli il collo di netto, dopo di che venne verso di me, disperata e piangente.
Già aspettavo il colpo letale, quasi me lo auguravo guardando il corpo del mio amato esanime, con la testa riversa in una posi innaturale, ma lui si fermo, mi guardò e disse, con una voce profondo e cupa, come le porte dell’inferno:”
“Il mio signore aveva ragione, la tua bellezza è davvero stupefacente, una volta addestrata sarai una fantastica strzyga.”
Mi raccolse di peso, nonostante le mie urla, i miei pianti e le suppliche per la tenera vita che portavo in me , mi caricò sul destriero infernale e parti alla volta del reame di Agharti.”
In quel luogo infernale mi fu proposto un blasfemo baratto, nulla di male sarebbe successo il figlio bastardo che portavo in grembo se fossi diventata un demone tentatore.
Accettai senza esitazione, l’unica cosa che voleva era salvare il frutto del mio amore, non importava a quale costo.
Il signore dei demoni corruttori fu di parola, una volta nato il mio bimbo fu abbandonato davanti alla porta di un con orfanotrofio, crescendo senza saper nulla delle sue origini.
Non ebbi più modo di vederlo.”
Adesso la sua candida mano su era trasformata in un lungo artiglio ossuto, terminante con un unico rostro affilatissimo, sembrò esitare, guardò Alfredo in volto, gli occhi non erano iniettati di sangue ma tristi, avvicinò la sua carnosa bocca all’orecchio di lui e disse:
“ Non temere, sarò il più veloce possibile, non sentirai nulla.”
Alzò il braccio armato, un ultimo, profondo respiro, poi il colpo ferale discese verso l’indifeso e vulnerabile collo di lui.



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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime8/6/2011, 18:50

Scusate l'intromissione, ma era così brutto da non meritare neppure una critica?
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime9/6/2011, 01:05

non c'è nessuno qui di vivo......ma è anche così lungo che a volte manca la concentrazione Smile
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime9/6/2011, 01:07

chiedo scusa ai tuoi commentatori che vivi lo sono.
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime9/6/2011, 09:23

Oh, ma che bella storia. Sarebbe il mio sogno segreto trovare qualcosa di magico, misterioso, antico. Mi complemento con te per le numerose citazioni contenute nel testo. Un piccolo appunto riguarda la lunghezza del racconto, che rende difficoltosa la lettura al pc. Benarrivato a queste sponde. R.
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MessaggioTitolo: Re: estratto   estratto Icon_minitime

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