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 un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...

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Lara Kelly
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Lara Kelly


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MessaggioTitolo: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime28/5/2011, 11:34

Visionario dei mondi invisibili.
L’inquieto, errante solitario. Forse pazzo, o forse no.
Così in sintesi l’avevano definito i posteri…ma, chi poteva dire di aver conosciuto esattamente la sua anima da poterla analizzare in modo così netto ?
Se ne stava lì a pensare a quanto idioti erano in fondo i critici d’arte, così angusti e chiusi nei lori dogmi, lucidi nelle loro inconfutabili certezze accademiche, tutti accuratamente infarciti come prelibati pavoni da portata. “Lui” non era stato che un misero tra i miseri…nessuno, proprio nessuno, allora, aveva avuto occhi per vedere le sue pregiate piume colorate per riconoscere sotto le grezze sembianze il grande genio che era stato.
Il cigno maestoso dal volo sublime e solitario.
Perché si sentiva così attratto da quel pittore squattrinato, appassionato e inquieto, nato 106 anni prima in uno sperduto paesino olandese del Brabante ?

Chi sei veramente tu ? Perché mi ferisci così a fondo nell’anima quando ti guardo ?

Perché “guardare” i suoi quadri era come guardare dentro se stessi. Niente veli, niente compromessi, luce pura. E tutta quella luce non faceva che alimentare l’inconscio sgomento di trovare nei fondali dei suoi stessi labirinti, smussate e inconfessate verità.
Da una settimana non faceva che tornare lì a guardare quei celeberrimi quadri.
Ossessionato, ecco cos’era.
Una specie di ossessione come lo erano stati il giallo e il blu per “l’altro”. Troppe similitudini tra loro, troppe, per ignorare l’esigenza che adesso gli premeva in petto, simile ad un sottile dolore sordo.
Lì, nel museo tra centinaia di persone e passi anonimi, gli sembrava di sanguinare.
Patetico.
Si guardò intorno con un sorriso cinico.
Nessuno davanti alle tele del grande Vincent Van Gogh, poteva vedere il suo sangue rubino stillare impietosamente tra i suoi pensieri, inzuppandogli il cervello.

Sono pazzo ?
Se mi stai pugnalando coi tuoi quadri , non è il sangue che vedrai fluire, mio tormentato pittore, ma qualcosa di più simile alla paura.. la paura l’hai conosciuta pure tu, no ? Tu, che hai vissuto l’estrema solitudine della strada immergendoti nella vita profonda delle persone, nella sofferenza viva e palpitante dei diseredati, negli oscuri meandri dell’emarginazione per cogliere insieme la bellezza e la tristezza del mondo… forse sono pazzo, sì…


Stava bisbigliando o era solo la sua mente ? Parlare a Vincent gli procurava una specie di brivido come se fosse effettivamente lì ad ascoltarlo.

Quadro n. 34 – I mangiatori di patate – 1885
Ogni tuo quadro è una stilettata, amico mio.
Se proprio devi “uccidermi” preferisco farlo con le mie mani, per questo li guarderò uno per uno, cercando di capire il seme di questa pseudo-follia che mi trema nelle vene da una settimana. Questo dipinto, che hai definito uno dei tuoi migliori, non mi piace. E’ scuro, sembra colorato col bitume. Le persone paiono tagliate a colpi di roncola ed hanno la pelle aspra come la terra che li ha generati…


La terra... quella tela …da quanto mancava da casa ? La sua terra natale, la sua verde campagna padana che aveva lasciato pure lui, trent’anni prima in cerca di fortuna.
Era forse meno diversa la gente della sua terra? Contadini avvezzi alle fatiche dei campi, braccia e mani scorticate dai calli e vòlti privi di speranza.
Se Vincent aveva disperatamente dipinto la “sua gente” nella cruda verità della vita, cosa c’era di più reale di quel quadro ? Solo la realtà, solo la verità.

Ma… Cristo santo, hai ragione tu ! Un quadro non deve essere una semplice rappresentazione ma rappresentazione vera dei sentimenti !

Poi ecco comparire un sottile malessere… Cos’era ?
Un indistinto lontano profondo struggimento. Un piccolo spiraglio sulle “sue” verità così ben celate negli abissi dell’anima. Se ancora aveva un’anima…
Gli mancava, gli mancava la sua terra.
Da quando se ne era andato l’aveva rimpianta così a lungo! Gli mancavano i campi assolati d’estate pieni di quel grano, di quelle messi color giallo-oro che lo stesso Vincent aveva più volte dipinto con la medesima nostalgia nel cuore. Poi repentina l’immagine di sua madre…sua madre che cantava sottovoce una ninna-nanna a loro due, lui e suo fratello.
Istantanee sbiadite, agguantate come per caso dalle sue radici.
Sua madre, che la notte prima di coricarsi leggeva sottovoce ai figli, col volto appena sfumato dal lume di candela, i brani della Bibbia, così intessuta di profonda religiosità come lo era la gente di campagna 50 anni fa.
Lui invece, nel frattempo, era riuscito a diventare ateo. Non ci credeva più, la vita gli aveva tolto ben più di qualche illusione… sua madre riposava da tempo sotto le zolle di quella terra aspra emiliana e lui non sapeva nemmeno com’era fatta la sua tomba.

Tu lo sai che quando si tocca il fondo si diventa cinici anche a se stessi. Quando me ne andai non avevo sguardi che per me, per la mia vita, per il mio cammino. Ma quale cammino, poi ? Sai immaginare un cammino, amico mio, tu che di strade ne hai percorse all’infinito ?Dimmi, pittore cosa c’è di buono su una strada di cui non conosci la fine ?

Quadro n. 35 –stanza di Van Gogh ad Arles – 1888
Una cameretta piccola, colorata, decisamente serena. Un letto in legno, pareti addobbate, una sedia impagliata alla parete.

E lui, lì davanti al quadro n. 35, che continuava a colare stille rosso rubino…sangue.
Con gli occhi incollati al disegno si trovò a rivivere la lite furibonda avuta col padre prima di andarsene via da casa per sempre.
Quel padre-padrone così temuto e detestato che per tutta l’adolescenza li aveva soggiogati e resi schiavi della sua stessa ottusa mentalità.
Non aveva retto. Lo strappo era stato lacerante nei confronti di sua madre e di suo fratello Enzo. Un pezzo d’anima che aveva dovuto abbandonare al suo destino e che ora gli ritornava scagliato come un sasso nel lago. Emozioni, che aveva opportunamente occultato per tanto tempo e che ora, questo dannato pittore olandese gli metteva sotto il naso, attraverso i suoi disegni intriganti.

Ho avuto una stanzetta come questa, quasi uguale alla tua. Al contrario, non aveva la stessa intimità ma era anonima e fredda. Mi riscaldavo con una piccola stufetta a gas comprata al mercato delle pulci ma d’inverno era dura perché pioveva dal tetto e faceva umido. Ossa rattrappite e obbligato digiuno…ma forse non ti racconto niente di nuovo, credo. I morsi della fame hanno un linguaggio universale, non hanno bisogno di traduzioni in bella lingua.


Quadro n. 36 – Terrazza del Caffè di notte - 1888
Sinfonia di blu e giallo sulla terrazza di un caffè notturno illuminato dalle stelle.

Ah, ecco qua i tuoi amati colori! Finalmente hai abbandonato l’oscuro bitume, nella tua fuga verso la luce. Cè un’atmosfera in questa tela che dà tormento … mi ricorda la mia vita da clochard

Quanti ne aveva frequentati di caffè di notte a Montmartre sotto quel cielo così luminoso e stellato? Pochi, eccetto il Café Brossard, all’angolo della piazza. Il cielo, poi…non aveva avuto occhi che per piangere. I primi anni aveva vagato in cerca di occupazione, era emigrato a Parigi finendo a fare il minatore in una cava e poi il commesso in una panetteria.

In quegli anni ho conosciuto la strada, esattamente come te, Vincent. E vi ho trovato più umanità che altrove. Umanità e disperazione. Il dolore di vivere, quello che tu hai conosciuto e dipinto l’ho visto stampato sul mio viso, guardandomi allo specchio ogni giorno e soprattutto a fine mese quando non avevo in tasca più nulla, nemmeno due soldi per mangiare. In compenso mi sentivo talmente audace, temerario e “libero pensatore”da poter credere di aver sempre la mente sazia.
Disilluso, finii per frequentare i bassifondi venendo in conflitto coi miei principi. Ho capito che non faceva per me…io dovevo costruire me stesso. Dovevo farlo in altro modo, nel modo più giusto per non perdere l’unica cosa che sentivo ancora di possedere. Il rispetto di me stesso.


Quadro n. 37 – Autoritratto con l’orecchio bendato -1889
Un viso… Vincent V.Gogh

Perché mi guardi così ?
E’ vero, non avrei mai potuto perdere il rispetto di me stesso.
Non l’hai mai fatto nemmeno tu. Al contrario, non ti hanno mai rispettato e questo a pensarci mi fa rabbia. Perchè in 100 anni le cose non sono cambiate. Non posso sopportare la meschinità, quella gratuita fatta di apparenze e luoghi comuni, fatta dalle viltà dei “piccoli uomini”che non hanno metri di giudizio se non quello degli altri. Da qualche parte ho letto che venivi trattato come lo zimbello del paese e solo perché eri talmente estraneo da qualsiasi cliché da apparire originale. Per il tuo abbigliamento trasandato, per il tuo insolito ruvido modo di essere…io non avrei mai riso di te, Vincent, non l’avrei mai fatto perché sono così dannatamente simile da avvertire ogni tua vibrazione, accidenti a te !


Quadro n. 38 – La Senna ad Asnières - 1887
Non è assurdo? Mi dà vibrazione persino questo tuo dipinto, dove io ti immagino di sera, immerso in un vento di mistràl intento a disegnare in ginocchio sulle rive della Senna, al lume di più candele. Magari qualcuno, passando, avrà pensato se ne valesse la pena. Quando il dolore dello spirito diventa passione s’accende inevitabilmente quella fiamma inestinguibile che può solo bruciare dentro di noi con infuriata violenza. Quando presi a studiare di notte, lavorando di giorno, avevo la stessa di bramosia di “fare”e non mi sbagliavo…forse ci siamo anche bruciati, amico mio, ma per me, allora, ne valeva la pena…

Ora a 50 anni compiuti poteva dire d’esservi riuscito. Alla fine era diventato un luminare della scienza. Un famoso e ben retribuito psicanalista, ed era ritornato in Italia ma non in Emilia.
Forse era drammaticamente romantico, ma suo fratello ogni tanto gli inviava, attraverso le tappe della sua vita raminga, un pacchettino con dentro alcune spighe di grano e foglie di quercia, quasi un tacito invito a ritornare. Per anni aveva ricevuto quella strana “posta” ignorandone il contenuto. Si era limitato a mantenere un essenziale rapporto epistolare con lui, pur seguendo con curiosità le vicissitudini della sua vita.
Enzo si era sposato, aveva avuto quattro figli e continuava a vivere in campagna, sereno e appagato della semplice vita rurale. Era davvero felice, nel suo piccolo mondo antico, tanto per dirlo con un eufemismo.
E lui ? Lui, poteva dire altrettanto ?

Quadro n. 39 – Barche a Saint Maries - 1888
Forse felice lo era stato ma in una vita precedente. O gli era solo sembrato…
Guardò le barche dipinte ad olio, arenate sulla rena. Il mare dipinto, una distesa scintillante d’azzurro e bianco.
Acuto gli tornò il desiderio di Françoise, ma fu solo un attimo.
Un attimo eterno dove si rivide a piedi nudi sulla spiaggia. Giovane e squattrinato su una povera spiaggia di pescatori dove ogni domenica andava con Françoise a passeggiare. Davanti alle dune sabbiose nessun paesaggio era stato per lui più straziante di quella costa nuda in balìa di un mare grigio orlato di schiuma e sale. Allora, assaporando lo schiaffo del vento sul collo, aveva persino pensato di poter essere felice. Di poterlo essere per sempre, al fianco di Françoise.

L’ho persa.. semplicemente a un certo punto mi ha lasciato.
Lo sai anche tu, le solite ignobili scuse. Poi seppi che s’era accompagnata ad un ricco mercante d’aste di Lione. Che riusciva finalmente a mettere insieme il pane col companatico e che riteneva l’amore solo un’ effimera e caparbia illusione. Per anni l’ho cercata in cento donne diverse, non mi vergogno a dire che ho frequentato prostitute, melodramma penoso e poco letterario, e nobildonne solo per ritrovare la purezza di quell’amore. Pazzo illuso.


Pazzo, illuso e solo.
Solo come un verme, lui, l’esimio professore che curava le anime degli altri, che maneggiava sentimenti e cuori quasi come un funambolo del circo. Di questo grande circo umano che è la vita, troppo intrisa nel glorioso trionfo della mediocrità.
Pensare a Françoise, adesso, era come risentire la pioggia scrosciare obliqua sulle sue spalle, come rivedere le onde livide del mare spazzate da grovigli cupi di nuvole informi.
Era come seppellire il cuore nel fango, cullarne il ricordo, esattamente come aveva fatto vent’anni fa…e continuava a sanguinare, ormai consapevole di aver scoperto laggiù nei propri fondali sabbiosi, la sua piaga dolente e ramificata.

Quadro n. 40 – Campo di grano con corvi – 1890
Ultimo quadro di Van Gogh. Alcuni giorni dopo aver dipinto questo quadro l’artista si sparò proprio in mezzo a quei campi di grano che aveva così lungamente amato. Aveva 37 anni.

Perché, dannato olandese ?
Ti andava così stretta la vita da chiudere in bellezza ?
E sì, sono insolente perché queste tele mi parlano di te più di qualsiasi biografia. Tu, l’artista audace, solitario e rude, l’uomo tormentato, altruista e appassionato. Sei morto a te stesso ancor prima di arrivare a questo campo di grano in quel giorno di piena estate sotto l’implacabile sole di Provenza…così come io sono morto a me stesso, giorno dopo giorno, senza nemmeno accorgermene.
Perché sono qui ?
Per capire “tutto questo nulla” che in 50 anni ho saputo così ben costruire ?


Era dunque questo che premeva dentro di lui da una settimana? La coscienza lucida e definitiva di come la sua vita, per buona parte di essa, fosse stata sprecata ?
Era questa la ferita nascosta nelle plaghe della sua anima sfogliata ?
La felicità…aveva pensato a guadagnarsi la stima, la fama, il successo, il benessere ma…la felicità l’aveva mai cercata ? Oppresso dalla malinconia aveva trascinato la sua esistenza, tra amori fugaci e il labile piacere del fumo e dell’alcool. Non aveva un amico, non aveva un affetto.

Si volse d’istinto all’autoritratto di Vincent.
Ebbe per un attimo la folle sensazione che i suoi occhi chiari e penetranti volessero trapassarlo, volessero comunicargli …qualcosa…

( Il tuo posto è in un campo di grano… TU sei il grano)

Sbalordito gli parve di sentir sussurrare quelle parole. Una voce che veniva da dentro, una voce che veniva dai suoi labirinti traduceva in luce, come le pennellate di un pittore, il giallo dorato di un campo di grano su parte di una tela già dipinta. Quella tela, la sua vita…dove un blu cupo e fosco era già stato spalmato dalle esperienze vissute, esperienze tormentate, incancellabili ormai.
Ma la tela era ancora parzialmente bianca, in attesa di essere completata. E il giallo era abbagliante, attraente come una fiamma…una fuga verso la luce

Ma che io sia dannato, benedetto olandese ! Quel giallo che tu hai tanto amato era dunque questo ? La ricerca di una felicità che ti sfuggiva ovunque andassi ?

Non capiva più se parlava ad alta voce o se ridesse. Del resto non gliene importava un fico secco.
Il sistema delle convenienze era saltato in quell’istante proprio come un laccio troppo teso.

Ho avuto da te una lezione ben più utile di una seduta di psicanalisi…bel tomo di professionista sono! Non ho saputo nemmeno vedere la punta delle mie scarpe per capire dove stavo andando. Anche se ho sprecato una parte della vita, non è ancora troppo tardi.
Non lo è mai per nessuno…

Quel qualcosa che uno ha dentro non sempre traspare da fuori. Puoi avere un gran fuoco nel tuo cuore ma nessuno viene mai a scaldarvisi vicino, perché non lo vede…o perché ha occhi ciechi.
Eppure bramiamo tutti, più o meno in ugual misura, che qualcuno si fermi ad assimilare la fiamma del nostro calore per condividere insieme il freddo dell’inverno, il freddo dell’esistenza.
Era curioso, ma ripensò alla “posta” di Enzo.
Ripensò al loro affetto spezzato. Spezzato dalla sua voglia di evadere, di sradicarsi da ogni vincolo per non dover soffrire.
Ripensò a loro due da piccoli, alle passeggiate in mezzo alla campagna, tra l’erica in fiore e l’erba profumata, ai loro giochi bambini, ai nidi delle rondini scoperti all’inizio di ogni primavera, all’acqua chiara del torrente dove andavano a pescare.
Lui, Enzo aveva trovato nella semplicità, la vera felicità. Aveva saputo costruire la sua vita sulla roccia, aveva l’amore di una moglie, l’affetto dei figli, aveva dipinto la sua tela col giallo più brillante della tavolozza di un pittore.
Enzo, la sua radice più profonda, dopo Françoise.
Ma Françoise era persa, persa per sempre. Avrebbe sempre sofferto per Françoise ne era consapevole, ma la sua tela non poteva continuare ad essere color “bitume”.
Chiunque l’avrebbe guardata avrebbe visto solo rassegnazione, disillusione, infelicità. Lui stesso aveva capito che intingere il pennello nel nero non dava alcuna sfumatura.

Sono un idiota di 50 anni…ci ho messo metà della vita ad accorgermi che sono un dannato idiota ?
Grazie Vincent, hai ragione tu, la gioia di vivere è scritta nei colori del grano e del sole
E io sarò grano sulla terra delle mie radici.

Se doveva essere grano, era sulla sua terra che avrebbe dovuto germogliare, guardandola dal basso, pensando che non poteva essere piatta, così come aveva sempre creduto, ma rotonda e infinita.

Si pensa di inseguire tutti quanti quella semplice parola – FELICITA’ – ma qualcuno, come me, si smarrisce, vagando inevitabilmente, perdendone il senso.

Forse poteva ritrovare il calore di un affetto fraterno mai veramente spezzato, Enzo lo invitava a tornare con la sua strana posta, non aveva mai perso la speranza.
Lui sì, conosceva la pienezza della vita, la saggezza delle semplici cose, l’inestimabile valore dell’amore, degli affetti. E lo aspettava, lo aspettava da sempre.
Chissà, nella propria resurrezione, forse avrebbe potuto amare un’altra donna e avuto più passione per il prossimo, compresi i suoi nevrotici danarosi clienti.
Forse la fiamma avrebbe ripreso ardimento, alla prima folata di vento.
Lui era lì, ormai, ad aspettare.
Ad aspettare la prima brezza di vento che l’avrebbe finalmente riacceso alla vita.


omaggio a Van Gogh
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2004
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Luca Curatoli
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MessaggioTitolo: Re: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime28/5/2011, 12:09

qui ce n'è per tanti giorni, di fame e di sete. ora scappo
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MessaggioTitolo: Re: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime28/5/2011, 12:19

Non credevo nemmeno di esser letta. Ti sono grata, ma più perchè so che hai letto davvero.
Raramente ho pubblicato sul web i miei racconti lunghi.
abbraccio. grazie.
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Luca Curatoli
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Luca Curatoli


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MessaggioTitolo: Re: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime21/9/2011, 14:40

(tempo di magra e allora eccomi qui)

quadri come stazioni di una via crucis,

anche se l'uomo me lo voglio immaginare confinato in una stanza tappezzata di colori infuocati più dell'esistenza, strafatti e impastati di quell'arte che lo convince che essa ha superato quel problema, che ci lega un po' tutti.

in quella stanza satura di ricordi con nomi precisi solo per chi l'ha vissuti e gesti rappresentati da una febbre che tutto richiama a raccolta, mentre la vita si sa disperde... mentre tutto il suo sapere va in pezzi - in quella stanza grida il suo peso la parola

FELICITA'

mentre la felicità selvaggia del colore sembra - anzi chi scruta ne è convinto - affermare la sua vittoria sull'esserci inesorabile e senza via di scampo nel qui ed ora.

allora guardiamoci con gli occhi dell'artista: come appena nati

(mi chiedo come si possa riuscire a diventare ateo mi chiedo)
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Lara Kelly
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MessaggioTitolo: Re: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime22/9/2011, 11:28

Anch'io, soprattutto adesso.
Non credo più.

ciao Luca, un abbraccio
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Franca Bagnoli
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MessaggioTitolo: Re: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime24/9/2011, 21:47

La felicità! si trova nella vita semplice scelta da Enzo o nel tormento infinito di non poterla raggiungere nella sua pienezza? O forse non bisogna avere fretta e aspettare dipingendo distese di grano dorato? Alla fine ti sei sfiancato, Vincent. Hai voluto finire nella bellezza della tua gioventù. Un bacio.
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MessaggioTitolo: Re: un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...    un tuffo nel giallo poi l'impalpabile blu...  Icon_minitime

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