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 EPISTOLARE

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Daniela Micheli
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Daniela Micheli


Numero di messaggi : 14694
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MessaggioTitolo: EPISTOLARE   EPISTOLARE Icon_minitime10/1/2020, 18:09

Sono già alcuni mesi che ho saputo che non sei più con noi ma da qualche parte a spargere su noi, quaggiù, i tuoi sorrisi e la tua ironia ma anche lacrime della tua tristezza, così densa a volte, da farmi stare male.
Pagherei per ritrovare le foto scattate a casa tua, mentre cucinavi col grembiule viola e verde e i tuoi guanti da cucina, rigorosamente in tinta. Un viola intenso, il tuo colore preferito, che ritrovo nell’avatar del numero di cellulare che ancora non mi decido a cancellare, nell’idea assurda di chiamarti e immergermi con te nell’oceano spumeggiante dove tanto amavamo bagnarci.
Ti ricordi come ci annusammo, una vita fa, sul Borgo Narrante? Forse furono le parole che mettevamo sulla carta, gli argomenti di cui scrivevamo che ci fecero avvicinare. Non ero in contatto telefonico con molti altri “scrittori” ma con te fu immediata la voglia di sentire anche la tua voce oltre la lettura.
La meraviglia del tuo tono caldo e deciso, avvolgente come un piumone in una gelida notte di inverno.
Già, ai tempi i miei inverni erano lunghi e freddi, nemmeno sotto le coltri riuscivo a riscaldarmi fino in fondo; restava sempre un senso di gelo, là dentro, nel profondo. Tu riuscisti a penetrare il mio ghiaccio, a scalfirlo con parole sempre incoraggianti che ogni volta usavano metafore diverse per approdare sempre alla stessa lezione d’amore verso me stessa.
Stamattina, mentre guidavo per venire al lavoro, il refolo del vento dei ricordi mi ha portata a te e mi ha spinto a cercare negli archivi le lunghe missive che ci scambiavamo.
Purtroppo anche i server vanno veloci e non le ho tutte, la più antica è del 2012 quando già molto si era compiuto.
Ti ricordi come iniziò la nostra avventura?

C'era una volta...
- Un castello!
- Macché castello, state buoni, mettetevi a sedere e lasciatemi parlare, siete i soliti casinisti indisciplinati, un po' di educazione, perdirindidina! Dicevo che c'era una volta…
- Una principessa ed il suo principe!
- Noneeee! Mi volete lasciare raccontare o volete farlo voi? Sono o non sono l’autore di oggi e di domani? Me lo ha detto l'Admin che mi lascia on-line per due giorni, lo so che siete invidiosi per lo spazio doppio che mi ha concesso, ma adesso tacete, avete insistito, mi avete domandato una storia ed eccomi qua, ho scritto: oggi è la mia storia, non la vostra. Quindi, zitti, muti ed ascoltate.
Era inverno, un inverno strano, ragazzi, di quelli che non si capiva bene se il freddo sarebbe mai arrivato. L'orologio segnava più o meno la metà della mattina di quel giovedì tredici dicembre. La notte, che sarebbe arrivata da lì a poche ore, era la famosa notte di Santa Lucia, quella che l'inverno si sarebbe portato via. Da un angolo di una strada sterrata, resa spettrale dalle luci fredde tutt'intorno, spuntò arrancando faticosamente una donna. Era magrissima e con riccioli biondi che le carezzavano il collo, vestita di nero e, mentre avanzava a fatica, si guardava intorno desolata: tutto era piatto, monocolore. Lei cercava, da tempo, un maniero ove terminare il suo vagabondare e fissare, finalmente, la sua dimora. Giunta che fu in una piana dove non si vedeva anima viva nel raggio di chilometri, mandò un pipistrello viaggiatore alla sua amica, la fidata strega Ginevralapazza, che abitava nel regno di Samarcanda, al di là del mare e dell'oceano.
- Un pipistrello? Non avevano il cellulare, un computer sul quale scrivere una mail?
- Bambini, è una favola: avete mai letto di fiabe che parlano di PC e di posta elettronica? Era un pipistrello, ho detto, ed era pure speciale, perché aveva il super turbo diesel catalizzato nelle ali. Tant'è che nel giro di poco tempo, arrivò fino a Samarcanda e tornò con la risposta di Ginevralapazza. La donna bionda fece saltare, con estrema eleganza, la ceralacca che chiudeva il plico con l'unghia smaltata del suo pollice e lesse, tutta felice, le poche parole che la delicata grafia di Ginevra aveva vergato: "Ci sto, procedi pura, sorella strega". Perché dovete sapere, bambini, non ve l'ho ancora detto, che la donna che cercava la sua casa era una potente strega, una delle pochissime specializzate in una magia molto ma molto ma molto speciale.
- Ohhhhh
- Zitti, non è la canzone di Povia questa, è una fiaba, capito? Una F I A B A! Ascoltate che succede adesso. La nostra strega, che aveva preso la laurea nel regno avorio di Scrivicomio, con un master speciale all’università del BorgoNarrantre, dopo un tirocinio breve come apprendista nell’ufficio di Versi&Prosa, tirò fuori dai suoi jeans…
- Jeans?!?! Ma scusa, PDG, hai detto che non c'erano i computer, non c'erano le mail e ci sono i jeans? Dai, non sei mica credibile…
- Ma siete stronzetti eh? Dove la mettiamo la licenza prosipoetica? E poi, come vi ho già detto, è la mia fiaba e voi non potete assolutamente interferire. Quando un famoso editore mi chiederà di inviargliela ché la vuole pubblicare in centotrentacinquemila copie, allora domanderò la vostra collaborazione e farete l'editing, per ora non potete far altro che continuare ad ascoltarmi. E mi avete pure fatto perdere il filo! Dov'ero arrivata? Ah, sì, i jeans… Dalla tasca posteriore, e con una certa fatica perché lei li portava stretti e fascianti come una seconda pelle, estrasse la sua bacchetta magica e bidibibodibibù, disegnò un cerchio nell'aria e in un battibaleno costruì la sua casa. Dovete vedere, bambini miei, com'era povera e spoglia di tutto, metteva quasi tristezza. Ma la strega Nocturna, sì, il suo nome era quello, non si perse d'animo e rispedì il pipistrello con il super turbo diesel catalizzato nelle ali di nuovo nel regno di Samarcanda, era sicura che Ginevralapazza avrebbe accettato subito di trasferirsi, magari temporaneamente, nella casa della sorella Nocturna.
Ginevra fece una magia su sé stessa, divenne piccina piccina e si accoccolò tra le pulci del pipistrello per fare il lungo viaggio, sino al regno delle Penne. Sì, perché nel frattempo la strega Nocturna aveva già battezzato la sua casa con l'altisonante nome de In punta di Penna!
- Ma dici davvero? Proprio il nome di questo spazio, dove siamo noi in questo momento?
- Eh sì, ragazzi, proprio questo!
- Ma che altro fecero le due streghe?
- Ora ve lo dico, ma tutto nacque da una magia quindi, bambini, tenetevela per voi e non confidatela a nessuno, nemmeno sotto tortura, perché se qualcuno la impara dopo vuole provarci e potrebbe essere molto ma molto pericoloso, se non si conoscono bene gli ingredienti da usare.
Le due streghe mossero in sincronia le loro bacchette magiche, il pipistrello si duplicò in mille pipistrelli che partirono immediatamente verso i regni più vicini, a seminare plichi ben sigillati con la ceralacca che trattenevano saldamente tra le zampette durante il loro volo. Nel giro di poco tempo, approdarono alla casa tantissime persone che scelsero le stanze che più gradivano. Nocturna e Ginevra giravano soddisfatte per i corridoi, felici di vedere popolate le stanze della prosa, quelle della poesia, per non parlare poi del gran salone della musica, ove, per entrare, si doveva persino spingere! Solamente nel corridoio a luci rossi ci si avventuravano in pochi, e quando lo facevano il rossore dei volti si confondeva con quello acceso delle pareti.
- E poi che successe?
- Successe che dopo il primo momento di euforia, man mano che i giorni scivolavano nella clessidra, alcuni abitanti divennero mogi mogi e spesso latitavano le stanze. La strega Liesma arrivò in aiuto delle sue sorelle con una grande valigia.
- Una valiche?
- Una valigia, non sapete che è una valigia? La valigia della strega Liesma era stracolma di penne che erano state riempite con inchiostro magico di fata, ognuna con un colore diverso. Diede istruzioni alle sue sorelle e ripartì per il regno del Qatar, dove l'aspettava un bellissimo principe dai capelli e dalla barba rossa che la voleva impalmare regina, sapete, la strega Liesma era sempre di corsa e parlarle era spesso un’impresa impossibile!
Nocturna e Ginevra lessero attentamente il foglietto delle istruzioni che aveva lasciato Liesma per ogni eventualità, si era sempre fidata poco della memoria delle sue sorelle, ed aveva copiato, coi disegnini, il libretto delle istruzioni dei lego. Per prima cosa Nocturna e Ginevra scorsero il libro degli ospiti e, per ognuno di loro, scelsero dalla valigia la penna che a loro apparteneva di diritto.
Poi, uno alla volta, li chiamarono a loro e, con solenne cerimoniale, consegnarono le penne magiche, stando attente a non confonderle, perché se fosse capitata a Massimo Guisso la penna di Materdea sarebbe successo un patatrac. Così come se a Rubinia fosse capitata quella di Alkimias, a Nuccina quella di Miaghi, a Sorcio quella di Penna Libera o quella di Neferlabella, a Luciano Sanna quella di Flussodiparole, a La Mar quella di Gibbì e per non parlare, poi, di quella di Almitra: non si poteva pensare il macello che avrebbe combinato tra le mani di Mariovaldo!
Nocturna e Ginevra lavorarono alacremente una notte intera, senza interruzione alcuna e all'alba, finalmente, tutto era pronto: avevano dato istruzioni precise a tutti i proprietari delle penne, chiedendo loro di scrivere una fiaba; dapprima tutti, tutti quanti avevano declinato l'invito: dicevano, i poverini, che non avevano nulla da raccontare, perché le favole sono per bambini e loro erano invece grandi, non ce l'avrebbero mai fatta, nemmeno a sforzarsi!
Penne di poca fede…
Mentre protestavano in coro, con un brusio che poteva persino sembrare fastidioso, ecco che le penne che stringevano in mano si mossero da sole, come calamite furono attirate dai fogli bianchi che stavano davanti a loro ed iniziavano a incidere parole e ancora parole, tante parole che uscivano veloci, sempre più in fretta e parevano non fermarsi mai, e ancora e ancora e ancora, per cento minuti non si fermarono nemmeno per andare a fare una pausa pipì, invidiando coloro che si erano premuniti di pannoloni e cateteri.
Fu solamente il fischio magico sincronizzato di Ginevra e Nocturna, alle quali ormai iniziavano a girare gli occhi, che riuscì a fare smettere il vorticare; i proprietari erano sfiniti, le braccia rattrappite da crampi dolorosissimi e gli occhi vitrei e stanchissimi dal seguire le parole che loro stessi avevano, magicamente, scritto.
Le due streghe, che per magia erano diventate bellissime fate, passarono a ritirare i fogli: le storie che ci furono scritte le avete lette, per sedici giorni e sedici notti ci fecero compagnia.
A me, la più sfigata, il numero diciassette ha sorteggiato, l’Admin malefico, ma è un numero magico, sapete? È un numero primo, il diciassette!
Vi è piaciuta la favola, bambini?
- Sì, raccontane un'altra, per favore, ci è piaciuta tanto! Dai, per piacere, ancora una…
- No, bambini miei, la mia giornata è finita, e dicono anche, dalla regia, che per questa tornata non c’è più nessuno dopo di me. La prossima volta toccherà ad altri autori e ad altre pagine: quelle ancora da scrivere, sono rimaste alcune penne, là nella valigia, che non hanno ancora trovato il loro proprietario, ma che presto arriverà e con la magia speciale, ancora parola sarà.

***

La telefonata di ieri sera mi ha riportato indietro negli anni, le risate e la gioia di parlare è immutata. Un salto temporale annullato con uno squillo, la conferma che quando io e te ci siamo annusate, i nostri odori ci piacevano e dei tanti amori, amicizie virtuali, tu sei rimasta ben oltre il reale. Il fatto che tu vuoi il mio parere sui tuoi futuri progetti mi onora, sono cambiata, sì, ma non al punto dallo smettere di riconoscere chi è a un livello superiore al mio per conoscenza e cultura e tu lo sei, solo che ho smesso di sentirmi inferiore in un senso negativo, ho imparato - invece - che ascoltare mi aiuta a crescere.
Loredana, vieni a trovarmi! Adesso ho una casa grande, posso ospitarti e puoi fermarti tutto il tempo che vuoi! Avresti un piano tutto per te, un giardino dove sorseggiare assieme un bicchiere di vino e immergerci in un miliardo di chiacchiere mentre i cani stanno tranquilli ai nostri piedi in attesa di una carezza. Poterci parlare guardandoci in faccia, parole nude in ogni sfaccettatura: sempre quelle, ma che ogni volta sono diverse. E che possono tacere per mesi, forse per anni, ma poi si ritrovano come se l'ultima sillaba fosse stata respirata due secondi prima.
Un bacio, bella alta magra e faiga.
Strega!
Daniela

***

Buongiorno bella signora
La Tua mail è lieve e morbida come le piume degli angeli. Mi ci avvolgo e mi coccolo con grande gioia e piacere.
È stato un riflesso pervinca e argento che ha sfiorato il mio giorno, ho sentito un profumo cangiante e speziato, quello dell’amicizia vera, che quasi ho percepito in bocca e mi è parso scricchiolasse sotto i denti come grani di pepe fragranti.
In un periodo dove una confusa e mortale apprensione mi sovrasta e comporta la percezione di una ondata di assoluta indifferenza nei miei confronti, le Tue parole sono state un balsamo.
Lo so, mi piango addosso per i miei pensieri, ma mi pare di non avere nessuno con cui condividere i ricordi e ciò ha il fetore di una maledizione stagnante.
Il Tuo invito spontaneo, gentile e affettuoso mi ha commosso e rincuorata.
Verrò, ti rivedrò, mi sei mancata e non vorrei che ciò accadesse più.
Ti voglio bene strega e ho scritto in viola, il nostro colore.
Un bacio
Loredana

***

Ciò che di esso dura, scrive e dice un mio amico caro.
Ed è pura meraviglia risentire una persona dopo molto tempo, ritrovare nelle reciproche parole la naturalezza di sempre, la risata che ci protesse un tempo e che, oggi, ci fa ridere nello stesso identico modo.
La poesia delle parole e la conoscenza di sapere giocare con loro fino ad avvolgerti, come in un bozzolo, e a confermare che il grimorio è stato solamente chiuso per un po' di tempo ma nel momento in cui una mano lo ha riaperto, ecco là tutte le ricette per superare stati d'animo negativi e dolori per approdare al ritrovamento del piacere della condivisione delle gioie.
Poesia in pochi semplici righi che mi fanno gonfiare il petto e lo fanno tremare per la consapevolezza della verità della mano che le ha scritte. E mi regalano pensieri leggeri, pensieri felici.
Ci sei stata, ci sei e sempre ci sarai, amica mia.
Alchimista del dire, strega nell'essermi così simile.
Non ci perderemo: chi si conosce dentro, fin nel pervinca, non si può perdere perché in quel colore c'è un filo sottile che ci ha unito, ci unisce e ci unirà.
Ti voglio bene, Loredana.
Daniela

***

Vedi Amica mia
Quando si è una strega nell’accezione meravigliosa del termine, o meglio come amava dire una persona che non c’è più, la strega è un frutto di terra, si divina e la divinazione consente di percepire il malessere di chi si ama.
E allora si manda una carezza lieve, come una fiaba che sa di ricordo, di nostalgia, che ti porta nel tuo altrove.
Mi pare fosse Platone che riportava la scritta sul tempio di Apollo a Delphi, oramai in frantumi dove era scritto: conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei.
La modernità non ha saputo far altro che leggervi “psicanalizza il tuo ego” con buona pace dell’universo e degli dei che sono stati bellamente dimenticati e scordando anche che lo scibile umano comporta due aspetti, quello quantitativo e quello qualitativo.
Solo le streghe che amano intensamente un’altra/ altro, sanno dispensare con dovizia la qualità.
Da questa dimenticanza umana, e ripeto solo umana, l’unica scienza che è rimasta intonsa, seppur di pochi, è la magia donata a rarissime persone.
La magia della parola, prima di tutte le altre, che nella sua forma più elevata che Tu ben conosci amica mia, è costituita dalla manipolazione di poteri materiali o sottili utilizzati per distruggere metodicamente le scorie che ricoprono la scintilla divina che riposa in ciascuno di noi, in maggiore o minore misura.
Ti ho chiesto di divinare, e mi hai risposto, senza tener in cale che la richiesta di divinazione del futuro spesso non è altro che la esasperata ricerca di una sorta di coperta di Linus per le paure, sempre più vaste e rinforzate dalla solitudine di oggi.
E pensare che nel passato l’urgenza di divinare era riservata alle classi più abbienti, perché le altre dovevano sopperire alle necessità del quotidiano.
Ma una fiaba come quella che mi hai mandato è più succosa e ricca dell’alimento più pregiato e stuzzicante.
È un nutrimento per l’anima.
Grazie amica mia.
Loredana

Ti rileggo, mi rileggo e mi perdo nella nostalgia dell’assenza.

Vorrei averti di fianco a me, nel tuo studio con la poltrona di marocchino rosso, un calice di vino in mano mentre mi racconti dei libri antichi alle librerie di noce scuro alle pareti, della vecchia lampada nell’angolo che diffonde nell’aria una luce ambrata.

Vorrei che mi accompagnassi ancora nella chiesa sconsacrata della tua casa immensa, che mi raccontassi ancora una volta quando da bambina ti ci avventuravi perché, là, tra i banchi intarlati, entravi in un mondo dove nessuno poteva sfiorarti e toccarti perché quello era il tuo regno, invalicabile a chi non riusciva a vedere la lucentezza che lo illuminava.

Vorrei nuovamente sfiorare con te le targhe di maiolica attaccate al muro del tuo giardino, ognuna coi nomi dei cani che hanno vissuto con te fin da quando eri bambina e che hai amato come quei figli che non hai mai avuto.

Vorrei tu fossi qua, come ieri, a preoccuparti per me e per le mie frequentazioni, quando mi raccomandavi di mandarti un messaggio ogni due ore perché avevi paura che lo psicopatico potesse farmi del male.

Loredana mia, quando mi scrivevi le tue ultime mail eri già ammalata, vero?
È questo il motivo vero per cui non rispondevi più alle mie chiamate?
Oggi lo so.
So che volevi preservarmi dal dolore di condividere con te la dolorosa salita del tuo Golgota, hai preferito farmi intendere che non avevi più tempo per me.
Oggi so che tutte le giustificazioni apposte al tuo negarti non erano determinate dall’indifferenza e dalla dimenticanza di me, ormai guarita delle ferite: hai voluto proteggermi, ancora una volta, dal dolore.
E forse ti sei lasciata andare al tuo dolore solamente quando hai avuto la certezza che io ero diventata forte e non avevo più bisogno di te e dei tuoi capelli biondi dei quali ho sentito il profumo quando ci siamo abbracciate quell’ultima volta, molti anni fa e mi dicesti che in un’altra vita, io e te, saremo ben altro che due amiche: saremo un’anima sola, emanante una lucente aurea viola ma solamente a chi poteva vederci al di là del corporeo.
E ti sento, adesso, che mi sfiori e mi regali una carezza perché hai letto queste mie parole.
Ciao, Strega, ci ritroveremo presto.
Aspettami.
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