Un immenso rumore di mare

Mamma ora che non ho più niente, nessuno potrà levarmi il freddo addosso.
Cercavo quel luogo dove fosse cominciata la storia, trovando solo un ventre d’acqua.
E’ sempre stato così. Me lo raccontavi talmente bene, quasi fosse una favola orrenda dove tutto funzionava al contrario. Così un pescatore, per mantenere la famiglia, finiva per essere pescato dai suoi amici; proprio su quella riva dove sua figlia aspettandolo, s’inventava dei giochi. Tu mi chiamavi dalla cucina sfidando il vento, perché si sa, tutte le mamme del mondo per strappare i figli all’immaginazione, devono gridare. Il tempo era al sicuro nella casa che mi ha vista nascere, sempre con te come testimone. Una vita senza padre e marito tra i piedi. Cosa potevano saperne gli altri, di quanto pesasse essere donna, in un mondo di uomini. Solitudine e tenerezza, si allearono per prendere le tue sembianze. Avevano il sapore delle torte e il calore dei cappelli di lana, fatti per sfidare la tramontana – tu non conosci quale pericolo ti alliscia i capelli – così mi dicevi, perdendoti in pensieri più profondi di me. Poi in un baleno perdesti la tua bellezza. E’ come se fatalmente sulla trasparenza della tua memoria, fosse calata la notte. Dimenticasti perfino di essere stata moglie e madre per proteggermi. Bambina diventasti, prendendomi la mano. Non era lì che volevi andare? Dove tutte le cose annegano, e si perdono le parole per dirlo. Come se si nascondesse un segreto, perché da queste parti il silenzio non esiste veramente. Tutti si ascoltano a modo loro, fanno da passaparola, da tempi lunghissimi. Abitano sul bordo del mondo, bagnandosi appena i piedi, prima di scomparire…