IL RUMORE DEL CIELO/SUSSURRI DI COLORE - DANIELA MICHELI

C’era un opprimente rumore di silenzio attorno che lo avvolgeva d’ovatta, intenso, denso e all’uomo pareva quasi di vederlo, di sentirsi sulla pelle quei brividi di niente.
Gli pareva di poter allungare la mano e di toccare quel nulla ma non azzardava il gesto, uncinato alla gola da una sensazione d’ansia crescente.
Restava in piedi davanti alla finestra, a scrutare il giardino, le case attorno, la vasta campagna che si perdeva lontana dove iniziava la linea delle montagne.
Non soffiava un alito di vento a scuotere le fronde degli alberi; sembrava che anche le nubi in cielo si fossero immobilizzate nell'attesa, in forme grevi, a colorare l’azzurro di spume gonfie, ora nere ora bluastre.
Si udivano gridi di uccelli ma non li si vedeva volare, stavano rintanati tra le foglie.
Nella casa non si sentiva un solo rumore: nessun ronzio, né un cigolio di qualsiasi tipo a tagliare il silenzio che soffocava le stanze e la figura maschile in piedi con le spalle rigide.
Era un uomo fatto, ma non riusciva ancora ad allontanare da sé ataviche paure di bambino che ancora lo ponevano in uno stato di agitazione.
Non temeva il buio, ma temeva il silenzio; oltre il buio qualche cosa c’era, bastava solamente cercarlo nella luce.
Nel silenzio non c’era nulla e l’udiva, lo sentiva come in sottofondo sempre, come un lamento; non lo sentiva con le orecchie ma lo percepiva con la testa, quando l’aria entrava dentro e nel vibrare produceva il suono costante del nulla.
Assoluta mancanza di suoni, solo la vibrazione che dal capo arrivava alle orecchie a paralizzarlo totalmente in quell'attesa.
Si ripeteva come un mantra che anche il nulla ha un suono, se lo ripeteva in un soffio solo sussurrato per esorcizzare con la sua stessa voce il terrore che da quando si era messo alla finestra cresceva ad angosciarlo, a lasciare la sua bocca secca di saliva, il cuore a pompare scomposto e il sudore gelido sui palmi delle mani.
Smise di parlare a sé quando il primo brontolio giunse da lontano.
La pioggia arrivò dopo pochi secondi.
Finalmente le gocce iniziarono a cadere pesanti e tutto riprese vita: gli alberi presero a scuotersi sotto le sferzate del vento, le nubi ricominciarono a rincorrersi veloci.
Il rumore del silenzio fu sostituito dal rombo del temporale.
L’uomo respirò profondamente il suo silenzio trasformato in quel vitale frastuono.
Una ruga gli tagliò la bocca con un sorriso di sollievo.

Buongiorno PDG e buongiorno a tutti.


1) Il rumore del cielo
Hai cercato di trasmettere l’ansia dell’uomo, solo, nel suo terrore del silenzio, collocandolo in un momento particolare, in mezzo all’assoluta mancanza di rumori e di vitalità, alla calma e all’immobilità che regna un attimo prima che scoppi un temporale, la quiete che regna sovrana prima della tempesta (molto cinematografica per la verità la sequenza che descrivi, mi hai ricordato l’immobilità di alcune riprese di Visconti). Non sappiamo il perché quest’uomo teme il silenzio sin da bambino e ne è terrorizzato più del buio. Ci dici solo che per spezzarlo lui si parla, cercando di rendersi meno insopportabile il nulla che lo circonda e che finalmente termina con un sorriso tirato nel momento in cui cadono le prime gocce di pioggia, accompagnate dal rumore del tuono e tutto riprende a vivere. Nel limite di 2000 ci è stata un po’ stretta la chiusa, rispetto alla prima parte che mi pare minuziosamente descritta, il finale è affrettata. Da ampliare anche per meglio rendere anche lo stato d’animo liberatorio dell’uomo.

2) Sussurri di colore
Da Visconti qui mi pare di piombare nelle atmosfere introspettive tanto care a Bergman… Una donna, che si parla, si sprona a ricordare dentro al buio che in quel momento è l’unico colore che vede, i colori che solo nei ricordi può ritrovare. Due donne assieme, uniche eppur in quel momento divise, accomunate solo dai ricordi che vengono provocati a riaffiorare. E da qui parte il viaggio, per scacciare la monocromia di un colore soffocante come il nero per ritrovare i rossi accesi di un bosco incendiato nell’autunno con una figura maschile che mi pare possa rappresentare il padre. Poi recupera il bianco di un abito di sposa, poi il rosa di un bambino appena nato. Un viaggio sussurrato tra sé e sé nei suoi ricordi, che fissano tre punti della sua vita: figlia, moglie e madre. E in questi sussurri di ricordi, ritrova la forza per penetrare il nero di un momento cupo, opaco, piatto nel quale pare non vedere più nulla.
Piaciuto molto questo secondo PDG. Molto, anche per la scelta tutta dialogata tra le due voci. Una sceneggiatura, sì, che teatralmente renderebbe.

Chi ben comincia è a metà dell’opera…
Se queste sono le premesse, avremo una tornata che avvolgerà per bene i nostri sensi.
A dopo.