PARLAMI - ANAM GAETANO BENEDETTO

La lettera arrivò con la distribuzione del pomeriggio ma io non ebbi subito il coraggio di toccarla: aveva l’aria di chi vuole rimanere per un po’ a farsi accarezzare dal vento.
Il sole alto e potente faceva bella mostra di sé. Il mare calmo come la coda di Bob il mio cane  che intanto mi scrutava.
L’indice destro, assunta vita propria, si divertiva a percorrere il sottile profilo della busta che in seguito all’eccessivo viaggiare, aveva assunto un colore grigiastro. Con stupore mi resi conto che non scottava. Proprio no.
Scesi in spiaggia. I primi timidi bagnanti giocavano a rincorrersi in acqua.
"Ciao Lorenzo "  
era la voce di Francesca, la ragazza che per il secondo anno di fila aveva preso in gestione il bar a pochi metri da casa, ma quel suo saluto non riuscì a riportarmi in vita: lo sguardo era perso nel vuoto come i miei pensieri.
Bob aveva preso a correre e ad abbaiare credendo di poter spiccare il volo, come il gabbiano che inseguiva.
Le note di “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin mi ricordarono che ero ancora in vita. Provenivano dal bar di Francesca che osservavo, adesso, mentre infilava le mani piccole e candide nelle tasche posteriori dei pantaloni.
Avvicinandomi al piccolo bar avevo cercato affannosamente di nascondere la lettera. Evidentemente c’ero riuscito.
La vodka martini che avevo ordinato non smetteva di girare e di giocare a rincorrersi col ghiaccio che si andava via via sciogliendo. Continuavo a cincischiare con quel bicchiere in mano e Francesca sembrava stupita dall’attenzione che riponevo in quel passatempo così banale, infantile.
Ero catturato da quel momento, dalla voglia di leggere quelle righe e di scoprire cosa avrebbe cambiato, nella mia vita, il contenuto di quella busta. Impossibile trattenere la mente e i ricordi che ne scaturivano. Impensabile non assaporare quei minuti di tensione in cui il cuore non smetteva nel petto di danzare. Restavo sordo alle battute prive di senso che Francesca continuava a sciorinare e che avevano solo lo scopo di strapparmi un sorriso.
Avevo conosciuto Giulia per caso, entrando nell’edicola dove lavorava. Seguendo il filo delle coincidenze, come spesso accade.
Amai subito il suo sguardo, il suo sorriso. Mi divertivo a nascondere piccoli pezzi di carta dove riponevo i miei pensieri, tra le riviste, così da immaginare lo stupore in Giulia alla loro scoperta.  La mia immaginazione godeva di quell’attesa.
Un giorno, ormai insoddisfatto dalle attese, decisi di rischiare e  di dare un respiro e forse un futuro al quel gioco. In uno di quei tanti foglietti, dopo una frase ad effetto di Pascal, inclusi il mio indirizzo: quello della casa al mare. Solo ora comprendo perché scelsi proprio quel secondo indirizzo per Giulia: più che "casa" quello era il mio rifugio, il luogo dove trascorrere le mie giornate migliori, il nascondiglio dove rimanere integro.
La busta che avevo appena nascosto in tasca era di Giulia, non poteva che contenere una sua lettera, un messaggio... ma quale?
Salutai con un cenno della mano Francesca che mi rispose con un sorriso. Aveva capito il mio stato d’animo, a suo modo mi conosceva a fondo.
Bob, rimasto accucciato tutto il tempo, nel vedermi muovere verso la spiaggia balzò sulle quattro zampe in preda ad una felicità indescrivibile, continuava a girarmi intorno velocemente e a saltellare come una ballerina prima d'un arabesque con plièe.
La lettera immaginata, e ancora celata, mi trasmetteva energia, eppure pareva affaticarmi il respiro. La tirai via dalla tasca posteriore dei miei vecchi e amati jeans e presi ad osservarla con cura e precisione, soppesandola; infine la misi tra me e il sole come una radiografia, ma niente, il grigiore mi impediva d’andare oltre lo strato di carta.  

Poi il buio, e solo dopo mi resi conto d'essere svenuto.

Mi risvegliò il dolore insistente all’occhio sinistro: la pallonata che avevo preso in pieno volto mi aveva scaraventato per terra, come un bambino impreparato, indifeso.
Con un’ occhio chiuso in stile capitan uncino cercai in tutti i modi di farmi largo tra la gente che pian piano era stata attirata dal mio gesto circense.
Camminai con fare indifferente e decisamente a disagio, puntato da troppi sguardi, sul bagnasciuga per qualche minuto, ipnotizzato dall’ ondeggiare del mare.
Digrignai i denti, e con la rabbia che solo l’amore sa dare, tirai fuori la lettera dalla busta. Poche righe: la scrittura tondeggiante di Giulia mi fece sorridere, ricordandomi le elementari, le punizioni dietro la lavagna. Michele,  Mario ed io, a rincorrerci tra i banchi. La ricreazione, i compiti da barattare con la promessa di un bacio.
Un sorriso, un pensiero: Giulia aveva la forza di regalarmi sempre un motivo per cui stare al mondo, anche in sua assenza.

Le lacrime scivolavano dal mio viso, rinsecchito dalla brezza marina, alla lettera ed erano la conferma di quel sentimento che io provavo da tempo: Giulia era la donna che io amavo.
Il mare ne divenne testimone.
Tirai via dai piedi le Converse, ripiegai la lettera e la infilai nuovamente nei jeans.
Entrai in acqua con la cura con cui si accarezza un bambino.
Il tramonto seppe mantenere la promessa di bellezza che da sempre sussurra all’orecchio di chi si ama. Godevo della natura, dell’idea di Giulia e del tempo che avevo trascorso in compagnia di quella lettera. Le mani si rincorrevano in acqua, i piedi in armonia si muovevano facendo si che il mio corpo prendesse il largo. Giulia era il mio pensiero costante.
La mia mente ormai confusa e stordita prese a sorteggiare i pensieri senza un’apparente ragione, e non fu una sorpresa ritrovarmi a pensare a Giulia durante una seduta dall’estetista, immaginavo  il suo volto abbruttito dalla maschera idratante. Non fu un caso ritrovarla sempre bella nella mia mente, bella comunque.
Il ritorno a casa mi consentì di riprendere fiato, di dare un velo di serenità al mio volto.
La lettera non mentiva. Giulia era li che mi attendeva con impazienza, mi aveva aspettato tutto il tempo.
Una rapida occhiata fu la conferma: lei mi amava.
Quello che provai vedendola diede un senso alla mia vita. Il cuore cambiò posizione mille volte e forse più.
Ebbi il tempo di prendere la penna che da sempre porto con me, la penna dei pensieri rubati al destino e scritti su tutto quello che capitava per mano, foglietti, scontrini, una volta anche il sacchetto che avvolgeva il pane.  
Le sue righe cariche di passione meritavano una risposta.  
Mentre scrivevo sentivo Giulia avvicinarsi, il suo profumo, il rumore dei suoi passi.
Il mio respiro si fece affannoso, mentre scrivevo con furia, fino a vederla a pochi centimetri da me. Nessun bancone o giornali impilati a dividerci:  era un sogno, e sentire alle spalle il fragore del mare regalò al quel momento una visione quasi cinematografica.

"Questa volta non giocherò a nascondino con i miei pensieri, leggere la tua lettera è stato bellissimo, vederti lo è ancora di più"

Tesi la mano con il mio bigliettino, il primo senza paura.

Parlami di te,
degli occhi che smarrisci
e dell'isola che porti sul tuo seno.
Dimmi delle ore d'attesa,
delle tue dita colorate
e dei tuoi fianchi generosi come l'estate.
Lasciami scoprire in te come nel mare
    la vita.

Il mio problema per commentare è il sapere chi è l'autore...
Non è corretto, lo so, ma non riesco a scindere autore-scrittore.
Onestamente ti dico, PDG, che qui ci sei tutta tutta tutta: c'è l'attesa per un amore che si aspetta, l'andargli incontro con gli occhi ancora non disillusi, pieni di dolcezza e di speranza.
Con la lettura sono tornata indietro, di tanti, troppi anni. E ciò è stato emozione, ricordare com'ero e quello che ti faceva sfarfaleggiare il corason...
Bisognerebbe riuscire sempre a vedere con occhio come il tuo, sì.
Ciao, PDG.