Perdere parole dalle dita - come un paesaggio vetrifcato.
La parola che fotte l’anima e se la rimorchia appresso chissà dove.
Bene, mi ha fottuto. Ha fottuto un po’ tutti.
Domani so che sarà diverso, ma questo è il momento nero.
Il momento doc del nero.
Stavo solo per svoltare l’angolo della mia vita, lo spigolo di quel palazzo che mi son messa sulle spalle,
6 piani a piedi sulle spalle ogni mattina,
di scale avanti e indietro, su e giù, sopra e sotto
(che sia il fantasma femmina di Escher?!)
stavo per dire – è marzo, è “quel mese” , la mia nascita nuova…..stavo troppo positiva sull’altalena mentre era solo una partita sporca con me stessa.
Ho mentito, ma non fingevo. E per essere marzo, è marzo. Un dato di fatto.
Ecco l’afasìa dei silenzi.
Eccola qua la stupida afasìa delle non parole.
E lucidità sparse a ventosa sulle imperfezioni del dire.
C’è imperfezione in tutta quella perfezione detta, come perdere parole dalla dita
perché non puoi farne a meno.
Basta steccarle, dicono. Ottimo rimedio. Ritrovare equilibrio.
-Promemoria ; provarci almeno, per credere-
Ma a me non servono i silenzi, che m’hanno ucciso sempre al gelo degli inverni e ho giurato di non volerli mai più allattare al seno.
Io che del sole mi nutrivo gli occhi in due gocce minime.
Non chiuderò più le persiane sulle ciglia.
Resto a guardarmi, anche se questo è il momento doc del nero
perché là fuorì c’è un arcobaleno gigante.
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Alkimias