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 ESTETICA DELLE SPINE

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Daniela Micheli
maria cristina gea
Luciano Sanna
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Luciano Sanna
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MessaggioTitolo: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime13/5/2008, 17:29

Mi sveglio di soprassalto passando dallo sdraiato al seduto con un affanno più mentale che polmonare, punto da piccoli segnali nervosi del corpo che trasmettono dolore.
Non è ansia dall’essersi destati all’improvviso, sento la sofferenza carnale che prende il suo meritato posto e lo occupa con priorità assoluta.
La luce è ancora accesa, è rimasta così da ieri; come anche il televisore che trasmette consigli per gli acquisti delle prime ore mattutine. Non ricordo neanche cosa guardavo quando mi sono addormentato.
Dalle finestre si percepisce la prima luce del giorno.
Vorrei aver navigato in un sogno fatto di bende, garze e pomate, corsie profumate di fiori stordenti e ci sarebbero state anche le infermiere da cinema trash degli anni 70, scollacciate e col linguaggio colmo di doppi sensi.
Invece è una realtà, ineluttabile, incontrovertibile e inoppugnabile, come ogni realtà, del resto.
Ho l’avambraccio destro completamente fasciato.
Non ci sono stati fiori, infermiere e corsie alla Prof. Sassaroli, sorrisi ed ambiente da sogno, ma l’inaspettato viaggio in Pronto Soccorso, medici efficienti ed un male da bestie.
Un salsicciotto bianco, opulento come un grosso grasso verme bozzolo dentro il quale spero che rinasca il mio arto farfalla. Spuntano solo i mozziconi di dita che muovo nervosamente sperando una rivitalità ad una infermità.
Mi alzo e cerco il grande specchio nel quale il colore del nudo è interrotto da questa macchia che non mi sento di definire candida, anche se rientra nelle caratteristiche di quello spettro di colore.
Che palle!
Confronto l’altro avambraccio, quello sano, il sinistro; vedo un polso che adesso mi sembra bello anche se robusto, una mano adesso nervosa, una pelle adesso tonica sopra muscoli evidenti. Ma li noto in questo modo perché dall’altra parte sono nascosti dalla voluminosa escrescenza in tessuto sanitario. E me ne rendo conto.
Un sospiro di rassegnazione.
Va bene, una giornata nuova inizia.
Pragmatismo.
Ho avuto un piccolo incidente, sono infortunato, oggi non si lavora e devo andare in ospedale per fare la prima medicazione, ho tempo a disposizione, è necessario lavarsi, vestirsi, colazionarsi e recarsi laggiù.
Benissimo.
La doccia.
Una bella sega.
Non posso entrare in cabina così.
Scarabattolo sotto la cucina e trovo il sacchetto più grande che c’è, quello con la scritta COOP in evidenza, infilo l’estremità malata e cerco di legarlo con l’unica mano libera aiutata dalle arcate dentali.
Il getto di acqua calda è liberatorio, anche se mi fa ricordare che un altro getto di altra acqua molto più calda è stato ciò che mi ha reso in quella situazione.
Massaggio ed inschiumo, lentamente, con cura ed occhi chiusi.
Quando li riapro vedo l’acqua ai miei piedi rossa.
Anche altre parti del corpo sono diventate rosse.
Anche il sacchetto è rosso scolorito informe.
Maledico solo per questa volta i colori biodegradabili che si sciolgono, mica si legge da qualche parte che la stessa scritta COOP si possa liquefare. E se vai a fare la spesa con 40 gradi di temperatura che succede?
Sciacquo tutto, esco e mi asciugo, togliendo quel merdoso sacchetto ora diventato bianco.
Occhei, la barba adesso.
Si, una parola.
Con la destra fuori uso sarà un casino.
Del pennello non se ne parla.
Mi viene in mente che adesso posso utilizzare uno di quegli Shaving Foam spray che vengono regalati quando non si sa cosa donare a noi uomini, non pensando che essendo quasi tutti profumati, ti ritrovi ad avere addosso l’odore della schiuma, poi la fragranza del dopobarba e poi magari due spruzzate del profumo ufficiale per completare l’opera, ad emulazione del gobbo di Suskind.
Si, però come si fa a darsela sul viso?
C’è la pubblicità, no? Come se non li avessi mai visti i figaccioni da mascella quadrata che si spalmano la soffice crema sul viso sorridente.
Ed allora imitiamoli, no?
Ecco, si, una bella palla da neve sulla mano sinistra e vai sul liscio, anzi, sull’ispido.
Suona un telefono. Chopin è nell’aria ed entra in bagno.
Non è quello del lavoro che è anche diventato troppo personale, questo suono è del personalissimo, che hanno in pochi.
È Lei.
Però come diavolo rispondo?
La sinistra è piena di schiuma, la destra ha solo parti libere di falange.
Ed ho la faccia avvolta dal bianco sino alle orecchie.
Lo prendo con le dita libere della destra fasciata, a giusta distanza dall’orecchio perché non entri in apnea da Intesa pour homme.
“Ciao tesoro, tutto bene?”
“Si, sssssenti, possiamo sentirci dopo? Sto facendo la barba.”
“…maaaa… cosa fai dopo?.....stai bene?....”
“Si, sto bene, dai ti chiamo dopo”
“Vabbè… ciao”
Lo so che vorrebbe fare la solita lunga telefonata di inizio giornata, ma devo posticiparla.
I giovani amori hanno bisogno di considerazioni illimitate, al di là della ragionevole ragione.
Comunque usare la sinistra per azioni che sono sempre state svolte dalla destra mostra dei limiti fisiologici ai quali non si sottrae neanche il rasoio, anche se usato piano e con scrupolo.
Passando alla vestizione si attuano le difese mentali che fanno scegliere abiti attraenti in contrapposizione al corpore non sano ed il pantalone di bel taglio e stoffa sembra il grido al mondo per far vedere che sto bene a prescindere, ma la realtà ritorna ineluttabile quando i lacci delle scarpe abbinate richiedono di essere legati fra loro; ho la sensazione di essere in una pantomima di fronte a questo stringato che non riesco ad interpretare nella sua funzione e mi volto di colpo verso la giacca pronta sul letto, pensando cose molto più razionali dell’estetica.
Cerco di infilarla per prova, così, a torso nudo, ed il braccio imbardato non passa dalla manica.
Vaffanculo.
Tolgo tutto e lascio scompaginati sul pavimento quelli che adesso mi sembrano stracci, per risolvere tutto con un paio di jeans, mocassini e giubbotto comodi.
Devo abituarmi per un vita a tempo determinato con la sinistra attiva in ogni funzione quotidiana, altrimenti vivrei male o dovrei avere una badante come gli anziani.
Anche una colazione al bar diventa momento dove sperimentare il prendere una focaccia, bere un bicchiere d’acqua e girare il cucchiaino di un caffè in modo insolito.
È buono quel triangolo di quasi pane, è ancora caldo per il breve trasporto dalla panetteria vicina; però quando Chopin si diffonde ancora nell’aria non so dove metterlo e lo tengo infilato in bocca per pescare il Nokia dalla borsa.
È Lei.
Dura parlare ad un telefono con la bocca già occupata.
Non rispondo, anche per l’imbarazzo di parlare vicino a decine di persone al banco.
La Levi’s produsse molti anni fa quel pantalone in cotone derivato dalla tela “Genova” che poi prese il nome americanizzato di jeans e quel modello fu denominato il “cinque tasche”; che siano di quel marchio o di migliaia di altri, originali o clonati, griffati o da lavoro, ci sono le due dietro, le due davanti, e quel taschino dove infilare le dita e far emergere le monete. Cinque in tutto, appunto.
Ci sono milioni di jeans al mondo e fantastico su una possibile linea trend con la piccola cavità per i soldini in metallo messa al lato sinistro, perché sino ad ora non ne ho mai visto un paio e adesso mi servirebbero per tirare fuori l’euro e ottanta, sperando di non essere il solo sulla faccia della terra con questo problema.
Anche l’accensione dell’auto è posta da quella parte e non ricordo un nottolino di avviamento dalla parte opposta.
Ho un moto istintivo di solidarietà con i mancini, che mi ricorda una sensazione simile verso i portatori di handicap quando divenni padre e spinsi carrozzine, che mi ricorda un’altra sensazione simil solidale verso le donne quando andai ad Ibiza da solo e provai sulla pelle ad essere adocchiato, corteggiato, tacchinato dal cascamorto che si siede per caso vicino a te.
Benedico anche la scelta di avere il fortuito cambio automatico, benedico che non esistano quasi più macchine senza servosterzo da girare con due mani, benedico ulteriormente che la leva delle frecce sia dal lato fortunato e sono ulteriormente contento che il biglietto per il parcheggio dell’ospedale non mi dia difficoltà ad essere tirato fuori dal marchingegno.
Maledico invece Chopin che non è collegato ai sistemi per parlare telefonicamente in auto e non lo posso tirare fuori dalla borsa con il braccio salame mentre faccio manovre fra le spine di pesce.
Gli unici posti liberi sono per gli handicappati e mi viene il pensiero fetente che solo per oggi potrei far parte anche io della categoria, ma le gambe per fortuna sono buone e riesco a sistemare l’auto anche se lontano a puttenburgo.
8:40 a.m.
Sono in ritardo di dieci minuti.
Chiedo informazione a degli infermieri fumatori appoggiati ad uno dei tanti padiglioni e mi dicono che posso entrare dal retro di quella grossa Unità di color ocra laggiù.
Passo da una porta per vivande e nel salone centrale trovo le indicazioni per l’ambulatorio di Chirurgia Plastica. Quello che mi sconcerta non è il passaggio dagli spazi verdi di questo ospedale vista mare in una bellissima giornata di sole ad un lungo corridoio con luce al neon e tante porte di studi ed ambulatori e file di seggiolini quasi tutti occupati, ma piuttosto l’odore di malattia, diverso, molto diverso dal solito odore di chiuso. Qui la gente soffre ed emette un respiro che lo evidenzia.
Il luogo del mio appuntamento è in fondo ed il passaggio è incorniciato dalle due parti da gente seduta in attesa, che osserva qualunque camminatore, facendo uno scanner sul perché si trova lì ed indovinando che cosa si sarà fatto tizio o caio.
Vista dalla mia parte, la maggioranza non ha bisogno di indovinelli; le fasciature, bendaggi e larghi cerotti sono significativi di quei perché o perlomeno del dove si abbia avuto il male.
Al termine del lungo corridoio però vedo quel dispensatore di biglietti numerati e l’insegna elettronica superiore con evidente da lontano un bel 08 in rosso su sfondo nero.
Diosanto, non è ad appuntamento come credevo, dalle 8:30 cominciano le visite ed ora sono le 8:50.
Spero di trovarmi per le mani un bel numero 14, 15, 16 oppure anche un 17, chissenefrega, anche se la quantità di persone in attesa mi fanno pensare male.
Sto per arrivare e suona Chopin.
E tutti si voltano, chiaramente.
Anche la scelta delle suonerie dovrebbe rispettare una privacy inversa, non è giusto che altri sappiano i miei gusti musicali.
Prendo il numero con il pianoforte che si diffonde dalla borsa.
Merd!
45.
Quanti diavolo ce ne sono prima di me?
Infilo il biglietto nella quarta o terza tasca ed esco correndo con la mano buona che cerca di placare la ricerca di considerazione della ballata in Re Maggiore.
È Lei.
Subito mi sgrida per il fatto che era in pensiero e che dovevo informarla su tutto. La giovine donna dal giovane amore mi dà lusinghe non dette per il possesso istintivo che ha nei miei confronti, e passa dal redarguirmi se ho fatto questo o quello, alla necessità di dire ai medici di spalmare la pomata col nome impronunciabile con la benda intrisa di un altro medicamento sconosciuto. Sorrido al telefono e dico le bugie degli innamorati che fanno tanto bene al cuore, perché il pensiero “Ma lo sapranno i medici cosa fare” deve rimanere come concetto mentale senza uscire dalla bocca.
I toni cambiano, si addolciscono, inzuccherandosi con le parole morbide e gli occhi spesso chiusi.
Arrivo allo spiacevole di dover chiudere la telefonata per mettermi in coda, perché di solito è Lei a voler avere questo piccolo privilegio. Ha un misto di femminilità bambina inespressa combinata ad una continua lotta sul potere e sull’arte del corteggiamento di portare a sé. Ogni tanto esce fuori una, ogni tanto l’altra, e spesso tutti e due.
Difatti, prima di chiudere, mi dice la parola “amore” e si fa promettere che io confermi al medico i suoi consigli. Ed io mento sapendo di mentire, e rendendola contenta.
Lei ha una spina dentro, la sento, la vedo dietro le sue parole ed atteggiamenti ed è come se mi chiedesse di toglierla; invece mi chiedo se inconsapevolmente non la spinga ancora più in fondo.
Mi siedo in un posto vuoto isolato fra i tanti occupati.
La provvidenziale signora anziana fasciata in testa che non si fa mai i fatti suoi, attacca bottone ricordandomi di mettere l’impegnativa in quel ripiano vicino all’entrata, che non mi ha visto farlo prima.
Al ritorno dall’incombenza vedo il posto che avevo in comodato d’uso, occupato da un uomo corpulento con gamba bendata e stampelle. Trovo un’altra seggiola vicino a due donne trentenni che parlano in tono sommesso davanti a riviste da sala d’aspetto. Non hanno fasciature o garze e sembrano appena uscite da una seduta di body building con gli accessori di tatuaggi e lampade abbronzanti compresi nel prezzo.
Mi volto verso un leggero cigolio di ruote ed arriva un bambino su una sedia a rotelle con un’apparecchiatura strana; da un’asta in ferro che parte dallo schienale della carrozzina, come se fosse un piccolo lampione spiovente, c’è una catena in tensione attaccata ad un casco in pelle. Questo elmetto tramite due larghe cinghie sotto la gola e la nuca tengono il capo del ragazzino eretto. Lo spinge un’infermiera in bianco.
Parlano e sorridono fra di loro anche se non possono vedersi.
Tutti gli altri hanno taciuto, osservato, compatito ed ammirato, tranne le due tipe vicino a me che a differenza della signora di prima si fanno gli affari loro, oppure sono abituate alla visione del dolore.
Io non ci sono abituato.
Non capisco bene questa moltitudine di persone così diverse fra loro, e mi alzo per inquietudine.
Tocca al 20. Sino al mio 45 c’è ancora tempo.
Esco dal corridoio e ritorno nel grande salone d’entrata.
Un bancone moderno con la scritta “INFORMAZIONI” mi attrae almeno per avere il solo permesso di girare in questo palazzone. Dall’altra parte non ci sono infermiere, ma due ragazzi che hanno ambedue quei guanti tipo sportivi con le dita fuori. Chiedo se posso visitare e cortesissimi mi danno anche indicazioni sulla palestra e la piscina. Palestra? Piscina?
Mi stupisce che il tavolo sul quale hanno i gomiti appoggiati ha un ferro tondo nella sua estremità verso gli stomaci dei muscolosi ventenni e quando vedo che lo usano per spostarsi da una parte all’altra come un passamano, stupidamente penso all’opportunità che è un sistema migliore della poltroncina da ufficio con le rotelline.
Salgo le scale che conducono a quell’altra parte del padiglione. Campeggia la scritta U.S.U. nell’ingresso e chiaramente non so cosa voglia dire.
---continua---


Ultima modifica di Luciano Sanna il 14/5/2008, 18:52 - modificato 3 volte.
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime13/5/2008, 17:30

---segue---

Chopin si diffonde nel silenzio.
“Tesoro, glielo hai detto al medico?”
“Nnnno, non è ancora arrivato il mio turno, credo che mi toccherà fra poco.”
“Mi raccomando, digli di metterti quella pomata.”
“Certo, stai tranquilla.”
“Tesoro?”
“Si?”
“Me le dici tre paroline dolci?”
“Dai ciccia, non posso, c’è un sacco di gente qui e sono in imbarazzo.”
“C’è qualcosa che non va? È successo qualcosa?”
“No, no, no, non è successo niente, dai, è che sono in un ospedale, lo sai.”
“Ed allora esci un attimo se puoi.”
“Ma dai, lo sai che non posso, fra poco tocca a me.”
“mmmm…..”
“Su, non fare il broncio che te lo sento.”
“Vabbene, se però mi dici le paroline dolci mi passa tutta, dai.”
“Ehiiiii, sono in ospedaleeee, dai, ci sentiamo dopo, quando finisco.”
“Ok, mi chiami tu?”
“Certo, stai tranquilla.”
“A dopo. Bacio.”
“A dopo.”
Da alcuni giorni la spina interna ha fatto cambiare il suo “Ti voglio bene” in “Voglio che tu mi voglia bene”; e non è la stessa cosa. Mi chiedo ancora chi gliela abbia conficcata o se sia opera sua.
Ed un mio dire “Ti voglio bene” a suo comando non credo le tolga la spina, anzi, il contrario, come se le venisse dato un antidolorifico che funziona a tempo breve, con l’aculeo ancora dentro le carni.
L’enorme atrio superiore è illuminato da una cupola trasparente e subito vedo la sala mensa, dove ci sono quegli strani tavoli rotondi, molto larghi, con un solo piede centrale fissato al pavimento.
Il senso di inquietudine cresce osservando un calciobalilla diverso; è più basso e le sue gambe non sono le solite, dritte come sempre, ma trasversali, dalla parte dei portieri, e comincio a capirne il significato.
Altri elementi mi dicono quello che non avevo ancora visto; il pavimento è liscio come l’olio e non c’è fuga fra le piastrelle, il malcorrente gira in ogni parte dove si sia muro e non è all’altezza di una persona in piedi, le porte sono tutte a spinta da ambo le parti ed i maniglioni sono bassi; la conferma ufficiale, perché a volte c’è bisogno di farsi dire anche lo scontato è che leggo in un tabellone, sotto la scritta U.S.U., la dicitura Unità Spinale Unipolare.
È un piccolo mondo abitato da persone con la spina che non funziona bene.
La porta a vetri con la scritta Piscina Idroterapica mi attrae come una mosca al miele, mi affaccio e c’è questa strana struttura, una grande vasca con sopra un reticolo, una trama di cavi d’acciaio con dei seggiolini, dei trespoli appesi, dove alcune persone di diverse età sono immerse e nuotano con il sostentamento di questo appoggio sospeso. Le carrozzine vuote al bordo lasciano capire tutto.
Anche la palestra è visibile da altre porte a vetri e quanto è diversa dal concetto attuale di luogo per sviluppare i muscoli. Ci sono tante sbarre parallele, per aiutare a sostenere con braccia, mani, ascelle, chi non riesce tramite la sua spina.
Mi fa specie pensare alla colonna vertebrale / spina dorsale come una nostra lisca, riferendomi a quel polpo che ho mangiato ieri sera nel ristorante di un amico che si è prodigato a tagliarmelo data la mia menomazione.
Saluto con la mano alcuni ragazzi alle prese con attrezzi per sviluppare i bicipiti; loro, seduti in carrozzine da corsa, quelle che si vedono nelle maratone, ricambiano entusiasti.
Devo scendere, il mio turno sarà vicino.
40.
Ancora cinque pazienti e poi mi tocca.
Il posto vicino alle due tatuate abbronzate è l’unico libero, come se gli altri avessero paura a sedersi vicino a chi sta bene.
Sento il loro chiacchiericcio; una parla di come potrebbe piacere al suo ragazzo con le nuove tette.
L’altra dice che le cose per lei sono cambiate e che il suo boyfriend è rimasto entusiasta.
Capisco che nelle riviste precedenti stavano osservando altre tette di personaggi da rotocalco e lo spirito di emulazione faceva loro valutare a chi assomigliare di più.
Dimenticavo di essere negli ambulatori di Chirurgia Plastica ed oltre ai pazienti che trattano pelli ustionate arrivano anche donne per le quali avere un seno piccolo diventa una spina.
Eccoci lì, tutti riuniti insieme, mentre torna indietro il bambino che è tenuto dritto da quell’impalcatura.
Ognuno ha la sua spina, io con il mio braccio ustionato, gli altri bendati con chissà quale trauma, le donne a fianco a me con le tette da rifare, il bambino con la spina che lo tiene dritto, i ragazzi muscolosi con la spina che non risponde, Lei con la spina nel cuore, e chissà quali altri ancora.
45.
Eccomi.
L’ambulatorio è diviso in comparti da separé in tessuto. Mi accompagna verso il primo libero un’infermiera graziosa e pienotta che ripesco dalla memoria.
“Signora, si ricorda di me?”
“No, mi dispiace, dove ci siamo visti?”
“Lei un tempo era in maternità, vero?”
“Si, ci sono stata per tanto tempo, è da poco che sono qui.”
“Allora non sbagliavo; mi ricordo di lei perché è stata la prima persona che mi ha fatto vedere mia figlia appena nata dal vetro del nido, ricordo anche che fu molto delicata, la prese e la ripose nella culla senza svegliarla, e sa, sono quei momenti che si ricordano per sempre, anche se sono passati quasi quattordici anni.”
Nasce una conversazione gioviale, amichevole, io sono contento di aver ritrovato quel volto e lei è contenta di essere a suo modo importante per me.
Mi chiede della figlia, di me, di altri figli con una partecipazione diversa dal solito colloquio fra occasionali; alle mie domande risponde di non avere figli, come tante altre che lavorano in maternità, come se fosse un tacito lasciapassare per quella mansione, affermando che aiuta molto rispetto alle infermiere madri. Però sono i suoi sospiri di rassegnazione a farmi capire che quella è la sua spina.
A volte basta veramente poco per sapere delle persone.
Entra una dottoressa alta, giovane, carina e con i boccoli biondi poco curati. Sui jeans attilati e stivaletti porta un camice verde che si allaccia dal di dietro e mentre rovista su un tavolino delle medicazioni vedo la striscia di pelle sulla schiena lasciata scoperta dai lacci del grembiule. Sorrido di questa visione, cercando di notare il colore della fascia di reggiseno mentre si china per trovare delle forbici; e mentre è così, piegata alla mia vista, le dolci ondulate asperità delle vertebre escono fuori da quel lungo spazio scoperto. Anche una spina può essere erotica.
Taglia le vecchie bende, mette pomate e chiede alle collaboratrici delle garze grasse che non so cosa siano. E mentre tampona suona Chopin.
“Non si potrebbero tenere i telefoni accesi, lo sa?”
“Si ammetto di saperlo, maaaa…. è una donna che non sopporterebbe che lo spegnessi.”
“Di solito, quando gli uomini spengono il telefono è per non farsi trovare.” Ammiccando verso gli altri con ironia.
“Si, ha ragione, ma se lo avessi spento prima di entrare qui, avrei fatto del male ad una persona.”
“Deve avergliela combinata grossa se quella persona sta così male.”
“Non le ho fatto niente assolutamente, anzi, credo che però lei abbia qualche spina dentro.”
“Allora l’aiuti, ed aiuti anche sé stesso continuando l’antibiotico e non bagni la fasciatura. Dovrà tornare ogni due giorni sin quando non è guarita la pelle. Va bene?”
“Va bene dottoressa, la ringrazio.”
“Auguri allora, e le risponda.”
Accenna un sorriso, accenno un sorriso, prendo tutti i miei incartamenti ed esco dall’ambulatorio mentre il 46 è già pronto scalpitante per entrare.
Il nuovo bendaggio è più piccolo, meno gonfio e mi lascia libere alcune falangi in più. La mano è quasi tutta libera adesso.
Piccoli segni di guarigione.
Ho un margine di movimento maggiore rispetto a quando sono entrato; riesco a girare anche se con difficoltà la chiave nell’avviamento, ad usare il cucchiaino da caffè nello spaccio ospedaliero, e ad infilare le dita nella quinta tasca dei jeans.
Sono un poco più rinfrancato adesso, vedere che si guarisce fa bene, ed in macchina mi preparo per telefonare a Lei mentre comincio il viaggio di ritorno.
All’uscita ritrovo il marchingegno che adesso vuole il biglietto: tutte le auto passano sotto una gigantesca insegna-portale dove vicino al nome dell’ospedale “SANTA CORONA” è raffigurata una corona.
Di spine, chiaramente.


Ultima modifica di Luciano Sanna il 14/5/2008, 10:34 - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime13/5/2008, 17:31

Scusate il formato bikini, ma in un post solo non me lo accettava.
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 10:21

Ma non l'ha letta nessuno questa pagina ancora? Merita!
up up up

ma come fate a scrivere tanto....e a scrivere così....a me vengono solo pensieri elementari.....
bounce
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 12:09

Grazie dell'implicito complimento Gea, ma le letture lunghe sul web non sono mai apprezzate, e noi che abbiamo tante cose da dire ce ne freghiamo... :-)
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 12:18

Luciano Sanna ha scritto:
Grazie dell'implicito complimento Gea, ma le letture lunghe sul web non sono mai apprezzate, e noi che abbiamo tante cose da dire ce ne freghiamo... :-)

anche io scrivo e ho scritto pagine lunghe...
diciamo che le pagine meritano attenzione e, nel tuo caso, vista la lunghezza, tempo.
per quanto mi riguarda voglio leggerti così, con calma, senza fretta. e così farò.
mi troverai fra i commenti.
Elisabetta
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 13:46

E' per quello che tu dici nel tuo intervento delle ore 12:09 che io le pagine lunghe me le copio e me le stampo, come questa tua ed alcune altre che mi sono rubata ieri.
Ti ho letto, inutile dirti qualche cosa riguardo alla scrittura che non credo ce ne sia bisogno, sai che è ben scritta.
Per il contenuto ti trovo in una veste diversa da qualche tempo, o forse ero io che ti leggevo diversamente.
Non so il perchè ma leggo una pagina di diario (no, perchè non mi venire a dire che non lo è) ove c'è molta tenerezza, consentimi il termine, anche nei passaggi di te impacciato con un braccio impedito, nella descrizione dell'ambiente ospedaliero e nel descrivere cosa provoca la musica del cellulare riservata solo alle chiamate di Lei, con la L maiuscola non un l qualunque.
Vorrei solo sapere se la musica è Chiaro di Luna o il Notturno, mentre mi complimento per la piacevole lettura...
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Luca Curatoli
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 14:00

per i pensieri elementari sono con gea.
per questa pagina ho dedicato una lettura affannata e partecipe,
lasciando volentieri sul'asfalto o da qualche parte, il biglietto stropicciato saltafila... cioè la fila la fai lo stesso, però civilmente aspetti il tuo turno e nel frattempo guardi gli altri sotto la lente di strani sguardi. mica puoi farci la linguaccia, agli altri.

dai in tasca mi è rimasto questo

Un salsicciotto bianco, opulento come un grosso grasso verme bozzolo dentro il quale spero che rinasca il mio arto farfalla
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Luciano Sanna
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 14:55

Quella musica daniela, è una ballata che non so come si chiami di preciso, ma fa parte della colonna sonora de "Il Pianista" a regia Polanski. Prima o poi guarderò come si chiama, ma non è il notturno, è prorpio una ballata.
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 16:38

Chopin ha fatto un chiaro di luna? Beethoven e Debussy, non sapevo ce ne fosse una di Chopin. Può darsi, non so.
Comunque il pezzo che cerchi, già che ci sei, cercalo suonato da Nikita Magaloff, possibilmente nelle incisioni giovanili (ne ha fatte almeno 2).

Il tuo pezzo l'ho salvato nel palmare, per me è un tesoro, non solo copiarlo ma studiarlo ed imparare.
Ha una eleganza ed una maturità che può aiutare a capire molte cose, ed inoltre la tua capacità di renderlo frizzante fa in modo di poterlo leggere senza stancarsi, avvincendosi per tutto.
Sei bravo e simpatico amico mio.

Diego
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime14/5/2008, 17:45

Per ora l'ho letto tutto ma in fretta, un rigo sì e uno no, ma direi che mi pare un ottimo racconto ... Santa Corona, aiutaci tu!!
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Luciano Sanna
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime15/5/2008, 14:12

Beccata! Trattasi della Ballata per pianoforte n.1 in Sol Minore suonata da Janusz Olejniczak nel film "Il Pianista" e che qui propongo suonata da Horowitz.

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Massimo Guisso
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Massimo Guisso


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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime15/5/2008, 14:17

Sì, ma le rose???
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Nico Mar
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Nico Mar


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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime15/5/2008, 22:55

Ho letto con attenzione questo racconto minuzioso fatto di tanti particolari tenuti insieme da una spina che li tiene legati che è come l’ago (ne ha la stessa forma, del resto) che li imbastisce fino alla chiusura, quando il quadro è confezionato.

Mi arriva la tua capacità di osservazione delle cose quotidiane, di quei dettagli su cui lo sguardo sorvolerebbe senza posarsi se l’imprevisto del braccio non costringesse a farlo. Non solo hai usato “spina” in diverse accezioni ma hai anche costruito delle immagini acuminate (penso al reparto in cui ogni cosa è spostata verso il basso) che sono come staffilate.
Insomma, alcune descrizioni bucano più di altre ma tutte rientrano in questa scelta pungente, tranne… Chopin! Sbaglio o invece di trafiggere il cuore del protagonista gli scatena un pizzicore fastidioso?

Forse sono stata confusa. Sintetizzo: ci ho messo un po’, ma ho letto con piacere.

nico
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime15/5/2008, 23:12

Pecoranera ha scritto:
Chopin ha fatto un chiaro di luna? Beethoven e Debussy, non sapevo ce ne fosse una di Chopin. Può darsi, non so.
Comunque il pezzo che cerchi, già che ci sei, cercalo suonato da Nikita Magaloff, possibilmente nelle incisioni giovanili (ne ha fatte almeno 2).

Il tuo pezzo l'ho salvato nel palmare, per me è un tesoro, non solo copiarlo ma studiarlo ed imparare.
Ha una eleganza ed una maturità che può aiutare a capire molte cose, ed inoltre la tua capacità di renderlo frizzante fa in modo di poterlo leggere senza stancarsi, avvincendosi per tutto.
Sei bravo e simpatico amico mio.

Diego

diego, prova a sentirla eseguita da cortot: ne sarai incantato!
se non la trovi contattami: te la spedisco via mail.
chopin=cortot, fidati!!!
B
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MessaggioTitolo: Re: ESTETICA DELLE SPINE   ESTETICA DELLE SPINE Icon_minitime

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