Lasciami andare...

Quanto ancora vuoi di me? Non ti è bastato lo spavento del mio passato, il pianto, l’angoscia di non averlo compreso. Del ricordo di ciò che mi hai negato, lasciato a dimora in un tempo di spalle, porto ancora pietosa memoria. Ti ho cercato ostinatamente tra le pieghe di un credo, leggendo il tuo volto, aggrappandomi con forza alla speranza di una preghiera. Troppo tempo ho passato a rincorrerti tra i morsi del perdono che non mi hai concesso. E mentre la vita mia sputava sangue, fischiando forte nelle orecchie, tu eri altrove, distante. Ciò che soltanto a tratti sentivo ieri essere cosa buona nell’anima, scorrermi dentro come un flusso dedicato, ora si è fatta strazio, muta palude. Com’è arida un’esistenza consumata a chiederti un perché, sciupando luce ai miei occhi umidi e spalancati, stanchi di vedere nell’orrore infinito dei tuoi sbagli. Sono urla le mie, soffocate dal nulla di chi non ha voce. Dietro un mondo debole divenuto ostile, lasciato affondare miseramente senza rimedio alcuno. Quanta sofferenza hai immerso nella bugia di un libero arbitrio? E dentro una colpa severa scolpita addosso, c’è il senso della mia immensa solitudine. Così oggi non credo più! L’ingranaggio imperfetto dei tuoi insegnamenti, ha limato tenacemente i miei pieni, facendomi conoscere il rumore sordo di un dolore senza fine. Volevi seminare, in dedizione assoluta, un Dogma senza domande né condizioni, riconoscendoti nell’uomo che avresti preteso fosse tua immagine e somiglianza. Ascolta se puoi il fallimento per ciò che non è stato, spalancare un vuoto dentro me che ora non puoi colmare, non più. Amara è la strada che hai tracciato e mentre crudeli mani incantatrici del male, si mostrano più grandi delle tue, io resto un figlio incompiuto, senza Dio. Ho intima paura di questo buio nel cuore, ma la rabbia vorace dell’impotenza, sbrana a denti lunghi ciò che resta di te. E neppure dentro la tua casa posso più ascoltare parole vuote, quasi blasfeme al mio sentire, recitate a trama come una nenia da ministri severi in paramenti talari, forse ancora accesi dal tuo credo. Vorrei chiudere gli occhi soltanto un istante, per leggere ancora il tuo volto, ma la polvere dell’angoscia ha seccato aperte le mie palpebre, costringendomi muto a guardare il male profondo farsi distrazione dell’uomo. Così mi metto di traverso ora, contrario al tuo chiedermi devoto, sapendo che neppure questo basterà ad accettare il disegno nascosto. Caparbio seguirò la mia strada comunque, amando il dono della vita, facendo strazio del resto. E di ciò che ovunque sia buono, l’unico fedele compagno dei miei giorni. Lasciami andare adesso…come un figlio stolto smarrito dal Padre. Tanto qui dovrò rimanere, che io lo voglia o no, per un tempo che ancora mi sarà concesso d’esistere, forse da te o soltanto dal ciclo perpetuo di un eterno cammino, senza ragione alcuna.