Quante volte sei tornato da me? Non sei mai riuscito a dirmi addio, non sei mai riuscito a darti un perché, ed io lo sai non sono niente di insostituibile.
Come un cane dagli occhi spenti che ha fatto la guardia tutta la notte, stremato dal suo abbaiare, si è poggiato su di me, ha implorato muto una carezza.
Talvolta l’ho concessa, a volte no .
La risolutezza di anni si spegne in pochi istanti e tutto ciò che appariva certo e definitivo e stabile, con uno schiocco di dita scompare.
Ed è quella voce muta che volevo ascoltare, quel fare incerto, quel tentennare, quel incedere zigzagando che era la sua vita che mi era venuto a mancare. Ma persa nel mio obbligato e doveroso non pensare, anestetizzata, non me ne sono neanche accorta finché non me lo sono ritrovato di faccia.
Ancora una volta, ennesima volta, faccia che è il mio specchio, in cui il mio occhio brilla insieme al suo, in cui il suo sorriso diviene riflesso nel mio, in cui ciò che conta è il suono indistinto della sua voce.
Ed è fuggito, mai rincorso, ed è tornato, e si è fermato, e ha fissato nuovamente i suoi occhi scuri nei miei ed ho visto ancora il mondo.
Ho pianto, ho riso, ho scorto nel cielo il suo volto, nel mare, in prato, in un addio, in una morte.
Ho spento il telefono sono rimasta in silenzio, ho urlato dolore, sbattendoglielo fra i denti, ho cantato la gioia; lo strazio per i miei figli e tutti gli inutili martiri che la vita porta.
Il “mai” ed il “per sempre” racchiusi nelle mie mani, a tratti perfidi, a tratti teneri ed inesorabili come una sorte od uno strano destino inafferrabile che non puoi far altro che vivere.