Era d'agosto

Era d’agosto.
Una di quelle sere così, piena del tanto e del niente, da osservare da una veranda che conservava il calore del giorno nel pavimento di cotto fiorentino, l’ultima sera di vacanza prima del rientro in città.
Quindici giorni erano volati sotto il sole caldo della Sicilia; ma le notti erano trascorse tutte uguali, senza una scossa, senza un gesto diverso e senza una parola che riportasse le lancette indietro nel tempo.
La brace della sigaretta era l’unico punto luminoso a terra ma lassù era un tappeto vellutato con mille e mille diamanti.
Stavi lì, al mio fianco, ad osservarmi.
Sentivo il tuo sguardo su di me.
Forse osservavi un viso diverso, erano passati tanti anni dalla prima volta che lo avevi posato su di me, mi riconoscevi ancora?
Bambina, mi chiamavi.
Dove era finita quella bambina? Dove erano finite le tue parole, i tuoi gesti, le tue attenzioni che avevano fatto sì che mi innamorassi perdutamente dei tuoi occhi e dei tuoi capelli scuri, delle tue spalle dritte anche quando singhiozzavano?
Avrei dovuto chiederlo a me.

Il ricordo di quella sera di agosto è vivido più che mai, ora, che rientro da una situazione che non mi appartiene ma che ho vissuto perché tu mi hai chiesto di farlo.
La festa della famiglia, in chiesa.
Io, che mai frequento le chiese se non per i funerali e solamente delle persone più care.
Nemmeno ai matrimoni riesco a restare seduta sui banchi: faccio atto di presenza e poi esco, l’odore delle chiese mi infastidisce, mi soffoca, non mi fa respirare.
Oggi c’ero però.
L’ho fatto perché tu me lo hai chiesto, e quando hanno chiamato i nostri nomi mi sono alzata e sono andata a ritirare il quadretto con la Sacra Famiglia e una rosa.
No, hanno chiamato il tuo cognome con il tuo nome ed il mio.
Avrebbero dovuto chiamare solo me, con nome e cognome.
Tu non c’eri, ero la moglie vedova che festeggiava con la comunità parrocchiale il suo venticinquesimo anniversario di matrimonio senza suo marito.
Ero fredda, gelida, mentre percorrevo la navata, conscia degli sguardi posati su di me che si chiedevano, avvicinando le loro teste “Dio, ma quanto è cambiata, ma che le è successo?”.
Che mi è successo…
La risposta è in quella sera.
Era d’agosto.
Di nove anni fa.