LO STATO SOLIDO

Stanotte fa caldo e scrivo col pigiama e una maglia a manica lunga per via delle zanzare. Ne uccido una che subito compare quell’altra sulla mia pelle, solidale allo stesso modo con questa appena stecchita. Sento la presenza dell’insetto su di me. La sua esistenza solletica la mia mano. La spio quando mi succhia il sangue. Col timore che possa infettare la parte più profonda di me, agito l’aria per scacciarla. Ora sei di nuovo macchia scura spiaccicata sul foglio bianco. Con un grido rosso ti sei ornata il silenzio. Ladra di vita altrui questo sei. Così entri nel vicolo cieco della mia scrittura. Debole lavorio di un essere debole. Nemmeno a dirlo di chiedermi un paio d’occhi e una bocca. Invece ti riproponi sempre con la stessa insensata alacrità. Fossi almeno un giornalista t’investigherei fin dentro questa tua operosità. Magari soccorreresti con un nuovo sguardo la mia mancanza d’opera. Sfortunata sei stata tra le mie mani. Queste tenaglie sono prive d’immaginazione. Mi riempio della tua ingombrante assenza. Un’ombra sei per la mia mente sbiancata nella oscurità. Sempre la stessa, vieni apposta per molestarmi; per suggere la mia anima colorata da cellule nervose. Così diventi un pensiero di zanzara.

Perseguito a scrivere molestato da un pensiero. Distratto da te riempio la pagina. Scrivere non è la parola adatta quando s’impugna con la mano in strana posizione. Un assolo col pungiglione spuntito ecco quello che sono. L’osservo questo strano corpo sudato. Guardandolo col microscopio della notte. Si rimpicciolisce sempre più. Fino a scomparire. Al suo posto compare un libro: lo apro come si apre un abisso. Leggo gli sguardi preoccupati di chi non conosco. Al centro di una pagina occhieggia un bambino. Quello emette stridori o almeno è ciò che percepisco di quelle sue probabili risate, mentre viviseziona gli insetti forse per vederli meglio. L’osservo come prima osservavo la zanzara. Temendo possa crescere improvvisamente e, con esso la furia distruttiva del suo gioco - a questo si limita il mio pensare -, questa notte. Bambini a caccia d’insetti che mai per loro diverranno pensieri. Adulti sperduti nei giorni feriali per ricordarsi la domenica di quand’erano piccoli. Affannosi pensieri farsi piccini sotto la statua troneggiante dell’infante. Essere sguardi che orbitano in prospettive già viste e sentite. Come da molto lontano, sento uno sciame adorante nei pressi di un dio travestito da dea. Questo simulacro lercio dei collosi sospiri. Su tutto il mormorare delle motivazioni di cui smarrita è la ragione. Eppure tu rimani piccolo, permani in questa condizione al limite dell’umanità. Infinitesimale quasi come quell’altra esistenza, classificabile solo con un atto d’inutile crudeltà. Ti lascio. Abbandono il bambino ai suoi giochi. Riprendo a scrivere sul quaderno con la macchia. E ritorni tu a ronzare. Zanzara sei perfettamente inutile. Senza la speranza di alcuna cittadinanza presso i cosiddetti vivi, ti aggiri come una fede abortita nel grembo della natura. Ma se potessi parlare, io potrei liberamente coltivare il mio lato animale. Invece tu sciami con un sibilo di voce ed io scrivo con un filo d’inchiostro. Io, con lo scettro della voce più grossa della tua. Senza rendermene conto rivivo attraverso la tua morte, come se qualcosa di te mi fosse entrato nel sangue. Come uno squillo una stilla ne fuoriesce

Ho preso il telefono per ascoltare una voce ed io non le ho creduto
Come se le cose dovessero accontentarsi del silenzio che rappresentano
Non sapendo cosa fare mi misi a ridere, e lei morì davanti ai miei occhi.

Chiudo il quaderno non prima di aver appuntato un punto interrogativo che qualcuno potrebbe chiamare poesia. Al margine del foglio, rimangono le storie ancora da scrivere. Idealmente le metto assieme a quel pacco di libri ancora da leggere. Proprio vicino a quel film dove una mente rivisita il mito della metamorfosi. Stiamo tutti qui a sognare di ritrovarci in una stanza tramutati in un’enorme zanzara. Ma quanto è vero il mondo gli altri, i senzienti diurni, potrebbero non capire questo doloroso mutamento. Non accordandoci lo statuto di forma vitale, ci liquiderebbero come cattivi pensieri. Come voci che hanno sbagliato il nome. Ingigantiti di vergogna non potremo più volare via dalle feritoie di una veneziana. Chiudo.

Ronzano ancora pensieri qui. Nella casa priva di voci aguzzo la vista. Come un fantasma vado in cucina a riempire un bicchiere d’acqua. Accendo il lumino sotto la cappa. Avrei voglia di scrivere, ancora e ancora, per dare forma a quei ronzii nella testa. Chi dorme non viene molestato dalle zanzare. Chi lotta contro di esse ha un filo di voce per dirne il pericolo. In fondo anche questa è vita, mi dico, breve o lunga che sia. Poi faccio a ritroso il percorso verso la stanza da letto, lasciandomi il buio alle spalle.

---