foto documentaria delle 3 eroiche divisioni ; Tridentina Julia Cuneense
sul fronte russo durante la rovinosa ritirata di gennaio 1943E’ senza una mano Renzo Rossi, il vecchio partigiano della Tridentina.
L’ha lasciata in Russia, durante la famosa battaglia di Nikolajewka del ‘43.
Lo riconosci Renzo per quell’aria seriosa, dolcemente malinconica che assume quando si mette a parlare dei suoi trascorsi d’alpino.
Lo trovi seduto al bar ‘Odissea’ per una briscola fra amici e il solito quartino di lambrusco.
E’ come se il tempo non fosse mai passato per lui, è come se le lancette della storia si fossero irrimediabilmente fermate a quel giorno di gennaio, sull’immensa steppa russa così azzurra e gelata da far paura. Così densa di fumo, spari e cadaveri da rabbrividire e non per i 30 sotto zero che le mani rattrappite non sopportano più, anche coi guanti.
E’ un brivido di morte che sibila ancora dentro la sua testa.
Non è più riuscito a dormire bene Renzo, nella sua vita “ritrovata” e ha il magone per non essere riuscito a difendere l’amico Gino, caduto accanto a lui in quella disperata giornata di gennaio.
Non riuscivo a piangere, in quei momenti pensi solo a salvare la pelle. Ma Gino l’ho visto cadere nella neve, un fiotto di sangue rosso come il vino. Mi guardava stupito, come se la pallottola che l’aveva centrato potesse non essere una cosa vera. Una cosa che stava capitando proprio a lui che del pericolo aveva sempre avuto sprezzo.
Nei suoi occhi Renzo ha trattenuto per 60 anni quelle lacrime gelate, che avrebbe voluto piangere per la morte di Gino ma è come se l’aria rarefatta della steppa gli avesse intorpidito anche le membra. E’ racchiuso nei ricordi, ancora racchiuso nella famosa sacca russa, al gelo, alla fame, alla paura, all’insostenibile peso dell’indomani, anche il suo fucile gli resiste. S’inceppa spesso, a causa del freddo intenso.
Prima di raggiungere Nikolajewka ha marciato nelle neve fra le retrovie per scampare ai russi, tra una fiumana di soldati allo sbando. Ma della popolazione russa può dirne solo bene, le donne durante la ritirata se potevano gli allungavano un tozzo di pane, gli unguenti per la pelle e a volte seppellivano pietosamente i cadaveri dei morti.
E’ per questo che molti dispersi non saranno mai ritrovati. – spiega con la voce un po’ afona –
li hanno seppelliti in una buca coi loro piastrini. A volte piangevano e ci incitavano a smettere la guerra. Qualcuno di noi piangeva insieme a loro… Così mi viene di pensare per paradosso ai famosi campi di girasoli , sterminati e vasti.
Lì sotto giace un frammento di cuore italiano. Un cuore macellato da un regime fascista.
E certi cuori non saranno mai ritrovati da nessuno.
Nessuno avrà mai più notizie di un figlio, di un padre, di un marito. Saranno cenere e germoglio solo per i gialli girasoli di una terra martoriata.
Non dice mai come ha perso la mano Renzo. Ma io lo so. E non parla mai di questo, si schermisce.
Lui ricorda solo il senso di colpa nei confronti di Gino. Gli occhi della madre di Gino, quasi di accusa, di addebito, di velato amaro risentimento.
Renzo ha perso la mano salvando un piccolo drappello di alpini accerchiati sul costone di Nikolajewka. Gli hanno dato la medaglia al valore per quest’azione, ma lui non lo ricorda, dice che preferisce giocare a briscola adesso, e che la spunta sempre su Armando che l’asso non gli arriva mai nella mano giusta per mangiargli il tre.
E ride sommesso, puntando sul tavolo il suo tre di briscola alle faccia di Armando che s’arrabbia.
E’ faticoso anche giocare a briscola senza una mano, ma ormai Renzo sa convivere con la sua anomalia. Ma quel sibilo no…quel sibilo gli tarla in testa come il rinculo del fucile, come gli occhi sorpresi di Gino, come quel giorno antico macchiato di rosso e la steppa che si sarebbe tinta a primavera di enormi girasoli gialli.
----------
Alkimias (testimonianza di Renzo Rossi; un amico mio di ormai 90 anni)