EOS - ALESSANDRO

Il sogno ritornò, poco prima che piovesse. L'uomo non sentì il rumore della pioggia. Il sogno lo dominava.
Eppure era restio ad abbandonare quel brandello di sonno spezzettato.
Inconsciamente, ricordava che non era certo uno spettacolo attraente quello che si sarebbe offerto alla sua vista aprendo gli occhi.
La mano inerte prese improvvisamente vita per grattare furiosamente una coscia e l'uomo si svegliò completamente.
Intorno a lui saltellavano, con uggiolii e guaiti, cagnetti dal pelo ispido e rado, di brutta guardatura, botoli talvolta, di razza bastarda, randagi senza padrone, come lui. Perseguitati dalle pedate, esseri disgraziati e reietti che trascinavano una vita incerta e penosa.
Nessuno badava all'uomo che si era levato e si incamminava lungo la via.
Gli sguardi di tutti, pieni di muta aspettazione, s'appuntavano in alto nel cielo  dove volava un puntolino.
Non avevano torto quegli uomini.
Quel puntolino che diveniva sempre più grande era tutto, era casa, era famiglia, era la donna amata, era la voce di coloro che soffrivano per loro e che per  loro tutto speravano, era la posta che arrivava da casa. E l'uomo cosa aspettava?
Nulla, si sarebbe portato in un altro posto, mantrugiando giaculatorie irripetibili, per andare in un altro Eden.
L'animo mogio di chi sa quello lascia e non sa ciò che incontrerà.
Eppure lui sapeva, senza il sussiego di chi svela ermetici misteri.
Sapeva, con un convincimento magico, infallibile, che sarebbe arrivato in un luogo ignoto, dove la riposante vastità e purezza del paesaggio, con quelle mille gradazioni di verde, dal più tenero al più carico, gli avrebbe consentito di dimenticare cosa era diventato.
Avrebbe lasciato quel luogo inconfondibile, glabro, arso e grifagno, con quel suo fango rosso che pareva impastato nel sangue, il lezzo penetrante, la tetraggine sinistra e repulsiva dello scenario sepolcrale. Pochi giorni trascorsero, pochi e scellerati, tra piogge quasi continue, in tappe continue, un malinconico branco di orsi grigi che proseguiva passo dopo passo. E di notte, intorno alla sua branda, venivano a ballare rapide sarabande, schiere fameliche di topi grossi come conigli che squittivano furiosamente.
A movimentare quei loschi giorni, comparve una mattina un uomo nuovo che, silenzioso, gli si affiancò.
La strada divenne sempre più tortuosa e all'improvviso apparve scavata da numerose tane dove si inciampava l'uno sull'altro.
Nell'alba livida che seguì quell'ultima notte tormentata, nel camminare con l'occhio chino e incerto, la fila degli uomini all'improvviso si fermò.
Lo sguardo smarrito di bestie che vengono condotte al macello.
La marcia degli uomini all'improvviso riprese , proseguendo  a stento, guardinga, schivando accozzaglia di roba abbandonata, di rifiuti che ingombravano il fondo e intralciavano il cammino.
Di colpo l’uomo ultimo arrivato parve risvegliarsi dal suo attonito stupore.
Lanciò al compagno uno sguardo rassegnato e parlando piano, ma con voce tagliente e risoluta, mormorò:
"Addio 7624".
E si gettò  in una folle corsa.
Un grido:
"Fermati o sparo!" che quasi si confonde con lo sparo simultaneo di tutte le guardie.
Un fantoccio cadde, scivolò a terra, falciato dai proiettili, con le braccia in croce, senza un urlo, con un moncherino sanguinante.
Le guardie lo raggiunsero, quasi si precipitarono, un incalzare frenetico di invasati.
Il più anziano ritornò, neppure sbiancato da una emozione, e con voce secca comunicò al graduato:
" Il prigioniero 9318 è deceduto durante un tentativo di fuga".
Il graduato si voltò verso la fila e senza che nulla muti  i suoi lineamenti, ordinò:
"Riprendete la marcia".
L'uomo riprese a marciare.
Uno strano sorriso gli appare timido sul volto.
Lontano si intravedeva  l'aurora nascente e il suo pensiero volò a sua figlia, la piccola dea dalle dita rosate.
In quel momento ebbe la certezza che sarebbe sopravvissuto.

Ciao PDG di oggi.
Ho letto.
La tua pagina fa male, crea un crescendo di angoscia ad ogni rigo, e alla fine ti viene da tifare per lui, per aiutarlo, con il pensiero, a resistere, a marciare ancora ma non perdere la speranza.
Sarà il mio sogno di stanotte, sperando nella stessa certezza del tuo protagonista, domattina, nel vedere l'aurora.
A domani, PDG.
D.

Inno alla speranza nella conclusione PDG, speranza nel chiarore dell'aurora, ma tutto quanto precede la conclusione... bè... Io resto soffocata nel pensare a lui.
In questo passaggio ci sarà anche la speranza, ma io ci leggo la descrizione di uomini off, spenti, morti pur se ancora vivi.

Citazione :

Intorno a lui saltellavano, con uggiolii e guaiti, cagnetti dal pelo ispido e rado, di brutta guardatura, botoli talvolta, di razza bastarda, randagi senza padrone, come lui. Perseguitati dalle pedate, esseri disgraziati e reietti che trascinavano una vita incerta e penosa.

Perchè mi viene in mente Guantanamo?
Vedi, è un po' come entrare nel film Le ali della libertà e tifare per Tim Robbins quando riesce a fuggire dal buco nel muro mascherato dal poster della Rita Hayworth o sperare che Papillon Steve McQueen per una volta riesca a fuggire e non venga riacciuffato...
Credo ch la speranza di libertà, sotto forma di qualsiasi sogno o miraggio o concretezza, sia l'unica cosa che tiene in vita in certe situazioni.
Sulla scrittura non dico nulla, mantrugiare non so sinceramente che significa, ma mi suona bene nel contesto e mi piace come mi arriva.