Siccome fabbro quando lo martello
batte, vidi i'un uom colpirsi forte
ciò ch’al membro viril funge d’orpello.
"Peccator" dissi i’ "se ti colse morte
in tal terribil immondato fallo
da meritar si trista etterna sorte
ch’a cotal dolor non farai callo,
piacciati dir a me ciò che per fato
tua alma portò in codesto vallo".
Elli a me guardò con far sì irato
che fè lo mio core tremebondo
ante lo peccator fosse placato.
"Figlio fu’i della città del mondo
laddove lo Belin dolce risuona
e Pisa alla Meloria diede fondo.
Inver fu’i di Genova persona
che le palanche in grande conto tiene
e chi razziarle prova non perdona.
Uomo ci fu che fece tutt’insieme
promesse belle grandi, sottoscritte:
meno balzelli, ognor le tasche piene,
pace, giustizia, case non più sfitte,
vetuste genti liete di campare,
risa, sollazzi, colme d’or marmitte.
Ma chi già Creso è, tal vuò restare
e se n'ha poter, Creso due fiate.
Così dell'uom che ride il governare
tutto preso si fu da su' menate:
il fio non pagar de li peccati,
premi elargir a dolci sue alleate
d'agoni esperte in talami dorati,
di guano ricoprir chi non s'adegua,
con l'oro assicurar li su' fidati."
Dopo questo parlar, ci fu la tregua
ed i'allor: " Meschin che batti forte,
apri lo core e fa che io ti segua".
Parve lo tristo obliare la su' sorte,
di diavol ghigno gli piegò la bocca:
"Per quel figuro pur verrà la morte,
e per sicuro so cosa gli tocca,
a lui e pur a li sodali untuosi.
Mangiaron le promesse a gente sciocca?
Insieme a Ciacco e alli golosi
di Cerbero li ficca nel girone
sin che l’inferno freddi e si riposi!
Mio peccato fu l'esser piccione
e lor menzogne ritener per oro
che'l voto diedi lor, oh gran babbione.
Se stato io fossi intra coloro
che anzi votar quel dì fecer tra frasche
le dame di piacer gemere in coro,
ancor io avuto avria le tasche
sol di speranza pien e di gabelle
ma la dama veder con vesti lasche
parso sarebbe a me salir le stelle".