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 Il campanile dei marinai

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Mario Malgieri
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MessaggioTitolo: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime5/8/2008, 08:14

Sono tornato da un viaggio dove, tra le altre mete più fresche, ho passato una piacevole serata a Casumaro (Ferrara).
Cosa ci facevo in un posto noto per le lumache (ottime) Smile e per le zanzare (un po' meno) Suspect ? Sono stato ospite della locale biblioteca e ho ritirato un secondo premio, corredato di un gradito assegno, per un concorso a tema: "Il campanile guarda la luna, storie di paese".
Il racconto è lungo (lunghezza imposta dal bando) e in parte da voi già conosciuto: è una rielaborazione ampliata di un paio di storie che ho già postato qui e là.
Se avete voglia e tempo da perdere, potete leggerlo qui sotto.

Il campanile dei marinai

Tutti i campanili svettano guardando la luna e giocando col sole, ma non sono molti quelli che meritano di essere ricordati.
Ce n'è uno che non si può dimenticare, come non si può dimenticare la sua piccola chiesa, bianca di marmo e nera d'ardesia.
Costruiti in modo da offrire la loro intera bellezza soltanto a chi li osserva dal mare, la chiesa di San Pietro e il suo campanile affiancano da otto secoli un borgo, là dove l'aspra costiera ligure inizia a stemperarsi verso il Golfo dei Poeti, prima di addolcirsi definitivamente nella piana di Luni e poi nella Toscana.
E' un paese di pescatori e marinai, e naturalmente di storie di mare, grandi e piccole.
Una di esse narra di uno strano ragazzo vestito di giallo che passava le notti sotto al campanile, di un uomo che sul mare aveva sempre vissuto, di due donne che dividevano col mare l'affetto della persona più cara, e di una lapide nel cimitero che si trova proprio a monte della chiesa di san Pietro.
Non un comune cimitero, luogo abitualmente tetro e solenne. Qui, al contrario, il sole gioca con le ombre degli ulivi secolari mentre, quasi a perpendicolo, il mare scroscia tra le rocce sollevando salsedine che incrosta gli antichi bronzi e i marmi consunti. Poco distante, si domina l'estremità del breve promontorio roccioso da dove il borgo prende corpo e s'insinua nella costa, assecondandone ogni rientranza, mentre degrada ripido, coi suoi vicoli che diventano scale, verso il porticciolo ben protetto e le strette spiagge sassose.
Il luogo è talmente suggestivo che lungo i suoi vialetti molte persone vengono a passeggiare godendo della bellissima veduta, come quella donna, anziana ma dal passo ancora sicuro, che tiene un bambino per mano.
- Nonna Minni, cos’è questo posto?-
- Qui è dove le persone troppo stanche o troppo vecchie vengono a riposare per tanto, tanto tempo.-
Il bambino, alto per i suoi quattro anni, il viso caratterizzato da un mento pronunciato e dagli occhi verdi in continua esplorazione, vorrebbe correre in mezzo a quelle strane pietre bianche con le scritte sbiadite e le piccole fotografie, ma la nonna sa che ci sono dei pericoli, i muretti sono bassi, la scogliera pare attendere paziente e ostile, quindi tiene salda la mano del bambino.
- Nonna, poi andiamo al mare a tirare i sassi?-
- Certo, ma prima volevo farti vedere una cosa.-
- Che cosa? Dimmelo subito.-
- Ecco, vedi quella pietra bianca, con una fotografia?-
Il bimbo si avvicina, poi esclama tutto felice:
- Quello è nonno Enrico, vero nonna?-
- Sì, tesoro, è proprio lui; il nonno era molto stanco e ora riposa, e anch’io riposerò qui, quando sarà il momento.-
- Però adesso mi porti sulla spiaggia a giocare con le pietre, vero?-
La nonna sorride e abbraccia il bambino, rassicurandolo:
- Certo tesoro, tra poco andiamo, aspetta solo un momento.-
Il suo sguardo cerca e trova una lapide, solo un riquadro di marmo con un nome, perché non si costruiscono tombe per chi non è tornato. La data della scomparsa è la stessa di quella incisa sulla tomba di nonno Enrico.
Poco distante, sul mare, un gozzo di pescatori prende il largo con un sommesso scoppiettio del motore.
"Oggi sono cinque anni, e quella barca laggiù sembra proprio la mia Minni", pensa la donna, riandando a quei giorni così come furono ricostruiti tra le chiacchiere di paese e i racconti di chi li aveva vissuti.

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Mario Malgieri
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MessaggioTitolo: Re: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime5/8/2008, 08:16

Anche allora un gozzo stava prendendo il largo borbottando appena, quasi volesse evitare di risvegliare il borgo. Scivolava tranquillo, accennando un lieve beccheggio quando un’onda, accarezzata la prua, saliva a lambire le cinque lettere nere del nome dipinto in bianco, in bella grafia, sul fondo azzurro scuro. Alle sue spalle, il campanile della chiesa di San Pietro pareva guardare la luna che, ancora alta sopra il promontorio, mostrava una piccola falce rivolta a ponente, mentre l'intero paese era come se stesse ancora dormendo, cullato dal rumore del mare.
Ma alcune persone erano già sveglie o non avevano dormito.
Come il ragazzo che, avvolto in una cerata gialla da marinaio, stava in piedi, sul piazzale sotto al campanile, ed era intento a scrutare nel suo grosso binocolo.
La luce della falce di luna era solo un’idea e l'alba una promessa, ma con le lenti da marina il ragazzo poteva leggere il nome della barca: “Minni”, come il nomignolo di Erminia, la moglie di Enrico, l’uomo sulla settantina che reggeva il timone ed era uno degli abitanti del borgo che aveva trascorso una notte senza sonno.
Alto, ancora robusto, una folta chioma bianca tenuta lunga, un paio d'occhi verdi che in passato avevano fatto tremare molti cuori femminili, il mento pronunciato sotto le labbra carnose, Enrico era stato un marinaio, ma se non si occupava più di motori e macchinari di bordo - che quello aveva fatto per oltre quarant’anni - era ancora un uomo di mare, perché, come diceva sempre agli amici, “il marinaio non va in pensione, rimane marinaio sino a quando resta a galla”.
Enrico stava seduto a poppa e teneva la barra con mano ferma, gli occhi attenti alle linee impercettibili che il vento disegnava tra le onde, mentre il vecchio diesel, che lui stesso aveva recuperato dalla demolizione e rimesso a punto con certosina pazienza, batteva lento, quasi stesse accompagnando, più che spingendo, l’uomo e la sua barca.
In pochi minuti il gozzo affiancò l'isola della Palmaria e subito comparve a prua l’isolotto del Tino. Oltre, diritto a Sud-Ovest verso il mare aperto, ci sarebbe stato l'incontro col vento di Libeccio, che già rinforzava mentre la linea scura della costa iniziava a scomparire, sfumata nella leggera foschia del mattino.
Lontano, dall'altra parte del golfo, il fanale della diga mandava i suoi avvertimenti ritmati, mentre a riva la chiesa di San Lorenzo, quella "grande", quasi sproporzionata rispetto al borgo, era ancora immersa nell'oscurità.
Sotto l'altro campanile, quello dei marinai, il ragazzo dalla cerata gialla aveva riposto il binocolo nell’astuccio e, lasciato il suo posto di osservazione, era sceso per un breve e ripido vicolo tutto scale, aveva tagliato per la spiaggetta per risalire infine sul molo. Pensava a quel gozzo e al suo timoniere Enrico, anzi Eric, perché così il ragazzo lo aveva battezzato nel segreto della sua mente che, come accade a tutte le menti aperte su scenari diversi dalla quotidianità, veniva considerata malata e non adatta al vivere sociale.
Rosso, questo era il nome del ragazzo, aveva visto molte altre volte quella coppia affiatata lasciare l’attracco la mattina presto per andare a salpare la rete, ma c’era qualcosa di strano in quella particolare uscita. Sapeva bene qual’era il posto dove la rete aspettava di essere issata a bordo con le prede della nottata, ma la rotta della barca non era quella giusta.
"Anzi no, lo è proprio" si corresse, perchè lui conosceva il segreto del viaggio di Eric.
Rosso guardò ancora verso il largo, dove le nuvole si stavano addensando, poi distolse lo sguardo dal mare.
- Oggi gli antichi naviganti vengono a chiamare - disse a voce alta, rivolto a un gattone grigio che sonnecchiava al riparo di una barca tirata in secco sul molo. Lentamente Rosso riprese la strada di casa, inerpicandosi senza sforzo su per la crosa che portava alle case dietro la collina.
La crosa, anzi la “creuza”, non è un sentiero, non è una mulattiera, è la creuza e basta. Si snoda su è giù dalle alture della Liguria, spesso precipitando sulle spiagge pietrose dove un tempo i pescatori tiravano a secco i gozzi. Quando sale, la creuza lo fa senza fronzoli, andando dritta al sodo, come nel carattere del popolo che l’ha costruita. S’inerpica dapprima a lunghi gradoni bassi, poi, quando il monte si impenna, lei raccorcia il passo e si fa scala, spietata ma pure aggraziata, con i suoi mattoni grezzi e pieni, piantati di costa, che rosseggiano tra il verde dei roveti, dei fichi e degli ulivi. Ai lati, un tappeto di ciottoli arrotondati termina con muretti a secco, costruiti pietra su pietra con arte antica, altre volte sono i muri colorati delle case a fiancheggiarla, e allora vi sono infissi rozzi corrimano di ferro, perché con la pioggia i ciottoli diventano infidi e scivolosi.
La casa di Rosso era l’ultima, dove la crosa terminava per divenire sentiero tra l’erba alta e gli ulivi, e in quella casa lui era nato ed era cresciuto.
I suoi genitori l’avevano chiamato Rosso in omaggio a un avo venuto, secondo una leggenda di famiglia, dal popolo di Eric il rosso, il vichingo che sfidò il mare del Nord per raggiungere l’Islanda e poi, quasi certamente, quella terra che un giorno sarebbe stata chiamata America.
Tutti nel paese sapevano di Rosso e della sua tranquilla follia. Era affiorata lentamente, da una fanciullezza in apparenza normale ma solitaria. Il padre, poco dopo la sua nascita, aveva lasciato quella casa per una nuova vita, una nuova città, una nuova famiglia. Tutto il peso di quell’unico figlio era quindi ricaduto su Teresa, “Resin” come la chiamavano in paese, dove campava andando a servizio nelle case dei signori che venivano a soggiornare in quel luogo dal clima dolcissimo e dal mare inquieto, e per ciò ancora più affascinante.
Iniziata con l’eccessiva predilezione per qualunque cosa avesse a che fare col mare, la malattia di Rosso, che di malattia si trattava, si era precisata in seguito, con la continua richiesta di storie che non avessero per protagoniste fate e principesse, ma lupi di mare, terre lontane e mostri degli abissi. Nella pubertà Rosso si era sempre più rinchiuso in sé stesso, nelle proprie fantasie e nelle letture favorite. Melville, Conrad, Verne, ma anche Salgari, O’Brian, Forrester, e volumi di storia della navigazione e di navigatori; bastava dargli un libro dove si parlava di mare e di marinai e lui non alzava la testa sino al termine, o comunque sino a sera. Perché poi, da alcuni anni, Rosso la sera usciva, e nulla poteva trattenerlo, per andare a passare la notte nel suo osservatorio sotto al campanile, davanti al suo mare.
“Disturbi della personalità su basi psicotiche” era stata la diagnosi degli specialisti che l’avevano visitato e poi abbandonato al suo destino, visto che la madre non poteva permettersi di sottoporlo a incerte e costose terapie.
Così Rosso andava sulla piazzetta dove antiche rocce spianavano dolcemente verso il monte. Da lì, appoggiato al muretto di pietra, dominava con un unico sguardo uno scorcio del vecchio borgo, il molo del porticciolo e sopratutto il mare, appena limitato a levante e a ponente dall’ombra lontana dei monti, ma libero a sud sin dove poteva arrivare lo sguardo. Nella mente di Rosso, priva dei confini imposti dalla logica, in quella direzione si arrivava ovunque, alle alte scogliere di Moher per esempio, o magari, sul filo delle tempeste dei quaranta ruggenti, sino a capo Horn, incubo e suprema laurea per i capitani dei velieri.
Lui scrutava l’orizzonte col suo grande binocolo da marina, cimelio di un passato che aveva visto alcuni dei suoi avi tra i capitani di Camogli, i migliori, i più coraggiosi tra tutta la marineria del Mediterraneo.
Ma Rosso aveva un altro cimelio, custodito con amore e cura maniacale. Si trattava di un semplice anello di metallo brunito, appeso al collo con un cordone di cuoio. Secondo Rosso, quell’anello era stato ricavato dalla fusione di un’ascia vichinga. Fosse la verità o una delle sue molte fantasie, nessuno era in grado di dirlo, la realtà e i sogni non erano distinti nella mente di Rosso.
Il ragazzo restava sulla piazza dal tramonto alle prime luci dell’alba, che fosse estate o inverno, che fosse una tiepida notte stellata o una gelida oscurità rotta dai fulmini.
- Rosso è in giallo, meglio prendere l’ombrello - scherzavano i paesani con un tacito rispetto per i sensi misteriosi del ragazzo, perché la tempesta, o comunque il brutto tempo, erano assicurati entro le ventiquattro ore se Rosso indossava il suo sudovest giallo. Poi, quando il maltempo arrivava, eccolo infagottato, il cappuccio grondante acqua e salsedine, un paio di stivaloni di gomma. Se ne stava ritto, appoggiato alla colonnina del cannocchiale a moneta come un nocchiere legato alla barra nella tempesta, l’occhio fisso in alto, a fissare la punta del campanile come a spiare il vento sul pennone di Maestra. A volte invece Rosso s’atteggiava a comandante sul cassero di poppa, una mano sul ruvido muretto come fosse un mancorrente di mogano ben levigato, immobile a dare ordini con voce stentorea per superare il muggito dei marosi e l’urlo del vento che, facendo vibrare le corde della biancheria tese tra le case, pareva fischiare tra le sartie e le manovre.
- Rosso, è tardi, vieni a fare colazione - lo chiamò la madre appena vide il ragazzo spuntare dalla crosa e varcare il cancelletto cigolante. Resin non si aspettava una risposta, ma quella volta, dopo mesi di mutismo quasi assoluto, udì il figlio borbottare qualcosa a proposito di una rete che non sarebbe stata ritirata quel giorno - Eric è partito -, concluse Rosso, accennando al mare invisibile oltre la collina.
Anche Enrico stava pensando alla rete, non gli piaceva doverla lasciare lì dove l'aveva calata la sera prima; chissà quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno se ne ricordasse e andasse a recuperarla. Ma non era riuscito a trovare un’altra soluzione.
Tutto era stato preparato accuratamente da molti giorni, forse da molte settimane, da quando nella mente di Enrico aveva iniziato ad agitarsi un vago sentire inconscio, poi divenuto un pensiero meditato, prendendo infine la forma di un piano preciso.
- Dove vai, Rico, parti per la crociera? - aveva chiesto il Patan, l’uomo del distributore per le barche che affollavano il porticciolo.
- Magari, Patan, faccio solo un poco di scorta da tenere nella rimessa, non ho voglia di venirti a trovare così spesso, poi la Minni sospetta - aveva scherzato Enrico, apparentemente del solito umore. Così le quattro taniche erano state riempite ed erano finite nella piccola rimessa, nella attesa di essere imbarcate il giorno prescelto; con quelle, avrebbe potuto fare molte miglia. Certamente più di quelle che sarebbero state necessarie, si disse Enrico, osservando le nuvole di tempesta dritte di prora e le creste spumose che le onde iniziavano ad esibire, facendo beccheggiare la "Minni" sempre più violentemente. Tutto stava verificandosi come era stato progettato.


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MessaggioTitolo: Re: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime5/8/2008, 08:16

La cosa fondamentale nel piano di Enrico era il tempo. Ci voleva una giornata bella al mattino presto, ma con la burrasca annunciata al largo. E la burrasca doveva essere di Libeccio, la peggiore su quel mare che in quelle circostanze poteva raggiungere e superare forza sette.
Enrico l’aveva aspettata per settimane, scrutando il cielo e l'orizzonte, e più pragmaticamente, ascoltando il bollettino meteorologico. Finalmente, il giorno precedente, aveva concluso che l’indomani ci sarebbero state le condizioni ideali, ed era uscito in mare a calare la rete nel suo posto preferito, poco al largo della scogliera di ponente.
Al ritorno, dopo aver ormeggiato ed aver finito di ripulire meticolosamente la “Minni” come sempre faceva, invece di andare direttamente a casa, Enrico si era incamminato verso il borgo. Passando accanto alla piccola spiaggia vide Rosso, lo strano ragazzo che non parlava quasi mai, ma sapeva molte cose. Indossava la cerata gialla, la migliore conferma delle previsioni di tempesta. Rosso era in piedi sul limite del bagnasciuga e stava lanciando dei sassi. Li sceglieva con cura, lisci e rotondi, poi attendeva il momento giusto, quei pochi secondi tra un’onda e l’altra dove il mare sembra voler prendere un respiro prima di scagliarsi di nuovo verso la riva. In quel momento Rosso lanciava la sua pietra con forza facendola roteare e rimbalzare più volte sulla superficie come pochi sapevano fare.
Inaspettatamente, Rosso aveva interrotto il suo gioco, si era avvicinato a Enrico fissandolo a lungo, poi gli aveva fatto un cenno di saluto borbottando qualcosa a proposito della burrasca dell’indomani: -…come i miei sassi, loro combattono, ma il mare li prende sempre. Sarà bello, Eric - furono le parole che Enrico riuscì ad afferrare, mentre il ragazzo si voltava verso l’acqua, nuovamente intento al suo gioco e ai suoi pensieri misteriosi.
Enrico proseguì a passo svelto su per lo stretto carrugio che attraversava tutto il paese e in breve arrivò alla chiesetta dei marinai, sul promontorio. Entrò in quella semioscurità così adatta al raccoglimento e fece una cosa che non faceva più da anni. Si segnò e si sedette, restando semplicemente lì, senza pregare, ma ascoltando il rumore che faceva il mare frangendosi sulla scogliera e risuonando nella piccola navata.
In quel luogo un Dio, chiunque esso fosse, doveva esserci, ne sentiva la presenza, come sentiva quella dei marinai che prima di salpare si erano seduti dove era lui adesso e non erano più tornati. Molti di loro li aveva conosciuti, di alcuni era stato amico, ed erano lì accanto; forse, se avesse alzato gli occhi, li avrebbe visti.
Finalmente i passi di alcuni visitatori ritardatari lo scossero, allora Enrico si alzò e si diresse verso casa, poche centinaia di metri sulla collina, ai limiti del paese.
- Domattina presto vado a tirare su la rete, Minni; tu dormi pure, torno per le dieci, le undici al massimo, così hai il tempo per pulire i pesci - aveva detto prima di coricarsi a fianco della moglie.
Ma Enrico non aveva dormito. Appena il respiro di Minni si era fatto regolare, era andato in salotto, si era seduto al tavolino per scrivere una lettera, la più lunga che avesse mai scritto. Era per sua moglie, l’avrebbe imbucata al porto, prima di salpare e sarebbe arrivata il giorno dopo, o l’altro ancora, comunque non faceva differenza. Poi si era vestito come sempre quando doveva andare a tirare la rete: giaccone e pantaloni impermeabili, stivaloni di gomma, berretto di lana. Infine era tornato in camera cercando di fare il minor rumore possibile. Si era fermato ai piedi del letto per molto tempo.
Guardava sua moglie dormire, infagottata in un pigiamone di flanella che non nascondeva l’evidente sovrappeso, il respiro pesante che a tratti si spezzava in un sommesso russare. Eppure quel volto, solcato da rughe fitte e minute, aveva ancora un riflesso della bellezza di tanti anni prima, quei capelli grigi e arruffati in qualche modo riportavano alla chioma biondo scuro, lunga e liscia che lei, nei momenti di passione, si scioglieva e lasciava arrivare a sfiorare il bel seno. La passione, pensò Enrico; quanto tempo era che non facevano più l’amore? Non che lui non la volesse più o che lei si negasse, ma semplicemente il suo male per prima cosa gli aveva tolto la capacità di farlo, e quello era stato il campanello d’allarme che, seguito da altri, aveva portato Enrico alla consapevolezza di quello che stava accadendo al suo corpo. Povera Minni, che ignorava il suo stato ma qualcosa doveva aver capito, e lo trattava da un po’ di tempo come si tratta un bambino fragile, sempre premurosa e protettiva. Era stata una moglie perfetta, gli aveva dato anche un figlio che viveva lontano, ora aveva una sua famiglia.
Un bacio leggero sulla guancia e una carezza ai capelli alterarono per un istante il respiro della donna, che subito dopo riprese il ritmo regolare e rumoroso di prima. Enrico si voltò, prima che la commozione potesse farlo tentennare, e uscì con passo deciso. Presto sarebbe stato sul mare, diretto a sud-ovest.
Non poté vedere le lacrime che bagnavano il viso di Minni, e non poté udire il suo pianto disperato. Non si vive per più di quarant’anni con una persona amandola come Minni amava il suo uomo se non si capiscono i suoi pensieri e non si conoscono i suoi segreti. Lei aveva dapprima intuito, poi aveva sospettato, infine si era decisa a fare qualcosa che mai aveva fatto in tutti quegli anni: aveva frugato, aveva cercato sperando di non trovare, ma infine aveva trovato una busta di carta marroncina con l’intestazione dell’ospedale, nascosta ingenuamente, come solo poteva fare una persona che mai nulla aveva nascosto.
In questo modo Minni aveva saputo, ma rispettava troppo il suo Enrico per negargli il diritto di fare ciò che lui sentiva di dover fare. Però lei non poteva limitarsi a restare in casa ad attendere. Era una donna forte, e la forza le ci volle tutta per non correre al telefono, per non dare un allarme che comunque non le avrebbe restituito il suo Enrico. Anzi, probabilmente l’avrebbe fatto allontanare in modo irreparabile, incapace di perdonare quello che per lui sarebbe stato un tradimento.Così Minni si vestì lentamente, si sforzò di riordinare la casa come faceva sempre, poi aspettò ancora una mezz’ora, perché non voleva rischiare di farsi vedere da Enrico che magari si era attardato, infine uscì di casa e si diresse verso il porticciolo. Il vento rinfrescava ancora e girava da sud-ovest, le nuvole ricoprivano tutto il cielo e il sole era un pallido bagliore uniforme, con qualche fascio di luce che filtrava tra gli squarci dei cumuli in tumulto. Le ondate si rompevano sul molo dove Minni se ne stava immobile, senza ascoltare le domande di chi le si avvicinava e scrutava con lei il mare che si ingrossava di minuto in minuto. Non si vedeva alcuna imbarcazione. Nessuno sarebbe stato così incosciente da avventurarsi in un abbraccio tempestoso di onde senza possibilità di uscirne vittorioso.
Al largo, dove la terra non si vedeva più, Enrico continuava nella sua rotta, senza incertezze. Era sicuro che Minni, dopo aver atteso una o due ore il suo ritorno, avrebbe dato l’allarme. Di certo la guardia costiera e le navi vicine stavano cercando un uomo a bordo di una piccola barca in mezzo alla tempesta, ma lo avrebbero cercato verso la costa, senza possibilità di trovarlo, almeno nelle prossime ore. Dopo, non importava più.
La seconda tanica di gasolio era già stata versata nel serbatoio; non avrebbe dovuto usare anche la terza, si disse Enrico, guardando l’acqua che iniziava a sciabordare alta nell’imbarcazione.
Lui avrebbe lottato col mare, affrontandolo di petto sulla sua barca che risaliva le onde sempre più pesantemente e si tuffava nel cavo successivo come se non dovesse riemergerne più. Presto il mare avrebbe invaso il pozzetto del motore e il suo borbottio avrebbe taciuto. A quel punto il gozzo non avrebbe più potuto governare e, senza scampo, avrebbe prestato il fianco alla tempesta.
Questa era la sua scelta; non il confino all’ospedale per cure senza speranza, non il sentire le forze che svanivano sopraffatte dal dolore e dalla paura, non la sfilata di amici e parenti che sarebbero venuti a visitare la salma ancora in vita. Ecco perché stava in mare e ne affrontava la furia come un nocchiero di altri tempi, senza terrore. “Il marinaio non va in pensione, rimane marinaio sino a quando resta a galla”, amava dire, ma quello che non aveva mai detto ad alcuno era ciò a cui pensava sempre più spesso: “La fine del marinaio deve essere in mare, la sua bara l’acqua salata”.

Qualche tempo dopo, a riva, Rosso si fermò accanto a Minni, senza parlare. Lei percepì la sua presenza, quello sguardo senza parole, e si voltò. Gli occhi del ragazzo la fissavano attenti, con una dolcezza infinita. Minni sentì il bisogno di dire qualcosa, dopo ore di angoscia muta.
- Laggiù c'è il mio Enrico, lui è un marinaio, lui sta morendo, non lo vedrò più. -
Il ragazzo, dopo un lungo momento, ruppe il silenzio, esprimendosi a fatica, come fanno coloro che non sono più abituati a comunicare usando la propria voce.
- Ma la gente del mare ritorna, io lo so -. Poi si voltò e scomparve con passo svelto su per il vicolo che portava alla chiesa. Aveva un compito importante da svolgere e la notte si avvicinava.
Minni era tornata immobile, granitica nella sua decisione: aveva lasciato libero Enrico di scegliere la morte, ma non l’avrebbe lasciato morire da solo.
Con gentilezza, ma fermamente, aveva allontanato le donne del borgo che l'avevano avvicinata per convincerla a tornare a casa, per offrirle compagnia e amicizia. Lei Avrebbe aspettato lì, sulla riva, quasi potesse essere al capezzale del suo uomo, per tenergli la mano, per accompagnarlo nella sua ultima traversata, la più difficile. Pregava, non per un'impossibile salvezza, ma solo che il mare glielo riportasse, non sopportava l’idea di non avergli potuto dare l’ultimo saluto.


Ultima modifica di mariovaldo il 5/8/2008, 08:24 - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Re: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime5/8/2008, 08:17

Quando calò l'oscurità, la tempesta ancora insisteva violenta, Rosso era al suo posto sotto la chiesa e come sempre scrutava nel binocolo, ma nessuno avrebbe potuto vedere ciò che lui vedeva in quel buio rotto solo dai fulmini e dai lampioni della piazzetta deserta. Rosso dialogava fitto come se ci fosse un interlocutore che parlava attraverso la sua bocca. E le parole uscivano fluenti, senza più esitazioni, mentre guardava un punto preciso del mare, oltre la scogliera dove le ondate si frangevano con rabbia.
-Tu discendi da noi, tu appartieni al mare come tutti i suoi figli.-
Rosso scosse la testa
- Un altro mare, un altro tempo, questo mare è dolce e caldo, questo tempo non appartiene più alle navi dai grandi scudi, i neri Drakkar con la prora di drago non incutono più il terrore ai popoli delle coste.-
-Tu hai visto già altri mari, tu eri un uomo del Nord, tu arrivasti in Irlanda e là erano i tuoi castelli, nella più verde delle terre che conquistammo.-
- L’Irlanda, ricordo, certo che ricordo, e poi ci fu la battaglia di Clontarf, quando il re Brian ci sconfisse e ci scacciò per sempre da quel dolce paese, e noi tornammo a battere tutti i mari.-
- Ecco, vedi che non hai dimenticato? Dopo Clontarf, tu approdasti… ricordi la Normandia e le sue colline di sabbia, le sue donne e il suo dolce vino di mele?-
- Certo, fummo potenti anche là, dove i nostri guerrieri abbandonarono gli dei per il Cristo e divennero Cavalieri, e molti di loro andarono in Terrasanta con la croce sugli scudi. Poi alcuni, pochi, tornarono. Questa è la terra che scelse uno di loro. Aspra, votata al mare, così diversa e così uguale alla nostra. La gente è dura come la loro terra. E marinai, i migliori che abbiano mai domato queste onde.-
- Tu che ora appartieni a questa terra di uomini di mare, uno di loro ha bisogno di te, devi aiutarlo, devi andare.-
Le ultime parole furono un grido.
C’era bisogno di lui, non poteva restare a guardare. Corse giù, per il vicolo di pietre sollevando schizzi, giù, appoggiandosi ai muri per non cadere, giù, sino alla spiaggia. Lì si tolse gli stivali e si sfilò il binocolo, poi strinse nel pugno l’anello di bronzo.
- Rosso figlio del popolo del nord torna al suo mare.-
Intorno a lui soltanto acqua, acqua gelida, acqua dal cielo, acqua salata, che scrosciava, sussurrava, urlava il suo invito. Rosso prese ad avanzare sulle pietre bagnate, guardando oltre i frangenti dove la luce di un lampo rivelò una prora ornata da una nera testa di drago, o forse era solo l’ombra crestata di scogli affilati.
Ancora qualche metro, e la carezza della schiuma l’avvolse, come l’amante che solleva il lenzuolo di seta per accogliere chi l’ha desiderata con devozione per tutta una vita.

Quasi fosse stato placato da quel tragico rito pagano, la mattina il mare era percorso solo da onde alte e lunghe che rumoreggiavano tra gli scogli, mentre qualche raggio di sole a poco a poco riusciva a farsi strada tra le nubi, fugando i draghi delle ore notturne. Ritirandosi, il mare aveva lasciato un tappeto di alghe e di detriti che quasi arrivava sino alla strada che costeggiava la spiaggia e il molo.
Un carabiniere aveva raccolto qualcosa tra i ciottoli, in alto dove le onde non erano arrivate, poi aveva portato gli oggetti appena ritrovati - un paio di stivali di gomma e un binocolo - a un ufficiale che attendeva sul molo. Subito dopo i due si diressero verso Minni per mostrarglieli, ma lei li guardò appena, scuotendo il capo. La donna era stata convinta nel corso della notte a seguire i carabinieri alla loro stazione, dove l’avevano ospitata ed erano riusciti a farla rifocillare un poco. Ma ora, dalle prime luci, lei era tornata sul molo assieme ai militari. Uno di loro con un telefono cellulare in mano si avvicinò all’ufficiale sussurrando qualcosa.
- Signora, venga ci sono novità, purtroppo -, le disse il militare.
Il tenente spiegò che una motovedetta della finanza aveva avvisato via radio che sarebbe rientrata entro un’ora con una barca al traino, la "Minni", ma dell’uomo a bordo non si era trovata traccia.
Un’altra donna raggiunse di corsa il gruppo di persone, passando oltre i pochi curiosi che, a distanza rispettosa, seguivano la vicenda: un loro compaesano era disperso in mare, tutti si sentivano coinvolti.
Resin, il viso stravolto dall’ansia, si avvicinò al tenente spiegando che per un qualche presentimento era andata alla chiesa a cercare il figlio, ma non l’aveva trovato, né là, né lungo la strada abituale che pure aveva ripercorso nella speranza di incontrarlo.
L’ufficiale le fece alcune domande, poi le mostrò gli oggetti ritrovati sulla spiaggia. La donna annuì, scoppiando in un pianto disperato tra le braccia di Minni che le si era avvicinata, intuendo che un altro dramma si stava svolgendo su quel molo. Cosa poteva dirle, lei che le lacrime oramai le aveva finite tutte? Le due donne stettero a lungo vicine, senza parlare, cullate dal suono del mare che nonostante tutto non riuscivano a sentire nemico, così amato com’era dalle persone che a loro erano più care.
La motovedetta procedeva lentamente per non compromettere il traino della barca che si intravvedeva appena, una decina di metri a poppavia.
Un marinaio sorvegliava distrattamente l’imbarcazione che, appesantita dall’acqua, rischiava di affondare a ogni ondata. Qualcosa però attrasse la sua attenzione tanto da indurlo a chiamare il comandante, additandogli la barca. Sulla prua della “Minni”, dopo una faticosa risalita dal cavo di un’onda, si era impigliato un oggetto dal colore sgargiante. Il comandante prese il binocolo per osservare meglio.
Si trattava di un sudovest da marinaio, giallo e pesante. Sotto il cappuccio, si intravvedeva un volto anziano, circondato da una folta chioma bianca che fluttuava sulla superficie dell’acqua. Dopotutto, pareva che il proprietario della barca non fosse più disperso, pensò il comandante, e si affrettò alla radio per dare la notizia.

Il gozzo è oramai un puntino al largo, il suo rumore è svanito, mescolato a quello della risacca sulla scogliera. Nonna Minni è ferma davanti alla piccola lapide, una mano si tende verso il nome scolpito, in una carezza lieve.
- Grazie ancora, Rosso - mormora, poi lascia che il bambino la trascini via, verso l'uscita.
Un soffio di vento s'insinua nel vicolo facendo vibrare le corde della biancheria, tese tra le case, come fossero le sartie di un antico veliero, mentre il campanile di San Pietro sembra osservare tutto dall'alto, come un pennone di Maestra
.
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MessaggioTitolo: Re: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime5/8/2008, 09:24

Complimenti Mestro. Leggerlo tutto insieme speiga il perchè del premio, anche se verrebbe da chiedere come mai solo il secondo. geek
Complimenti.
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime5/8/2008, 16:26

Le tue capacità narrative sono indiscutibili, visivamente e per come trascini il lettore con te, dentro alla situazione, al punto di esserci anche tu su quella mulattiera.
Non ho letto il racconto che ha vinto il primo premio.
Questo tuo, ha il mio primo premio personale.
E' delizioso e la lunghezza non ha scalfito minimamente il piacere della lettura nella quale ritrovo, come da tua prefazione, temi a te cari, sapientemente mescolati.
Bravissimo davvero.
Un abbraccio ed un plauso.
D.
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MessaggioTitolo: Re: Il campanile dei marinai   Il campanile dei marinai Icon_minitime

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