La città vista dall'alto è di una paurosa tranquillità.
Le macchine la invadonono come una sottile macchia d'olio; le luci rosse che si trascinano dietro, a ben vedere, sembrano una ferita sul petto. Un petto orsuto, certo. Piatto e fluido. Nero.
Il cielo si distingue dal resto, in quel suo color rosso-giallo-arancio-blu al crepuscolo.
I palazzi (come il corso delle cose) hanno la loro visione imponente e sinuosa.
Il vento mi accarezza la pelle.
Penso a quel che è stato, a quel che sarà.
Respirar piano è facile.
La gente cammina veloce, non si guarda. E' persa dietro il tamburellare insistente dei desideri. Comanda dal solito dio, non sembra preoccuparsi di quel che succedere a un metro dal naso.
Il via vai è veloce (ma anche no), slessibile. Ripetitivo. Prevedibile.
Costante.
E non c'è riparo, non c'è rifugio.
Il tempo, come nessun altro, è abilissimo a rimettere in sesto il quadro degli avvenimenti. Ogni cosa sembra avere una sua logica. Se ripensata.
C'è gusto a star per strada, si imparano molte cose.