VITA - MORTE

Luca, mi mancavano le tue poesie/immagini....

Sono fuori dal tunnel na na na
Mi ricordo perfettamente del giorno che mi toccò risalire il tunnel scuro del quale non vedevo la fine.
Era iniziato tutto dolcemente, quasi un massaggio al mio corpo, una pressione leggera e dilatata nel tempo che si faceva via via sempre più esigente e dolorosa nel guidarmi verso il basso, alla ricerca di una via di fuga.
Provavo dolore, non potevo muovermi, le braccia erano incollate al corpo, le gambe che prima potevo tenere rannicchiate erano distese ma facevano male in quella che era per me una posizione innaturale.
Sentivo al di sopra della carne mani che mi palpavano, mi spingevano e mi violavano per incanalarmi verso l’uscita dal nero.
Mi mancava l’aria, forse stavo morendo e morivo senza essere ancora nato.
Mi chiedevo perché dovevo provare tanto dolore quando stavo così bene, a galleggiare dentro alla mia bolla di sangue.
Me lo domandavo mentre stridevo le gengive nude; gli occhi dovevo tenerli chiusi perché bruciavano, i pugni erano serrati, lo ricordo, avevo tanta forza ma ero impedito ad usarla mentre continuavo ad essere stritolato da quella morsa dolorosa di carne.
Sentivo in lontananza, ovattate, delle voci: quella di mia madre che tante volte mi aveva ninnato quando con le mani mi trasmetteva calore cercando le mie forme dentro di sé, ora urlava stravolta ed irriconoscibili grida animali di dolore allo stato puro; altre voci inapplicabili a nessuno cercavano di tranquillizzarla e di confortarla, dicendole che sarebbe terminato tutto presto.
Non sentivo la voce di mio padre, ma capivo che era lì, presente, perché un’altra voce stava chiedendo se si era ripreso dal trauma subito, con conseguente svenimento, alla vista di tutto quel sangue.
Non capivo, non comprendevo cosa stava accadendo, pur sapendo inconsciamente che sarebbe stato un processo irreversibile, volevo solo che quella tortura terminasse in fretta.
Non so quanto tempo fosse passato, nelle situazioni di dolore il tempo è dilatato o ristretto e può durare un’eternità od un solo minuto e non lo sai, non riesci a misurarlo; so solamente che ad un certo momento iniziai a sentire un gran freddo in testa, mentre le grida si facevano ancora più intense e ravvicinate.
Un pezzo di materiale freddo che mi fece gelare mi strinse per un attimo sotto le braccia che erano ancora all’interno del tunnel e ci fu un guizzo: il freddo dalla testa si cosparse a tutto il corpo, il sangue di cui ero vestito non bastava a ripararmi dal gelo, volevo tornare nel mio guscio al caldo ma a nessuno riusciva a sentire le mie urla di protesta.
Alle grida di mia madre si era sostituito un pianto liberatorio di gioia, le voci si congratulavano; una disse congratulazioni è un bel maschietto di quattro chili: parlava di me.
Mi sconvolse questa cosa, sì, lo ricordo molto bene, perché ero convinto di essere IO anche prima, in quel posto da dove ero stato malamente cacciato.
Iniziai ad urlare, potei rannicchiare nuovamente le gambe, mentre ritrovavo un po’ del calore perso su un mare di carne calda ove venni riposto ed una mano scese a scaldarmi il capo: fu una sensazione bellissima, una trasmissione di qualche cosa che prima avevo solo percepito e capii che quello che mi si stava diffondendo, scaldandomi, era l’amore di mia madre.