lettere dal Giappone Piccoli con le ali Peluche e letterine struggenti. Per i figli mai nati in nome del modello giapponese di Vittorio Zucconi Foto di N. Hashimoti/Sygma Ci sono giorni speciali di festa nei quali le mamme arrivano in processione a centinaia, per mettere bavaglini al collo dei loro figli, portar loro una girandolina di carta, una sciarpetta d’inverno da annodare attorno al collo o uno di quei "carinissimi" di peluche che infestano il Giappone come le pulci la pelliccia di un cane randagio. Alcune sono vecchissime, raggrinzite come uvette zibibbo, altre di mezz’età, altre giovani, se ne vedono scendere dall’auto con l’autista e altre trascinarsi in ciabatte, ma hanno tutte una cosa in comune, quei loro figli tutti uguali, buonissimi, silenziosi. E tutti di pietra. Il tempio buddista di Zojoji, a Tokyo, è la nurserie dei bambini mai nati, dei figli che le donne giapponesi hanno dovuto abortire perché qualcosa, nella loro vita, nella storia della nazione, della famiglia, ha imposto loro di non portare fino in fondo la gravidanza. Li chiamano "jizo", piccole ali, quei bambini di pietra sorridenti che sbocciano a centinaia tra i viali ordinati del tempio e semmai qualcuno di passaggio in Giappone, nauseato dallo shopping, dal sushi, dai treni veloci e dalle statistiche sui debiti delle banche, volesse vedere che prezzi hanno pagato le donne giapponesi per consentire ai loro uomini di combinare periodici disastri militari e boom economici, venga per un’ora nell’asilo delle piccole ali. L’aborto è stato per generazioni, e ancora in parte è, il principale metodo di controllo delle nascite, il più diretto. Quello che gli uomini preferivano, non essendo loro ad abortire, e che quindi le donne dovevano accettare. Se in altre nazioni l’interruzione volontaria della gravidanza è stata vista come una conquista dolorosa ma necessaria di libertà individuale, di "privacy" come dice la legge americana, in Giappone era un dovere, silenzioso ma ineluttabile. Finito il dovere patriottico di dar figli all’esercito perché i generali li mandassero a farsi massacrare in nome dell’Imperatore Dio, è cominciato per le donne il dovere inverso, evitare d’appesantire la ricostruzione con troppi marmocchi. Nel dopoguerra non c’era abbastanza da mangiare, dunque niente figli e, in caso di incidenti, aborto. Negli anni ’50 solo un concepimento su tre arrivava alla nascita. Finita la ricostruzione, cominciato il boom, la vita è diventata troppo dura e troppo cara, per avere famiglie numerose. Al momento della "bolla", alla fine degli anni ’80, quando il mondo cantava i trionfi del Giappone, un appartamentino di due stanze a un’ora di metrò dal lavoro costava due miliardi delle nostre lire. E quanti figli ci volete mettere in un bilocale? Ora che la bolla è scoppiata e i mariti vengono licenziati a 40 anni e le pensioni traballano, l’avvenire è troppo incerto per poterci scommettere mettendo al mondo bambini e le scuole buone, quelle private che assicurano l’ingresso nelle università migliori, costano fortune. Dunque, mamma, abortisci. La legge lo consente fino al sesto mese. Il tasso di natalità è di 0,48 bambini per coppia, metà di quello italiano, perché finalmente sistemi più umani di controllo delle nascite si sono diffusi. Ma quando torno a Tokyo, un passaggio al tempio dei bambini di pietra lo faccio sempre. È vicino a dove abitavo, a dove mia figlia andava a scuola, dove i grattacieli di vetro lustrati da milioni di mani brillavano, gettando le loro ombre sui giardini delle donne in processione con sciarpine e peluche. La prima volta, vent’anni fa, ci andai con Yukiko, la mia interprete, perché mi leggesse e traducesse i biglietti che le donne lasciavano accanto ai loro figli. "Tsubasa-chan, caro il mio piccole ali, ti raggiungerò presto e ti conoscerò". "Ogni sera, prima di addormentarmi, cerco di immaginarmi come saresti ora da grande, a chi somiglieresti". "Anche la tua sorellina ti ha raggiunto, cerca di averne cura tu". Adesso non voglio più interpreti. Non c’è bisogno di capire il giapponese per ascoltare le voci di quelle donne.