La mia casa è una casa particolarissima, sapete?
Non vi ha accesso nessuno, solamente io.
A volte nemmeno io per la verità.
Ci entro, mi siedo e mi metto a fissare il soffitto, scrutando ogni angolo e meravigliandomi di una ragnatela che ieri sera non c’era; come fanno presto i ragni a tessere le loro case, potessi io essere altrettanto svelta…
Oddio, ma il lampadario l’ho pulito sabato: ho tolto ad una ad una le gocce di cristallo per farle brillare, ma adesso, nell’osservarle, sembrano opache come non mai.
E quella crepa da dove arriva? Sarà stata l’ennesima scossa di assestamento del palazzo, sono certa di non averla vista prima.
Che strano, oltre all’ispirazione manca qualche cosa a casa mia, c’è troppo silenzio.
La musica, ecco che cosa non c’è, la musica.
Ma a quella si provvede con poca fatica.
Bene, ora un caffè, e poi mi concentro, devo scrivere il brano con la chiusa suggerita da Nuccina. Mica facile, stavolta.
Non mi viene in mente nulla.
Ho freddo, il riscaldamento è troppo basso temo.
Daniè, tu continui a girare a perderti per casa, trovi ogni scusa per non apprezzare il tuo rifugio, per non ritrovare le parole che vorresti arrivassero alle dita in fretta, sciolte, a dire, a fare ed a baciare.
Certo che sei una bella presuntuosa te: solo per aver detto dire fare e baciare ti senti un autore? Un poeta no, decisamente no, non basta mettere assieme due rime in re, ci manca solo cuore e amore e zac, sei sistemata.
Occorre tirarsi via di dosso la pelle e lasciare andare fuori tutto quanto.
Non sarà un bello spettacolo, ma domani poi ripulisci.
Quando ti siederai ancora qui, in casa tua, a cercare parole che ora non giungono.
A casa tua, nella tua casa, accessibile solo a te.
E non sempre.
*****
Vorrei dirvi di un’altra casa, non la mia; è una casa che amo frequentare nelle lunghe serate invernali, in cerca di parole a riempire il vuoto, sorseggiando un bicchiere di vino in compagnia, nell’attesa del nuovo giorno.
E’ una casa dalle pareti giallo chiaro, con l’intonaco un po’ in rilievo che tanto era di moda negli anni ’60.
Non ha le persiane a battenti ma le tapparelle di plastica a rinchiudere fuori il freddo invernale; un balconcino si apre sul cortile dalla la porta-finestra della stanza che funge da sala.
La cucina è in ordine, chi la abita non la frequenta spesso, sporcandola.
Ci entro sempre volentieri in visita agli amici che la abitano; sono ospitali nell’accogliermi ma ci sono giorni che c’è un’aria strana, pesante, quasi palpabile al tatto.
Come stasera.
Entro e mi accomodo e capisco immediatamente che è una di quelle sere che respirerò male, ansando quasi come in preda ad un attacco d’asma.
Io so del perché mi mette disagio starmene seduta sulla sedia ad ascoltare i miei ospiti che mi parlano e perché mi pare di non riuscire a respirare, i polmoni stritolati in una morsa in cerca d’aria.
Ma è un’aria imbibita di dolore sottile ma pesante, quasi come se dentro coloro che mi siedono di fronte, siano trattenute lacrime che premono per uscire fuori e lo fanno da ogni poro della loro pelle, impregnando l’ambiente di un odore salino che non assomiglia a quello del mare.
Mi guardano in faccia e non capiscono del perché i miei occhi si sono fatti lucidi e le pupille si sono allargate a dismisura, del perché mi stringo il collo con una mano.
La casa dalle pareti giallo chiaro stasera piange.
Fuori, si sente un lupo ululare.
Lo aspettiamo seduti in silenzio, sperando che proceda oltre e non venga ad abbeverarsi dei nostri occhi e sfamarsi del nostro cuore.
Domani all’alba, al sesto rintocco, l’aria sarà più tersa e respirabile a pieni polmoni; la casa dalle pareti giallo
chiaro abbozzerà un sorriso, tenue come il sole che starà sorgendo.
Lo spero.