CANTILENA - NEFERBELLA

Avevo ben chiaro nei meandri della memoria di come fossi arrivata in quel luogo: bastava che chiudessi gli occhi e le immagini tornavano a scorrere, al rallentatore; sapevo sarebbero state parte di me per sempre sempre, che non mi avrebbero mai più abbandonato fino a che avrei avuto respiro.

In una casa bella e spaziosa, c’è una tavola a festa, un camino acceso, odore dell’incenso, delle arance e…

Quando tempo fosse trascorso dentro quelle mura, mi era impossibile stabilirlo. La mia identità era avvolta dalle nebbie della “follia”.

Da dietro quella finestra a quadri osservavo cadere, soffici, i fiocchi di neve tra le felci, ed ascoltavo in silenzio il rumore del bianco, come se il suo fragore silenzioso potesse alleviare quel mio stato catatonico.

Il silenzio era blandito dal lieve sciabordio dell’onda che muore sulla sabbia.
E dai cupi mormorii dell’Etna.
Le pause, che succedevano ad ogni borbottio del vulcano, mi portarono a frugare nei meandri della mia memoria, alla ricerca di giorni meravigliosi e di piacere.
Ma invece di quelle immagini amene che stavo cercando, una scena penetrò la mia coscienza, durante una notte tormentata dal colore rosso.

-Era un tranquillo pomeriggio estivo. L’aria profumava di fieno e di rose selvatiche. Il telefono squillo’

-Lia, sono Anna

-Dimmi, qualcosa non và?

-No, tutto ok, volevo invitarti

-Debbo andare ad un party letterario, vieni con me?

-Non avrei voglia sinceramente, ma se hai bisogno di compagnia, verrò

-Ho bisogno, vengo a prenderti.

Avete presente quei party dove ogni cosa ti è estranea?

Ebbene ero li’ affondata in una poltrona, ad ascoltare e ad ammiccare.
Ma non riuscivo a seguire nulla di quello che dicevano gli altri, era un mondo che non conoscevo, quello della poesia.
Di tanto in tanto abbandonavo la poltrona e mi tuffavo in quella confusione.

All’improvviso ebbi netta la sensazione di sentirmi osservata.

Non capivo da chi, cercavo, ma non scorgevo nessuno.

Ma era li, sentivo i suoi occhi, percepivo il ritmo del suo respiro, era li.

Poi lo vidi.

Un uomo decisamente attraente, con un fascino magnetico, da poeta, e con l’aria di chi si è laureato con il massimo dei voti.

Riuscii a capire che era o forse era stato poeta, che si chiamava Paul Verlaine, che era un buon bevitore e, a margine di tutto questo, un tipo facilmente irascibile.

Ma quella sera fu tranquillo e poi splendido, almeno con me.

Trovai il suo parlare interessante, sembrava sapesse tutto; del resto, diceva, era stato ovunque ed aveva letto tutto, la sua retorica, plasmata a servire la poesia, esprimeva con stupenda sintesi una brillante intelligenza.

Tutto era eccitante, il suo fascino mi intrigava sempre più.
Una mente eccelsa, aperta ed arrogante. Cosa può esserci di più sensuale?

Mi innamorai, anche dell’idea chiara che con lui avrei potuto avere soltanto una relazione difficile.

Divenni la sua compagna e la sua ombra.

Lo seguivo dappertutto, cercavo di leggere quali pensieri si riflettessero in quei occhi impenetrabili.

Ad ogni festa che partecipavo, lui si attorniava di giovani, e si percepiva, odore di lussuria e sensualità.

Lo guardavo mentre in quelle sale camminava, guardandosi in giro, con aria altezzosa e con ghigno di scherno appena accennato con il quale studiava ogni potenziale nuovo ”poeta”.

Ogni mia rimostranza sul suo modo di fare, fu considerata puerile; lui doveva vivere, farlo sopra le righe, farlo scandalosamente, vivere la sua vita.

Una casa bella spaziosa, tavola preparata a festa, un camino acceso, l’odore dell’incenso, delle arance e…

Era il 31 di dicembre, una notte distinta e molto chiara, non era come tutte le altre, non per la festa, ma avvertivo nell’aria qualcosa di funesto.

Avevo preparato tutto con una minuzia maniacale, non volevo che niente fosse fuori posto. Era la prima volta che festeggiavamo insieme nella nostra casa, quella casa.

Era tutto pronto ma mancava qualcosa, mancavano i fiori.

Mi precipitai a comprarli, lo avvertii che avrei tardato.

Non trovai subito quello che cercavo, ma solamente dopo vari tentativi le trovai: rose gialle.

Rientrai prima del previsto, sistemai le rose dentro il vaso e lo posizionai a centro tavola.

L’orecchio intanto coglieva dei suoni di voci, che mi distolsero da ciò che facevo.

Sentivo risate, sibili, che provenivano dalla camera da letto e senza far rumore varcai quella porta.

Ripugnanza, dolore, odio e follia.

Iniziai a indietreggiare, avevo visto abbastanza: corpi nudi che si desideravano, bocche che si baciavano, carni che si strofinavano, combinandosi tra loro in un gioco di godimento dal profumo acre.

Fuggire. Volevo fuggire. Fu quello il mio unico pensiero. Purtroppo non fu così, non riuscii a farlo.
Non dissi nulla, indugiai troppo: venni presa con forza fui strascinata, mio malgrado,  in quell’inferno di sesso.

Presa, picchiata, stuprata.

Fu un attimo, solo un attimo e nella mente qualcosa vacillò.

Con la calma di un chirurgo, decisi di eliminare per sempre quella parte della mia vita.
Qualcosa mi suggeriva di fare così.

Estirpare,

estirpare,

estirpare,

estirpare l’erba cattiva.

Tutto sembrò  tornare alla normalità.

Estirpare,

estirpare

estirpare,

estirpare l’erba cattiva.

Lui seppe essere romantico, dopo.
Io mi chiusi in un silenzio che lui non notò.
Del resto non mi aveva mai ascoltato.

Ad interrompere il mio silenzio il sottile rumore della lama, un coltello da cucina.

Lui si dibatté, urtò sul comò cadendo a terra.

I miei occhi, annebbiati dalle lacrime, lo fissavano là, dove era caduto.
Contemplavano il suo corpo, senza la minima commozione.

L’avevo amato.

Iniziai a ridere, con una forza innaturale.

Follia.

Di quella notte, non ricordo più nulla.

Tutto si dissolse improvvisamente, la poesia della morte mi stava risucchiando nel buio della ragione.

Fuggii nella notte, mi resi conto allora di sentire di nuovo il rumore della neve, sotto le scarpe.

Mi ritrovarono rannicchiata in strada, in preda a un delirio ed ipotermia, con le mani macchiate di rosso. Non lontano da casa.

In una casa bella e spaziosa, c’è una tavola a festa, un camino acceso, odore dell’incenso, delle arance e un silenzio assordante.