IL SEGRETO DEL SUCCESSO - MARIO MALGIERI

La nebbia risaliva dal Tamigi sfumando ogni cosa. Presto l’oscurità della sera avrebbe reso quasi invisibile la persona incappucciata appena uscita da una casa in Bishop Gate.  
E questo era esattamente ciò che quell’uomo voleva.
Sulla quarantina, dal portamento eretto e agile, il volto intelligente dai bei lineamenti aristocratici incorniciati da una rada barba appena ingrigita, persino un’evidente stempiatura che risaliva dalla fronte verso il sommo del capo altro non faceva se non accentuare il suo essere una persona piacente, che non passava inosservata. Per di più il suo volto era familiare in tutta Londra, senza distinzione di classi.
Popolani, soldati e Lord lo avrebbero facilmente riconosciuto. Persino Sua Maestà Elisabetta lo aveva onorato del suo favore, aveva voluto le fosse presentato e al primo incontro ne erano seguiti altri, dove la viva intelligenza e l’acuto senso critico della Regina lo avevano piacevolmente stupito, ricordò con una certa tristezza: amava e ammirava la sovrana ma, a quanto si diceva, ella pareva essere in punto di morte. Presto si sarebbe scatenata l’ennesima lotta per la successione poiché con lei, vergine senza eredi, sarebbe finita la dinastia dei Tudor.
Se la fama aveva indubbi vantaggi, essere riconosciuto era l’ultima cosa che si sarebbe augurato in quella sera: lo scopo della sua uscita e ancor più la sua meta dovevano restare assolutamente segreti, quindi attraversare il Bridge era fuori discussione per la certezza di incappare nel controllo della ronda e di dover fornire spiegazioni.
Con un percorso apparentemente senza senso, si diresse un buon tratto verso ovest, oltrepassò  la chiesa di San Paolo per poi svoltare a sud, attraversando la zona dove un tempo sorgeva il monastero dei Blackfriars e, scesi alcuni scalini, si arrestò infine sulla riva del fiume.
Qui l’uomo emise due fischi cadenzati, evidentemente un segnale. Infatti, la luce di una lanterna venne fatta dondolare poco distante, dove a un attracco rudimentale era accostata un’imbarcazione.  Senza una parola l’incappucciato vi prese posto e il barcaiolo iniziò a vogare prendendo subito il filo della corrente.
Con poco sforzo di remi la barca discese il fiume tagliando nello stesso tempo verso la riva opposta e, non senza qualche imprecazione del traghettatore che nella nebbia aveva difficoltà a trovare i riferimenti, prese infine terra a South Wark, non lontano dal Globe.
- Aspettami qui, tornerò prima del chiarire dell’alba, ma se non mi vedessi ancora al battere delle sei, va via e dimentica di avermi visto.-
- Che il Cielo vi sia propizio, mio signore.–
- Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi, ricordalo sempre. Ma comunque, grazie.-
Il passeggero non aveva dubbi, il barcaiolo era un uomo fedele e lo avrebbe atteso, e poi la ricompensa era generosa, come le altre volte. Prese la lanterna e s’incamminò lungo una stradina che dal fiume, evitando la zona del Globe e la fila di misere casupole che si affollava sulla riva, pareva perdersi nella campagna. Era evidente che conoscesse la via, tanto era sicuro il passo pure alla scarsa luce della lanterna.
In pochi minuti arrivò a un’alta siepe di tasso che racchiudeva uno spazio incolto e un’abitazione fatiscente. Strani arbusti contorti e privi di foglie gareggiavano con i rami adunchi di un’antica quercia a rendere spettrale l’angusto sentiero che conduceva alla porta della casa.
Un lume acceso e il battente semiaperto stavano a significare che l’ospite non giungeva inaspettato.
Senza esitare l’uomo varcò la soglia e si ritrovò in un ambiente illuminato soltanto da un camino acceso. Tre figure avvolte in panni lerci e rattoppati erano intente a una discussione con toni da cantilena:
- Dove sei stata, sorella?-
- Ad ammazzare porci.-
- E tu sorella, dove?-
- La moglie di un marinaio aveva nel grembiale delle castagne e biascicava, e biascicava, e biascicava: "Dammene un po'", faccio io. "Fatti in là, strega!" grida quella rognosa cibata di frattaglie. E allora… ma il nostro ospite è arrivato, sorelle, su, che non ci paga generosamente per udire i nostri discorsi da vecchie.-
- No, no, ho tempo bastante - disse l’uomo che nel frattempo, liberatosi del mantello, si era seduto su di uno sgabello sgangherato.
- Anzi - proseguì - il vostro parlare è interessante, mai arriverei a immaginarlo dovessi io scriverlo dal nulla.-
- Vossignoria è sempre molto buono con noi - rispose untuosamente la donna che aveva parlato per prima, e così facendo voltò il viso verso l’uomo che, pur non essendo la prima volta, non seppe trattenere una piccola smorfia di disgusto alla vista di quel volto oscenamente grinzoso e quasi barbuto, tanta e tanto fitta era la peluria giallastra che ne ricopriva labbra e mento.
La vecchia parlava anche in nome delle altre, quasi bisbigliando:
- Tutto è preparato secondo la vostra richiesta, ma sappiate che né il cielo, che sia maledetto, né la profondità dove regnano fiamme e tormenti, possono assicurare che avverrà ciò che volete che avvenga.-
- Ben lo so, non abbiate preoccupazione, che il vostro compenso è garantito in ogni caso, tranne quello in cui le fiamme dell’inferno ghermiscano pure me.-
- Siate prudente e parlate solo quando ne avrete il nostro permesso, senza mai offendere e soprattutto senza nominare o invocare il Cielo né i santi o altri che non sia colui che qui verrà.  In questo caso tutto andrà per il meglio.-
- Molto bene, sarò prudente, ora non perdiamo altro tempo e iniziamo. Dal passato ho capito che l’evocare gli spettri, specialmente quando se ne cerca uno in particolare, è cosa che può richiedere molto tempo.-
E molto tempo passò infatti, durante il quale le tre megere, liberatesi dai vestiti, a tratti danzavano urlando parole incomprensibili, in altri momenti si gettavano a terra distese, biascicando oscene cantilene; più volte orrende forme presero corpo nella cappa del camino, scheletri contorti ancora riempiti di visceri, corpi mutilati e corrotti, ectoplasmi danzanti nella colonna d’aria del camino, ma furono tutti respinti e dissolti da gesti e grida delle celebranti quel rito demoniaco.  
L’uomo, apparentemente calmo ma intimamente atterrito, assisteva in silenzio dall’angolo più distante, sino a quando apparve una forma più compiuta, anzi completamente umana tranne per la mancanza quasi totale del naso. Era senz’altro colui che era atteso: si sapeva come avesse perduto il naso per un colpo di spada nel corso di un duello. In vita, per rendere normale il suo aspetto, portava una protesi d’oro che naturalmente era rimasta nel sepolcro, assieme ai suoi resti mortali.
- Ora potete parlare, ma ricordate ciò che vi abbiamo detto – sussurrò una delle streghe.
Le parole da pronunziare erano pronte da ore, ma l’emozione e la paura lo fecero esitare più del dovuto.
La forma dello spettro prese a tremolare, mentre sul volto mutilato compariva un’espressione di furore.
- Presto, parlate, ne va della vostra anima immortale!- lo esortò la strega.
L’uomo si riscosse , le parole trattenute dalla paura finalmente gli uscirono dalla gola:
- Siete voi lo spettro di quel Tycho Brahe che scrutando il cielo da Uraniborg, nel regno di Danimarca, ha svelato tanti misteri del cosmo sino a quando perì di malattia, almeno così dicono, non più di un anno orsono?-
- Sì, io fui quell’uomo di scienza, acclamato e onorato nel regno di Danimarca e non solo, e ora condannato a errare nella notte per molto tempo, e il giorno ardo nel fuoco, fin che siano purgati i peccati da me commessi in terra. Ebbi nel mio letto centinaia di donne lascive, ira, gola e superbia furono altri miei peccati. Ma a portarmi anzitempo tra le fiamme degli inferi non fu la malattia.-
- Questo è il mormorio che, scavalcando il mare, giunse sin qui ed essendo io in procinto di scrivere del regno di Danimarca, mi spinse a evocarvi. Si è affermato che voi foste colpito da ferale malore al termine di un grande banchetto, dove vi fu esagerazione da parte vostra nell’onorare cibi e bevande. Non fu così?-
- Dunque ascoltami attento, ascolta! Se mai pietà alberga nel tuo cuore, tu devi rendere noto a tutti il mio assassinio!-
- Assassinio? Allora non fu una morte naturale la vostra, seppure improvvisa e dolorosa?-
- Turpe assassinio, qual è in ogni caso anche il più giusto; ma questo fu di tutti il più nefando, il più mostruoso e il più innaturale.-
- Ditemi tutto, affrettatevi che l’alba s’avvicina.-
- Ascolta, è voce generale ch'io sia morto per quel terribile malore mentre dormivo nel giardino: è così che gli orecchi dei Danesi e del mondo tutto sono stati ingannati ignobilmente da una falsa versione dell'evento. Sappi, invece, che mano assassina fu quella di mio cugino Erik, ma colui che lo mandò a togliermi la vita fu mio figlio!-
- Vostro figlio? Ma è mostruoso!-
- Ancora più mostruoso ti apparirà quando saprai che il figlio dannato in eterno per questo delitto è colui che regge lo scettro di Danimarca e ignobilmente si chiama Cristiano, quarto del suo nome.-
- Ma come potete voi, uomo di scienza, illustre ma non certo un re, aver per figlio un monarca regnante?-
- Oh, è facile. Quell'adultera bestia lasciva che fu moglie del precedente sovrano, con me giacque più volte e insieme generammo quel mostro che mai fu rinnegato e divenne il principe erede al trono di Danimarca. Una volta divenuto re e reso edotto da un cortigiano delle sue vere origini, egli prese ad odiarmi nel timore assurdo che io un giorno potessi rivelare la verità, causando così la mia e la sua rovina.-
- Io non posso che credervi, può mai uno spettro dannato mentire? Ma allora c’è davvero del marcio in Danimarca, e quel regno è corrotto ancor più di quanto io avessi immaginato. Ma dite, se la cosa non vi causa troppo dolore, come avvenne la vostra uccisione? Fu dunque una cosa tanto abile da trarre tutti in inganno?-
- Sento già il respiro del mattino, sarò breve.  Satollo, dormivo nel giardino, come m'era consueto al pomeriggio; e in quel sonno mi sorprese mio cugino, con una fiala piena d'infame succo di quisquiano, e dentro il padiglione dell'orecchio mi versò quella lebbra distillata d'effetto sì nemico al sangue umano da serpeggiare come argento vivo e far che il sangue si rapprenda, come in latte aceto a gocce. E fu così che fui spogliato della vita. Falciato proprio nel pieno rigoglio dei miei peccati: senza comunione, senza poter contrire la mia anima, spedito a rendere il mio conto a Dio col fardello di tutti i miei peccati.-
- Orribile! Tremendamente orribile!-
- Se conservi in te natura d'uomo, non consentire che il regno di Danimarca resti impunito. Rendi noto al mondo quale nido di lussuria, incesti ed assassini siano le mura di Elsinore. Ed ora è forza ch'io ti lasci... Addio.-
Il fuoco nel camino si spense di colpo sfrigolando come se qualcuno vi avesse gettato un secchio d’acqua, lasciando la stanza nell’oscurità rotta solo dal rosseggiare di qualche brace.
Le tre streghe crollarono al suolo, oppresse da un’invincibile spossatezza.  L’uomo, svanita di colpo la tensione e la paura che lo avevano dominato nelle ultime ore, si sentiva a sua volta molto provato ma, come lo spettro, doveva affrettarsi: l’alba oramai era prossima.  
Gettò sul pavimento un borsellino con venti corone, il prezzo pattuito per quella spaventosa nottata come per le altre che l’avevano preceduta, poi si avvolse nel mantello e uscì.
Non era tranquillo mentre ripercorreva la strada verso il luogo dove l’attendeva il barcaiolo. Ciò cui aveva assistito era al di sopra della comprensione ma certamente metteva a rischio la sua vita, la sua fortuna, la sua anima. Valevano tanto la fama, gli onori e il denaro? Dubbi, sempre dubbi, pensò, ma in fondo essi sono dei traditori che spesso fanno perdere ciò che si potrebbe ottenere soltanto perché non abbiamo il coraggio bastante per tentare. Sì, era un rischio che valeva la pena di correre, anche questa volta aveva avuto nuove, terribili rivelazioni. La sua memoria, allenata in tanti anni di mestiere d’attore, era in grado di rammentare tutto ciò che aveva udito quella notte e lo avrebbe usato per rendere ancora più efficace il nuovo lavoro. Certo non poteva scrivere la verità, ma poteva impiegare metafore e ricalcare situazioni.
Doveva affrettarsi; in giornata avrebbe iniziato una profonda revisione del testo che aveva già abbozzato. Se non vi fossero stati imprevisti, entro un mese avrebbe convocato la compagnia per le prove.
Così ragionando giunse quasi in riva al Tamigi. La nebbia si era diradata e nel primo lucore dell’alba poteva scorgere poco distante la sagoma massiccia del Globe.
Sorrise. I dubbi li avrebbe lasciati ai suoi personaggi, presto la folla avrebbe gremito quel teatro per applaudire entusiasticamente la prima rappresentazione del suo nuovo dramma: “La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca”.


Nota: il testo contiene citazioni non virgolettate da “Macbeth” e “Amleto”.