Parte prima. Così mi spiego meglio.
Al quarto squillo tirai su la cornetta e dissi le classiche parole: pronto, con chi parlo?
La mia voce era impastata, e inclinata dal sonno rotto dall’equivoco suono del ricevitore.
Per farla breve: stavo dormendo, e anche piuttosto profondamente. Ed essere svegliato a quel modo equivaleva , per me, a una pugnalata durante un orgasmo.
“ciao amore “ disse Paola, e poi continuò “ stasera Angela c’ha invitati a casa sua, pare che i suoi genitori siano fuori Bari e lei organizza qualcosa tipo…”
Portai la cornetta all’altezza degli occhi e la osservai con cura, sentivo le parole di Paola arrivare come da lontano, dopo pensai ad Angela e ai suoi vestitini bianchi. Poi ripresi ad ascoltarla, a Paola.
“mi ascolti?! Ci sei?” la sua voce era leggermente alterata.
“certo che ci sono”
“quindi? Io le ho detto già di sì, che ci andiamo”
“bene, bene”
“ci vediamo alle otto” disse la parola otto in maniera odiosa. Detestavo questo suo mimetizzare l’accento barese. Il risultato era un misto di milanese anni settanta e finto barese parlato dai ragazzi dell’entroterra.
Avevo conosciuto Paola per caso, e incredibilmente ero stato catapultato nel suo mondo fatto di serate chic e locali costosissimi. Non avevo più un centesimo da parte.
“al solito squillo scendi?” dissi sperando che la conversazione finisse a breve. Odio parlare al telefono.
“no dai, passo io a prenderti, non voglio che vedano quel tuo catorcio a quattro ruote, e poi ho troppa voglia di provare la moto nuova”
“ok, ho una sola preoccupazione, per il catorcio”
“preoccupazione?” ancora quella pronuncia da cabaret.
“si che passino quelli della nettezza urbana e se la portino via”
E chiusi la comunicazione.
Fanculo alla moto nuova, pensai.
Ero ormai abbastanza sveglio e incazzato. La mia donna aveva offeso me e la mia fedele macchina. Un po’ vecchia certo, ma ottimisticamente vintage.
Il telefono riprese a squillare, non risposi, anzi strappai via la spina dalla presa.
Andai in cucina e aprii il frigo e tirai fuori una bottiglietta d’acqua. La bevvi cercando di non pensare all’orribile serata che mi attendeva. Era solo acqua, ma era fresca.
Angela, Paola e Franci, e poi sicuramente Rita. Ed io ovviamente.
Non mi andava di sorridere alle loro inutili battute.
Erano le cinque e il sole era ancora alto, era un maggio caldo.
Decisi di scendere e andare a fare un bagno, avevo il mare a poche decine di metri da casa.
Spolverai prima i pantaloni e la maglia da lavoro. La farina inondò il balcone e me.
Facevo il panettiere.
Guardai l’orologio. Erano le sette e trentacinque.
Mancava ancora un po’ di tempo. Accesi il cellulare e subito fui inondato da una successione di rumori da suoneria.
Il display diceva: 5 nuovi messaggi.
Leggi.
Messaggio numero uno: Amo!ke fine hai fatt?
Messaggio numero due: C vd sola?
Messaggio numero tre: Cmq 6 1 stronzo!
Messaggio numero quattro: Sono Matteo.. calcetto domani? Risp.
Messaggio numero cinque: Accend stò cazzo d cell !!! T amo
Bene. Quattro messaggi di Paola e uno da Matteo.
Menù. Messaggi. Scrivi sms: Ok Matteo! A domani! solita ora.
Rubrica, scorri: Margherita, Marirosa, Marta, Mattia Ok invia.
Messaggio inviato.
Menù. Messaggi. Scrivi sms: Ho letto adesso i tuoi sms. Ti aspetto. Baci.
Rubrica, scorri: Pamela, Paola Ok invia.
Messaggio inviato.
Pochi secondi e solita breve suoneria. 1 nuovo messaggio. Leggi.
Messaggio: e c volev tant! Arrv! T amo
Sette e quarantatré. Dovevo pensare rapidamente a cosa mettere.
Entrai in camera, e dal primo tiretto tirai fuori dei Levi’s quasi nuovi.
Poi la camicia nera.
Pensai di mettere le Hogan che mi aveva regalato Paola ma che non avevo mai indossato. Odiavo quelle scarpe. Avevano il cattivo sapore dell’idiozia.
Preferii le più comode All Star.
Sicuramente Paola nel vedermi così vestito si sarebbe incazzata. E molto.
Chissenefrega, pensai.
Ero pronto.
Non abbottonai gli ultimi due bottoni della camicia. Spuntavano dei peli, ne ero orgoglioso: le amiche di Paola amavano i ragazzi depilati. Io non lo ero.
Il telefono squillò. Era lei.
Presi la giacca scura comprata pochi giorni prima, con Paola, in via Sparano. Duecentotredici euro, scontata.
Poi dal tavolo in cucina afferrai chiavi, cellulare e portafogli. Misi tutto in tasca.
Evitai l’ascensore. Scesi le scale rapidamente.
Fuori c’era Paola seduta sulla sua moto.
Era come sempre, bellissima; indossava il suo buffo casco integrale rosa con sopra appiccicate due divertenti orecchie da orsacchiotto. Sorrideva e porgeva il mio casco. Nero.
Cercai di baciarla invano. Il suo casco era antibacio oltre che antiurto.
A portata di sguardo avevamo il mare condito da un crepuscolo incredibilmente colorato. Blu. Giallo. Rosso. Arancio.
Paola aveva ventidue anni, e guidava la moto in maniera sportiva: non esistevano per lei stop, dare precedenza, semafori. E poi odiava chi le urlava dietro.
Rispondeva a ogni insulto (e a Bari è molto facile scambiare simili cortesie tra automobilisti) con il dito medio ben teso. Preferibilmente della mano destra.
Lasciammo alle nostre spalle il quartiere San Girolamo, poi costeggiando il lungomare passammo davanti al porto e dopo alla Muraglia. In pochi secondi arrivammo all’incrocio tra corso Cavour e Via Vittorio Emanuele. Il cineteatro Margherita alla nostra sinistra era come sempre impacchettato.
Svoltammo poi a sinistra, verso sud.
Sorpassammo i grossi palazzi dell’epoca fascista che s’affacciano sul mare, e imboccammo a destra la strada che c’avrebbe portato dentro il quartiere Madonnella.
Attraversammo i binari che dividono Madonnella dal quartiere Japigia.
E subito a sinistra per Via Gentile; oltrepassammo gli innumerevoli incroci a folle velocità e arrivammo in tangenziale, miracolosamente.
Proseguimmo in direzione Brindisi-Lecce.
Ricordai a Paola che la sua moto (una splendida Ducati Moster Rossa) forse era in una fase che chiamano rodaggio. Lei ignorò le mie parole e come risposta accelerò.
Dopo il quartiere Japigia, a Bari, c’è Torre a Mare. Nel mezzo, lungo la precisa lingua d’asfalto tagliata in due dal un lungo spartitraffico in cemento, due stazioni di servizio. Un cavalcavia taglia in due la scena, e ai suoi piedi è molto facile imbattersi nell’ombra di un’autovettura parcheggiata. E’ blu, ha un lampeggiante, ed è tagliata da una lunga e larga fascia bianca. Dentro, di solito, due vigili urbani a chiacchierare.
Il lavoro sporco lo fa l’autovelox.
Una delle tante cose che non avevamo in comune, io e Paola, era il modo di comportarsi nel passare davanti a quella strana apparecchiatura fotografica.
Lei accelerava e cercava di sorridere mentre le scattava la foto. Molto spesso riadoperava l’usatissimo medio della mano destra.
Io cercavo di nascondere la mia testa. Non sono molto fotogenico, in genere.
Imboccammo l’uscita Noicattaro.
Come al solito c’era una lunga fila di macchine ferme davanti al passaggi a livello, chiuso.
"merda!" disse Paola mentre superava le auto; odiava stare ferma in coda, e come darle torto.
Non capii mai perché avesse deciso di mettersi con me. Per i miei occhi, diceva. E per com’ero.
Io non feci altro che convincermi che l’amavo, e che non mi avrebbe fatto male passare un po’ di tempo con lei. Odiavo alcuni dei suoi modi di fare, detestavo la sua frequente arroganza e le sue innumerevoli carte di credito.
Però mi piaceva il suo corpo, e il mio, quando ero con lei.
Adoravo i suoi capelli lisci e neri. E la sua corporatura che poteva sembrare fragile, ma non lo era.
I suoi fianchi morbidi e sensuali.
La sua voce quando non cercava di mascherare il suo accento.
E il suo amore per le moto.
Fu questa sua passione a strapparcela via quando aveva ventitré anni, e sognava di arrivare a Capo Nord su due ruote.
Preparammo quel viaggione nei minimi particolari, io addirittura decisi di farmi licenziare e utilizzare la liquidazione per girare un po’ l’Europa, con lei.
Ricordo che comprammo un nuovo casco per me, e giacche per il freddo del nord.
Poi una telefonata portò via con lei, una parte di me.
“Dani, perché non hai risposto ai miei sms, e alle mie chiamate, nel pomeriggio?”
Risposi che il telefono si era improvvisamente rotto e biascicai altre patetiche scuse.
Lei ovviamente mi sorride, e non bevve una sola parola di quelle che le avevo appena ripetuto.
“le cazzare le dici moooolto male, lo sai?”
“certo che lo so” risposi sorridendo con centosette denti.
Il treno passò velocissimo.
Dopo un po’ le sbarre, a strisce bianche e rosse, si alzarono verso il cielo che pareva essere stato lucidato da poco.
Paola avviò la moto.
“reggiti” mi sembrò d’udire. Infatti capii benissimo perché lei sparò un’accelerazione infernale. Cercai di mantenermi in equilibrio mentre la moto sballottava sui binari.
Una volta lasciata la tangenziale in direzione Noicattaro, e prima dei tanti vigneti che si affacciano ai due lati della strada, ci si imbatte in una lunga sequela di residence: Poggioallegro, il Poggetto, Solaria, Parco Evoli, Parco Regina.
Il migliore, e più il sorvegliato è Parchitello.
Angela e sua sorella Francesca detta Franci (con la “i” italiana nel finale), abitavano in una lussuosa villa ovviamente a Parchitello.
Una volta arrivati davanti alla portineria, togliemmo i casci per farci riconoscere.
“buonasera” disse il portiere vistosamente annoiato.
“buonasera” rispondemmo noi in coro e poi continuò Paola “sono un’amica di Angela Nugnes”
“certo, Nugnes” abbassò lo sguardo e iniziò a fogliare un grosso libro, poi prese la cornetta alla sua destra, compose un numero, e disse delle parole che non capimmo, dopo ci sorrise e disse “via dei Pini, dopo il vialone quarta strada a destra” e pigiò il bottone che faceva alzare la sbarra. Quella si sollevò all’istante e ci fece intendere che potevamo andare.
Salutammo il portiere e partimmo.
Percorremmo il vialone molto lentamente, lessi i nomi delle vie e mi venne da sorridere; erano tutti nomi di fiori e alberi. Sicuramente il progettista aveva una convinta passione per il pollice verde.
In successione: via delle Margherite, via delle Azalee, via delle Rose e poi via dei Pini dove abitava Angela. Oltre, via della Quercia, Via degli Ulivi e altre vie che non riuscivo a leggere.
C’erano alberi e prati dappertutto.
Sembrava di vivere uno di quei film americani, con agenti FBI, e incombenti attacchi terroristici da chissà quale nuovo nemico.
Il verde era rotto da parecchie villette nuove, e altre apparentemente decadenti, e in lontananza da piccoli palazzi a due o tre piani.
Molti facoltosi baresi, negli anni novanta, avevano abbandonato il caos un po’ chic della città, in favore di questa sicura (?) calma a sbarre invisibili.
Frequentemente ci si batteva nelle auto della vigilanza a giro. Facevano la ronda.
Paola parcheggiò. Scendemmo. Io con qualche difficoltà, non ero abituato alle moto.