NEDA LA PENSIONATA - MARIO MALGIERI

La prima donna di questa storia viveva in un magnifico giardino e si chiamava Eva.
Ma forse non avete tempo per ascoltare tutto,  penso sia meglio saltare qualche passaggio e arrivare un po' più vicino ai giorni nostri, a tornare indietro c'è sempre tempo.
La seconda donna del nostro racconto vive a... meglio non dirlo, limitiamoci a pensare  a un'area della nostra Italia benedetta dal Creatore,  dove la natura e l'uomo hanno messo insieme il meglio in fatto di cibo, dove la gente è laboriosa ma sa godersi la vita e dove le donne... beh,

"...
accettano un invito
e non e' il caso
di essere il marito"

diceva Baccini, e quella canzone mi ha fatto sempre un po' incazzare anche se contiene un fondo di verità.
Ma io divago sempre, torniamo alla nostra storia.
Questa donna è la moglie di un noto commercialista, studio in centro, villa dalle parti di Monteorsello, dove le propaggini dell'appennino mitigano ed asciugano il clima.
La vita di questa signora, bella presenza e un paio di marmocchi, è destinata a incrociarsi con quella della terza donna della nostra storia, che è quella che conosco meglio e sarà quindi la persona alla quale demando (demando: mi piacciono i paroloni, danno tanto l'aria di coltura persino a cose che con la cultura nulla hanno a che spartire) insomma, lascio la responsabilità di raccontare la vicenda.
- Ehi, parli a me, proprio a me? -
- Certo, terza donna, hai una bella lingua, racconta e sbrigati, se no le persone qui si stufano e cliccano via.-
- Cliccano, ma come parli?  Vabbè... salve gente! Mi chiamo Neda. No, non è il mio vero nome ma l’altro, quello che mi hanno affibbiato mamma e papà buontemponi, mica lo potevo usare, sopratutto nella mia professione.
Perchè io all’anagrafe risulto “Nedezda”. Come cosa vuol dire?  Non sapete chi era Nedezda Krupskaja? Era la moglie di Lenin, ignorantoni. Se fossi stato maschio, ovviamente mi avrebbero chiamato Vladimir. E adesso non mi venite a dire che non sapevate che Lenin si chiamava Vladimir. Ah, per la cronaca, il mio fratellone si chiama Karl, Carlo sarebbe stato troppo borghese.
Sapete, da queste parti è una tradizione dare nomi diciamo così, stravaganti; pensate che qualcuno ha chiamato un povero innocente "Oliobliz", che era una marca di lubrificante molto in voga prima della guerra, e ho conosciuto pure un paio di Matrioske, una Gallina, proprio così, con due "l", e un Osvego come i biscotti. Se poi aggiungete qual’era la fede politica di mamma, “pasionaria” Dolores, e papà Palmiro, tutto risulterà chiaro, e forse non mi è andata così male.
Non guardatemi ora, la cucina della mia terra, e sopratutto gli anni, mi hanno resa quello che sono, un'anziana cicciona dai capelli bianchi. Ma ai miei tempi vi assicuro che ero belloccia, anzi direi una gran figa, formosa al punto giusto e, così dicevano gli amici, pure simpatica e abbastanza colta, visto che in tasca ho un diploma di ragioniera e ho sempre letto un sacco  di libri, non solo mastri.
Dicevo della mia professione, anzi, della mia ex-professione, mi sono messa in pensione da tempo, appena ne ho avuto la possibilità.
Ogni professione, se si vuole avere successo, richiede dedizione e competenza, e la competenza la si acquisisce col tirocinio e l'umiltà. Se la si affronta con questa mentalità, qualsiasi professione darà delle soddisfazioni e sarà rispettabilissima.  
E così è stato per la mia, nella quale ho avuto alti e bassi, naturalmente, e pure dei momenti tristi, o noiosi, ma anche una vita abbastanza agiata e qualche aneddoto da raccontare.
Per esempio, ricordo che avevo meno di vent'anni e avevo iniziato a lavorare nello studio di un noto commercialista. Un vero porco.
Già, perché mi faceva lavorare in nero per quattro soldi e dal primo giorno che entrai nel suo studio provò a mettermi le mani addosso.  Io avevo bisogno dei quattro soldi per vivere, visto che papà Palmiro non era più tornato da un viaggio del cral a Cuba, dove aveva testato di persona alcune compagne locali ed essendogli garbata la prova non diede più notizie.
La mamma mi aveva detto chiaramente che con i pochi quattrini della sua pensione di ex impiegata alle poste poteva vivere appena lei e mantenere Karl, studente di fisica a vita, abbondantemente fuori corso ma coccodimammasua.
Così, per farla breve, mi dissi che, in fondo, essere bellocce poteva anche rivelarsi un vantaggio, e, come si dice in questi casi, mi turai il naso e lasciai che gli ormoni del porco facessero il loro corso.
La cosa andò avanti un paio d'anni, ma un bel giorno accadde qualcosa.
Eravamo in studio e il porco mi aveva appena scopato alla grande... beh, si fa per dire, non è che lui e Siffredi avessero molto in comune, e quando gli ricordai la promessa di un aumentino (di stipendio, si intende, che per il resto non c’era speranza), lui iniziò a tergiversare, della serie “l’economia non tira, i clienti sono in difficoltà, io ho tanti costi...”. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu il discorsetto che mi fece subito dopo, mentre mi stavo rivestendo: " Un aumento di stipendio non me lo posso permettere... ma potrei darti, diciamo delle gratifiche, ogni tanto, in cambio di qualche lavoro straordinario."
A me pareva che di lavoro straordinario ne facessi già abbastanza, e senza alcun tipo di gratifica visto che a scopare lui era egoista come un banchiere e fulmineo come Tex Willer. Cercai di farglielo notare nel modo più gentile possibile, ma lui si mise a ridacchiare.
"Non intendevo questo, Neda." Il porco non si decideva a rivestirsi, anzi, si accese una sigaretta come se fosse nervoso e se ne stava lì, sulla poltroncina Frau del cazzo, in camicia e col suo affare moscio più patetico che mai.
"Ecco, tu sei molto carina, e alcuni miei clienti importanti se ne sono accorti da tempo. Credo che se tu, insomma, fossi gentile con loro come lo sei con me, i miei affari ne potrebbero trarre molto giovamento. E tu avresti il tuo tornaconto, si intende."
Io rimasi un momento come mi avesse colpito Cassius Clay, a quei tempi quel moretto così bello andava per la maggiore, altro che quell'ominide delle caverne di Tyson.
Allora era questo che mi considerava, una bagascia. E lui voleva essere il mio magnaccia. Oh certo, erano affari, mica mi avrebbe portato sulla strada, semplicemente mi voleva affittare ai suoi clienti.
Beh, mi ero proprio rotta.
"Senti, mi faresti un favore?"  Il mio tono era tranquillo mentre mi infilavo le scarpine a punta larga, un lusso che mi ero concessa da pochi giorni. Nulla gli fece presagire quello che mi passava per la testa.
" Di cosa si tratta? " Era un pochino sconcertato e comunque sempre sulla difensiva, il bastardo.
"Nulla, ti dispiace alzarti un attimo? Devi esserti seduto sulle mie mutandine" e intanto mi avvicinai come volessi essere pronta a recuperare l'indumento che lui mi aveva sfilato non più di dieci minuti prima.
Fateci caso, quando uno si alza dalla poltrona fa leva sui braccioli, allarga le gambe e si tira su, vero? Anche lui faceva così, naturalmente. Si era appena issato a metà, allargando ben bene le cosce, che il mio calcio lo colpì con mira perfetta nei gioielli di famiglia. Vi assicuro che ci misi tutta la mia forza.
Vidi la sua bocca spalancarsi e la sigaretta cadere sulla moquette ipercostosa, mentre lui si piegava in avanti in un tardivo gesto di protezione. Poi si afflosciò sulla poltrona ululando come un lupo alla luna.
Me ne andai sbattendo la porta, e con me se ne andarono i suoi calzoni e pure le mutande, che il maiale aveva posto ordinatamente sulla sua scrivania.  
Non ho mai saputo cosa riuscì a raccontare alla moglie, sì, la seconda donna di questo racconto, ma lei, la povera cornuta,  è poco più di una comparsa che doveva passare a prenderlo di lì a pochi minuti. Qualunque cosa le disse il porco, doveva avere la voce strana e non fu convincente, ma ho saputo che lei se ne rimase buona buona col suo benestante maritino limitandosi a ricambiare le corna proprio alla grande. Quando passeggiavano sotto la Ghirlandina, gli oziosi ai tavolini dei bar si davano di gomito e dicevano "Ecco i coniugi Cervo". Ma in fondo era un buon compromesso.
Ma vedo che sto divagando come al solito, Neda la chiacchierona, così mi chiamano le mie amiche.
Visto che dal commercialista mica potevo tornare e di soldi avevo bisogno, decisi che mi sarei messa in proprio e avrei sfruttato il tirocinio che avevo fatto in quei due anni.
No, non quello da ragioniera, l’altro. Ma almeno l'avrei fatto per me stessa, secondo le mie regole e intascandomi tutti i proventi.
Mi inventai una nuova professione, anzi, mi inventai un nome nuovo per una vecchia professione: “Neda, ornitologa”. Vedete a cosa serve leggere e studiare?
Diventai un’esperta di uccelli.
No, non gli uccelli con le piume, gli altri.-
- Neda, terza donna, sei impagabile.-
- Grazie, ma Neda l'ornitologa non esiste più, ora c'è Neda la pensionata che si diverte a fare quattro chiacchiere con gli amici.-
- Ne aspetti altri?-
- Certo, oggi sono una donna diversa, sono la Pdg e spero che ne vengano molti, tra poco vado a prendere altri pasticcini.-
Sta in piedi attaccata al vetro della finestra e guarda fuori, con un sorriso.
Ha un viso schiacciato, un grembiule a righe, un vassoio sotto il braccio.
E' l'ultima donna di questa storia.