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 Colui Che Cerco

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Alessandro Vettorato
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Alessandro Vettorato


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MessaggioTitolo: Colui Che Cerco   Colui Che Cerco Icon_minitime12/3/2009, 20:12

Merda.

Cominciare la giornata pensando merda.

Odio cominciare le giornate, pensando, oh che stress, ho appena pensato merda.

Non che il cielo simuli meglio di me il malumore crescente. Fra poco pioverà e io mi incazzerò a morte con mia sorella minore che, guardacaso, si tiene ben distante dalle odissee lavorative, quali lavare i piatti in casa oppure togliere dal pavimento gli stracci sporchi.
Soprattutto, perché è stata lei a dare la festa, ieri sera e io non sono stata invitata.
Facile, direte voi, come si fa ad invitare la padrona di casa? Se si è la padrona di casa non è così difficile scendere nella sala principale e confondersi agli ospiti. Nessuno ti conosce e tutti ti sorridono. Mescolarsi alla folla e osservarla sorseggiare i propri timori e le proprie ipocrisie.

L’ho fatta questa cosa, ma una sola volta. E non era una festa ambientata nella mia casa di tre piani, troppo enorme per due persone svogliate come la sottoscritta e sua sorella minore, scansafatiche.
Avendo già il vestito da sera e la scollatura e i polpacci usurati dal caldo, mi ero conficcata dentro quel pertugio vaginale che era l’ingresso a questo party.
All’interno, l’atmosfera era un po’ annacquata e non bastava una boyband di bambini ultraminorenni per risollevare il tutto.
Gli invitati gironzolavano qua e là, strisciando contro le pareti e assomigliavano a tante lucertole bionde.
Mi si era avvicinata una vecchia megera, dal collo lunghissimo e costellato di vie lattee dal sapore di rughe.
Aveva guardato nella mia mano destra. Poi in quella sinistra. Poi aveva schioccato le dita e subito era comparso un cameriere che teneva sul palmo di una mano un vassoio con sopra una bottiglia di ottimo vino.
Lei, restando immobile col corpo, aveva spostato il collo fino a raggiungergli l’orecchio. Aveva sibilato. “Versale da bere. Non vedi che la signorina è ancora all’asciutto?”.
Il cameriere aveva occhieggiato dappertutto, alla ricerca disperata di un bicchiere, poi, dopo averlo trovato, aveva posato il vassoio e me lo aveva riempito fino quasi all’orlo.
Poi, tremando ( ve lo giuro, tremava ), me lo aveva porto. Avevo accettato e lui se l’era svignata.
La giraffa preistorica aveva sbuffato. “La servitù dovrebbe essere più controllata. Ci dovrebbe essere più scelta, quando vengono assunte delle nuove maestranze. Non trova?”.
Evidentemente quella sera avevo l’aria nobile, oppure stava provando a portarmi a letto.
Non riuscivo a scegliere quale delle due ipotesi fosse la più angosciante.
Visto che non rispondevo, mi si era avvicinata. Palpeggiava il pavimento con delle ridicole scarpe che potevano essere costate dieci volte il mio stipendio mensile di sfruttata statale.
“Lei, nella sua villa, quanti servi ha?”.
Mi aveva guardata e nei suoi occhi avevo letto pura malvagità. Quella vecchia era un’arpia. Nient’altro che un’aguzzina arricchita e fatiscente. Per quest’ultimo motivo ancora più inacidita, nei confronti dell’esistenza che, suo malgrado, le stava sfuggendo dalle mani.
“Quatt…”.
“Quattordici?”. La vecchia mi aveva anticipato, bevendo ancora un po’ di vino.
Io sentivo la testa che mi girava.
Prima di uscire di casa, mi ero scolata un litro di limoncello, tanto per evitare l’ipotesi lamette e tanto sangue e l’ambulanza e mamma e papà spaventati che mi dicevano ma perché, ma perché. Ma perché.
“Quattordici non è un numero così basso. Quanti anni ha?”.
“Vent…”.
“Ah, ventinove. Alla sua età io possedevo sedici ville e… circa centocinquanta schiavi. Ma la maggior parte della gente che spolpa questa festa non supera la dozzina. Puah”.
Aveva finito il vino nel bicchiere e si era voltata con occhi avidi alla ricerca di nuovo carburante.
Io ne avevo approfitto per dileguarmi fra la folla, convinta che, tanto, prima o dopo mi avrebbe ripescata.

Alla festa alla fine non mi ero divertita e me n’ero andata quando mi era parso di intravedere un mio ex degli Stati Uniti, uno dei tempi dell’università che mi fungeva da traduttore personalizzato delle puntate dei cartoni più cool che giravano in rete e come dispensatore di orgasmi. Almeno, in quel periodo andava così. Poi ci eravamo mollati, alla fine dell’ultima serie di South Park e pioveva tanto e un po’ dappertutto, sulle case e per le strade.

Così, non sarebbe stata assolutamente un’impresa entrare di soppiatto alla festa fatta a casa mia, nonostante mia sorella mi avrebbe poi odiata per qualche secolo a venire.

Invece, la sera prima, mentre mi provavo i vestiti davanti allo specchio, rubato direttamente a Bram Stoker un pomeriggio che era distratto e mi rendevo conto che avrei desiderato avere cento corpi per accontentarli tutti coi miei jeans di marca e gli abitini delicati, avevo avvertito che il sangue contenuto dentro la fialetta che tengo appesa al collo, aveva cominciato a pulsare. Si stava scaldando.
Doveva essere successo qualcosa.
Così, avevo aperto la finestra e avevo acchiappato un pipistrello a caso di quelli che volteggiavano attorno a casa mia, sempre in cerca di falene.
Lo avevo sbattuto sulla scrivania e gli avevo chiesto, mostrandomi sufficientemente determinata. “Che cosa cazzo è successo, questa volta?”.

Il pipistrello conosceva il segreto del mio sangue.
Lo conoscevo anche io.
Un po’ tutti in famiglia sapevamo che, quando il plasma annegato all’interno della capsula di vetro duro che mi rimbalzava sul collo tutte le volte che camminavo, giungeva a certe temperature Il Mio Colui Che Cerco era nei guai.
E non guai semplici.
Eh, no. Lui si doveva ficcare in casini enormi che poi io dovevo risolvere.

Il pipistrello muoveva la testina spaventato. Secondo me temeva lo violentassi, poiché era a conoscenza del fatto che mai avrei ucciso un animale.
Avevo preso fra due dita un’estremità della capsula e gliel’avevo messa vicino agli occhi.
“Sai cosa significa?”.
Il pipistrello aveva annuito. La membrana delle sue ali sembrava un tessuto di vecchie casate ebree.
Avevo lasciato andare il pipistrello, ma senza togliergli troppo gli occhi di dosso.
Non bisogna mai fidarsi completamente di un pipistrello, soprattutto quando è ubriaco o nella stagione degli accoppiamenti.
Il mammifero volante si era seduto sulla scrivania e aveva preso la fialetta, sempre più calda.
“Dopo tanti anni ancora non hai imparato a leggere il sangue?” mi aveva scoccato un’occhiata accusatoria.
L’imbarazzo si era impadronito della mia epidermide, colorandomela di un bel rosso lampone.
“Ho avuto altro da fare…” mi ero giustificata.
Cazzo, dover spiegare le mie mancanze a un essere che dorme tutto il giorno, si nutre di insetti e il massimo della popolarità l’ha raggiunta, facendo la figura del necrofilo miliardario e sadico mi faceva girare le palle.
Aveva agitato la fialetta, creando delle minuscole onde al suo interno.
Molto dolce il suono che esse creavano.
Il pipistrello aveva fatto una smorfia che non mi era piaciuta affatto.
“Gli è successo qualcosa? È morto?”.
Lui aveva mostrato i dentini, quasi divertito dal mio terrore.
“No. Non ancora. Ma potrebbe accadere che lui cessi di vivere”.
“Pennuto del cazzo”. Gli avevo afferrato un’ala e l’avevo sollevato sopra la mia testa.
“Ehi, piano, piano, siamo delicati” cercava di calmarmi lui “e non sono un pennuto. Ti risulta che abbia delle penne?”.
“Mi risulta che sarai un pipistrello in salamoia se non mi dirai che cosa gli potrebbe accadere. Entro dieci secondi”.

Il volatile fu velocissimo nell’elencarmi dove si trovasse Colui Che Cerco.

A Bologna.

Per farmi perdonare ( ma solo un pochino ) gli avevo offerto una bibita fredda.
Mentre se la gustava da una cannuccia di quelle pieghevoli a righe rosse e blu, gli avevo chiesto se ne sapesse di più.
Lui aveva scosso la testolina e le orecchie a punta erano cozzate una contro l’altra.
“Ma devi recuperarlo entro stanotte, altrimenti domani dovrai metterti alla ricerca di un nuovo fidanzato”.

Ero partita. Avevo volato fin quando le ali che mi nascondevo dentro le scapole non si erano affaticate troppo, così avevo fatto l’autostop.
Chi mi tirò su fu il solito camionista obeso, con barba incorporata e baffi finti e la foto della moglie sul cruscotto, vicino ai preservativi e ai tagliandi di cattura per violenze sessuali. Ovviamente, era lui il pregiudicato.

Per passare il tempo avevo dovuto scegliere se farmi stuprare da lui o ascoltarlo raccontarmi della sua famiglia, che tanto gli mancava.
Dopo due ore di nenie su come si cambia un pannolino fui tentata di proporgli una sveltina stupro, tanto per farlo smettere di parlare, ma lui mi aveva anticipato.
“Siamo a Bologna, bellezza”.

Il pipistrello non mi aveva specificato dove si trovasse Colui Che Cerco, così dovetti mettere il naso a terra e seguirne le tracce odorifiche. La sua acqua di colonia al rosmarino. La sua tintura di capelli. Sì… adoravo quella tintura. Se li tingeva di un grigio brillante, invece di tenerseli di un comunissimo nero corvino, da parecchi anni, ormai.

Dopo aver annusato per circa un’oretta, mi trovai di fronte a una porta. La qual porta era molto alta e, soprattutto, ai lati c’erano telecamere scacciamosche e
mitragliette pronte all’uso.
Avevo suonato al campanello e qualcuno, una voce che sembrava giungere dal ventre di una gallina smembrata, mi aveva chiesto, annoiata: “Sì?”.
“Ciao. Mi chiamo…”.
Mi ero fermata. Sicuramente la persona alla reception era a conoscenza che prima o poi sarebbe giunta una certa Cleo a riprendersi il proprio ragazzo.
Dovevo fare attenzione. Non dovevo insospettirli.
“Ti chiami? Ti sei mangiata la lingua, ragazza?”.
“Come sai che sono una ragazza?”.
“Dalla voce. E dalla scollatura. Ti stiamo spiando da questa telecamera. Fai ciao, con la manina”.
Avevo obbedito.
“Mi chiamo Emma e sono venuta a consegnare la carta igienica. È terminata”.
Li avevo sentiti borbottare, poi la porta si era aperta.
“Entra. Vai sempre dritta, per circa quattro chilometri. Quando ti troverai davanti una piscina, con della gente ubriaca e mezza nuda che amoreggia e tante luci e musica e colori, allora sarai alla festa”.
Non chiedetemi come mai portassi nella borsetta dieci chili di carta igienica. Intuito femminile. Culo. Mestruazioni abbondanti.

( fine prima parte )
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: Colui Che Cerco   Colui Che Cerco Icon_minitime13/3/2009, 14:29

Metaforico.
Onirico.
Favolistico.
Ma anche no.

Waiting for part two.

Hi
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