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 Colui Che Cerco ( seconda parte )

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Alessandro Vettorato
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Colui Che Cerco ( seconda parte ) Empty
MessaggioTitolo: Colui Che Cerco ( seconda parte )   Colui Che Cerco ( seconda parte ) Icon_minitime14/3/2009, 11:41

Decisi di non volare, per non destare sospetti, ma farsi quattro chilometri a piedi, al buio, con dieci chili di carta igienica a carico non è così semplice, ve lo assicuro.
Ad un certo punto qualcuno mi aveva urtata.
“Stai attenta, cristo” aveva detto lo sconosciuto, sollevando un oggetto sopra la propria testa. Temetti un coltello, invece era un calice in vetro di Murano.
Ero rimasta a bocca aperta. Dal fuori dovevo sembrare un cartone animato primi anni trenta. Uno di quelli grezzi, in un bianco e nero assassino.
“Will Smith” avevo esclamato.
“Sì” e l’attore si era messo in posa. Forse mi credeva l’ennesima fotografa, oppure un’altra ragazzina in cerca di autografi.
Quando vide che dalla mia borsetta non uscivano né penna&taccuino né macchina fotografica si era rilassato un po’, nascondendo a stento la propria delusione.
“Sei veramente Will Smith?“ e lui si rimise in posa, nella medesima posizione di prima. Evidentemente il suo nome gli procurava movimenti incontrollati e automatici.
“Sì. Io sono Will Smith. E tu chi saresti?”.
“Non ha importanza chi sono. Sono venuta fin qui per salvare Colui Che Cerco”.
“Il tuo ragazzo si trova in questa villa?”.
“Sì”.
Will si era accucciato al suolo. Si era preso il mento fra le dita e si carezzava un inesistente pizzetto.
“Interessante. Davvero interessante”.
Lanciai delle occhiate sgomente alle sue spalle. “Io devo andare a salvarlo. Cosa c’è di così interessante?”.
“Anche voi esseri comuni vi innamorate? Sai, ero convinto che l’amore, quello vero, fosse destinato a noi star”.
“No, anche noi ci innamoriamo, però il nostro è un sentimento da nemmeno mille dollari”.
“Affascinante”.
“Ascolta, se vuoi aiutarmi a ritrovare Colui Che Cerco bene. Altrimenti, se vuoi startene qui tutta sera a pensare all’amore ti lascio stare”.
Lui si era alzato in piedi e mi si era avvicinato. Ma avvicinato proprio. Sentivo il suo fiato caldo sui capelli.
“Verrò. Devo anche consegnare a una certa persona un libro firme, quindi io aiuterò te se tu aiuterai me”.
“D’accordo. Chi è questa persona? Una star? Un attore?”.
“Mi hanno detto che è una ragazza comune. Che però ha le ali”.
Aveva detto quest’ultima frase con un tono così tranquillo che quasi scivolai a terra.
“Per caso conosci il nome di questa persona?”.
Will aveva annuito. “Ma non posso rivelarlo”.
“Si chiama per caso…”. Ma ecco che una voce perentoria ci colpì alle spalle, facendoci voltare entrambi.
Veniva verso di noi uno strano tipo. Di lui mi colpirono subito l’ampiezza del torace. Avrebbe potuto contenermi sei volte. Otto, se digerita bene.
Inoltre, non indossava i calzoni e aveva il cazzo bene in vista. O meglio, solo le palle, visto che tutta l’asta era dentro la bocca di un ippopotamo nano.
“Dove ti eri cacciato, birbante?” aveva chiesto a Will il panzone, battendogli una mano sulla spalla. Non sembrava curarsi troppo del pompino che il mammifero gli stava testé facendo.
“Hai trovato altra selvaggina?” aveva ghignato il panciuto, squadrandomi dalla testa ai piedi. Te la sei procurata carina”.
“Non è una mia preda. È una mia amica” aveva ribattuto Will.
“Si è accorto che ha un ippopotamo appeso all’uccello?” gli avevo domandato io, indicando l’animale che, gli occhi socchiusi, si beava della fellatio in corso. “Un ippopotamo che le sta succhiando il cazzo”.
“Un ippo…”. Il panciuto si era guardato il bassoventre e aveva lanciato nell’aria una sonora risata. “Questo è un ippopotamo? Io l’ho sempre chiamato Ronnie. Ronnie è il mio Sparapompini Personale”.
“Sparapompini…. Personale?”.
“Già”. L’obeso si mise le mani sull’ampio ventre e lanciò un’altra delle sue risate lupesche.
“Tutti ne abbiamo uno. È segno di grande cortesia presentarsi ad una festa, portandosi dietro il proprio Sparapompini Personale. Will è un po’ ribelle e non vuole stare alle regole. Monellaccio”.
Ci incamminammo verso la festa.
C’era una grossa villa, illuminata da luci da disco anni settanta. Ai suoi piedi si stendeva una piscina che, pur enorme, se confrontata al palazzo, ricordava una pozzanghera.
Sussurrai a Will: “Mi sento a disagio con quello lì. Non mi pare tanto a posto”.
“Invece è a postissimo. Di lui ti puoi fidare, è proprio una cara persona”.
“Definisci care persone chiunque vada in giro con un ippopotamo che glielo succhia?”.
“E’ la moda del momento a Hollywood. Mi dimentico sempre che tu sei una di quelle dall’altra parte. Non puoi capire”.
“Senti, carino. A Hollywood andrà di moda farselo ciucciare da un ippopotamo, ma nel mio mondo, quello fatto di gente che paga per vedere i vostri film, la moda del momento è un fenicottero nel culo”.
Will pareva sbalordito. “Davvero?”.
“Sì”.
“Non… non ci credo”. Si vedeva lontano miglia che Will era superinvidioso.
Gli piazzai il culo in faccia. Dal mio deretano usciva un fenicottero rosa, col becco ben ficcato nelle chiappe.
“Wow”. Will guardò le stelle, trasognato. “Questa sì che è moda”.

Non chiedetemi cosa ci facessi con un fenicottero nel culo. Ce l’avevo e, a dir la verità, non mi dava nemmeno così fastidio. Forse solo quando correvo forte. O marciavo.

Lasciai che il panzuto si allontanasse un po’ da noi. L’erba che calpestavamo sapeva di martirio. Sapeva di estate che sfioriva. Sapeva di amori dimenticabili.
“Credo di essere io quella a cui devi consegnare l’oggetto delle firme” dissi a Will, afferrandogli il polso.
Lui mi aveva dedicato un’espressione da almeno 15 milioni di dollari. “Tu?”.
“Già”. Mi ero piantata il pollice nel costato. “Proprio così, bello”.
Will era dubbioso. Si masturbò ancora quel pizzetto immaginario e mi girò attorno. Poi mi appoggiò le mani sulle spalle. Me le massaggiò. Se non fossi stata tanto in ansia per la sorte del mio amore, forse mi sarebbe anche piaciuto che una star del cinema mi cestinasse le dita sulle ossa.
“Non hai le ali” disse poi.
“Sì che le ho. Ma le tengo nascoste. Come pensi che reagirebbe la gente, sapendo che posso volare?”.
“Come reagisce sapendo che hai un fenicottero nel culo?”.
“Mi invidia. Il mio fenicottero è il più carino”.
Will si era appressato a me e aveva socchiuso la bocca. Mostrando quella dentatura perfetta. Ogni dente un anello mancante dell’evoluzione.
“Fammele vedere”.
Mi ero scostata.
Lui mi era venuto dietro. “Fammele vedere e io…”. Aveva tirato fuori un’agendina e l’aveva usata per farsi aria. Come ventaglio.
“A me della tua agendina del cazzo non importa niente” avevo grugnito, allontanandomi.
Il panzone si era già unito ad un gruppo di sbarellati che, come lui, teneva un animale nel bassoventre.
“Magari qui dentro” avevo sentito Will ridacchiare “c’è il modo per salvare il tuo ragazzo”.
Lo avevo raggiunto, afferrandolo per il lembo della camicia estiva che indossava come un acquario.
“Tu. Tu sei complice. Tu sai tutto, vero?”.
Will si era rimesso l’agendina in tasca e aveva scosso la testa. “Ehi, ehi. Scherzavo”.
Lo avevo lasciato andare, poi mi ero girata di spalle.
Gli avevo detto. “Stai a vedere. Ma solo per un attimo. Se ti distrai, sono problemi tuoi”.
Gli sventolai davanti le mie bellissime ali. Lasciai che fendessero l’aria immobile della sera. Lasciai che la luna ne piangesse ogni piuma. Che ne profumasse il terreno. Lasciai che sverginassi l’incanto d’esser lì, in quel momento e d’incanto mi sentii nuda.
Non avrei dovuto farlo. Le mie ali…
Mi voltai verso Will. “Dimentica quello che hai appena visto. Ti prego”.
Lui aveva le braccia tese nella mia direzione. Fra le mani l’agendina.
“Sei tu. Sei tu la ragazza che…”.
Me ne impossessai con delicatezza. Slacciai il nastrino che teneva chiuso il libricino. Che impediva che la copertina volasse via nel vento.
Al suo interno degli scarabocchi. Dei nomi, a volte dei cognomi.
Sfogliai le pagine dell’agendina. C’erano soltanto tanti e tanti nomi, uno dietro l’altro. Un interminabile ingorgo di nomi, vergati su pagine un tempo candide.
“Cos’è?”.
Will alzò le spalle. “Mi è stato consegnato e io l’ho fatto”.
“In quest’agenda ci sono soltanto i nomi di persone che… che sono state da qualche parte. Ma dove, mi chiedo? E a cosa mi serve?”.
Lo stavo per buttare fra le cicale ed i papaveri assonnati, quando l’occhio mi cadde su un nome. Uno degli ultimi nell’ultima pagina.
Il nome di Colui Che Cerco.
“Leggi qua” dissi a Will Smith, piazzandogli il libro firme sotto il naso. “Leggi questo nome”.
Lui strizzò gli occhi e lesse il nome. A voce media. Lo lesse quasi del tutto corretto.
“E’ il mio ragazzo. E’ Colui Che Cerco. Il mio cazzo di ragazzo è stato in questo posto, dove… dove tutta questa gente ha lasciato un’impronta. Una traccia”.
Sfogliai il libro. “Leggi. Madre Teresa di Calcutta. Gandhi”.
Sfogliai ancora. “Salvador Allende. Madonna Rosvelt”.
E ancora. “Bono Vox. Toro Seduto”.
Mi passai la mano sulla fronte. Fra i capelli.
Will provò a dirmi qualcosa, ma io abbaiai. “Vaffanculo. Cos’è questo? L’inferno? Tutta questa gente è morta? Sta per morire?”.
Gettai l’agenda a terra, spiegai le ali e mi librai sopra le teste di persone che non si dettero mai la pena di alzare la testa e osservarmi sfrecciare fra le scuri nubi notturne.
Da quanto tempo non guardavano le stelle? O i boccioli di pesco che si schiudevano, donando stalattiti di primavere?

Avevo cominciato ad urlare il suo nome. Gridavo e le corde vocali schizzavano fuori dal corpo e io urlavo, fino a farmi sanguinare le orbite degli occhi e io gridavo e scrutavo fra la gente che si buttava in piscina, che si dava pacche sulle spalle, che si baciava in punta di lingua sotto gli ombrelloni.

Volavo. Volavo. Icaro mi disegnava sulla nuca i suoi misteri. Mi graffiava la pelle e le gocce di sangue colavano al suono, diventando aurore boreali.
Vedevo Will che mi faceva gesti con le braccia, chiedendomi di scendere. Di raggiungerlo. Non potevo.
Aguzzavo la vista, ma leggevo solo abbronzature sciapite. Pergamene di pance cotte al sole della celebrità.
Aguzzavo la vista, ma leggevo solo abbronzature sciapite. Ondeggiavo nell’aria e la gente chinava la testa, per non incrociare le mie piume.

Planai nel prato, afferrando al volo un cocktail che, appena bevvi, mi inquinò la bocca di un sapore di metallo. O ramarro. O un misto fra i due.
Sputai e Will mi raggiunse.
Aveva il fiatone e, appena mi fu accanto, si appoggiò i palmi delle mani alle ginocchia.
“Quanto mi stai facendo correre. Ufff”.
Mi ero afflosciata, come un panno usato e ormai inutile, sulla prima sedia che aveva avuto la fortuna di ospitare il mio culo e avevo assunto un’espressione imbronciata.
Will si era accoccolato ai miei piedi. Cagnolino fedele!
Mi aveva preso le mani. Me le aveva strette. Poi, inaspettatamente, aveva posato un bacio sul dorso di una delle due, lasciando che le labbra carezzassero a lungo la mia pelle.
“Sento che è morto, Willy”. Mi stavo costringendo a non scoppiare a piangere. Se lo avessi fatto mi sarei sciolta come una calotta artica del nuovo millennio.
“Io lo amo e lui è mor…”.
Mi ero bloccata.


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