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 Le regole di un grande gioco (ultima parte)

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Lea De Cristoforo
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Lea De Cristoforo


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MessaggioTitolo: Le regole di un grande gioco (ultima parte)   Le regole di un grande gioco (ultima parte) Icon_minitime12/7/2009, 11:18

Dunque, intelligentemente e opportunisticamente, decise che i primi a partecipare e vincere al gioco dell’oca sarebbero stati loro: i bambini.
Dal più piccolo al più grande.
Quindi…farneticava… “se Alex ha tre anni e la vita umana dura fino a ottantaquattro anni, vabbè esageriamo...novanta, a lui restano ottantasette anni. Perfetto! C’è tempo!”
“Carlo ne ha nove…quindi ottantuno…come me!”
“Claudia ne ha cinque…ottantacinque…ok…come mio fratello…”
“Bene noi piccoli abbiamo ancora tantissimo tempo, passiamo ai grandi!”
“Lucy ne ha ventisette quindi…” Rossana, Chiara e Patrizia, a loro tutte, restano una sessantina di anni”…
E così via, fino ad arrivare a quelli a cui voleva più bene: sua madre e suo padre.
“Mio padre ne ha quarantatre…Oh - oh! Gli restano degli anni, non moltissimi e mia madre… Ne ha quarantacinque! Ma perché è più grande di lui?” - pensò rattristandosi ancor di più.
“Non voglio che moriamo! Ma perché nasciamo se poi dobbiamo morire?”.
I conti non finirono neppure quando tutti, seguendo la bara in cui “dormiva” sua nonna si recarono fuori dalla chiesa.
Sandra non capiva quel trambusto spento, non capiva perché tutti si accalcassero verso le porte spalancate che indicavano l’uscita dalla casa di Gesù, quando qualche mese prima il parroco durante la messa aveva chiesto a tutti di aspettare la fine dei canti per uscire, senza creare confusione.
Tutta quella fretta era contraddittoria, secondo il suo osservare, mentre si trovava fra i parenti e gli amici che avevano preso parte alla funzione religiosa.
In chiesa Sandra si annoiava e le veniva sempre voglia di dormire.
Quel giorno però era diverso; era molto strana quella sensazione fra la mestizia e la confusione.
All’uscita, una lunga fila di auto, tutte in moto, attendevano dietro quella enorme e inquietante delle onoranze funebri, che avrebbe condotto la nonna al cimitero.
Le sue zie e sua madre non si davano pace.
Piangevano, si lamentavano, si aggrappavano alla bara.
Sua madre che di solito aveva un bell’incarnato e vestiva con colori allegri, dal giorno prima era pallida in viso e vestita di nero; quasi tutti lo erano, notò e se non proprio di nero, con colori comunque scuri.
Anche lei indossava una gonna a righe sottili, bianca e blu e una camicetta blu scuro.
Tornò a concentrarsi su sua madre, a osservarla chiusa nel suo dolore e le parve assente, lontana, inarrivabile.
Si sentì spaventata e spaesata in mezzo a tutta quella confusione di vecchie compagne della nonna e di parenti che non aveva mai visto prima di allora, faceva fatica a ricordarsi i nomi, perché mentalmente stava tenendo un conto della parola “condoglianze” e dei baci sulle guance che tutti si scambiavano coi parenti della compianta.
Qualcuno stava avendo un malore dettato dal caldo e dalle emozioni all’ uscita dalla chiesa e gli uomini intervenendo prontamente, avevano evitato che una caduta inaspettata aprisse altri drammi nella tragicità del funerale, in un pomeriggio caldissimo e troppo assolato.
Uno di quei pomeriggi in cui nessuno avrebbe dovuto vestirsi di nero.
Una giornata totalmente contraddittoria, in cui apprendeva che tutte le regole si stravolgevano in questo momento tanto triste e sofferto, dove tutti erano uniti dal legame di famiglia, ma staccati nella sofferenza.
Un momento in cui ognuno soffriva a modo suo e lo esternava come sapeva o voleva.
Si sentì sola, inutile, dimenticata e stava cominciando a portare il peso di una colpa.
Si sentiva triste però non riusciva a piangere.
Doveva essere forte per consolare sua madre, ma si sentiva cattiva non forte, a causa di quelle lacrime che non volevano proprio saperne di uscire.
Mormorò appena la sua scontentezza. “Che giornata ingiusta!” - subito dopo aggiunse fra se e se - “Io voglio morire prima di loro, così non soffrirò per la mancanza!”
“Però se muoio io, soffrirebbero loro per me, ne sono sicura!…E allora come si fa ?”
Non poteva saperlo nessuno.
Era una faccenda irrisolvibile, secondo lei.
Ma forse i grandi avevano una risposta.
Avrebbe chiesto a loro.
In questo caso un consiglio, almeno per non pensarci troppo, lo avrebbe voluto.
Magari ne avrebbe parlato quella sera stessa a suo padre, anche se lui non amava spiegare le cose.
Continuava a ragionare sulla morte mentre osservava il lavoro che il muratore addetto alla tumulazione stava svolgendo; chiudeva la bara di sua nonna , dentro un parallelepipedo di cemento e muratura, allineato in fila con tanti altri loculi identici.
Pensò che non era affatto bello morire e che lei voleva vivere e non sapere più niente della morte.
Non le passò in mente di chiedersi come avrebbe fatto al risveglio sua nonna, ad uscire da lì, perché ormai aveva compreso che non si sarebbe mai svegliata.
Ai bambini non poteva succedere o se capitava era per sfortuna.
Ai grandi invece capitava con più frequenza, specie a quelli grandi grandi, con tutti i capelli bianchi, come li aveva sua nonna.
“Non la vedrò mai più” - si disse, mentre l’ultimo mattone forato occluse la visuale della bara.
“Ciao nonnina, quando arriverai in cielo, proteggici tu”.
“Doveva crederci” - si disse cercando di convincersi.
Altrimenti il ricordo della nonna sarebbe morto insieme alla sua sparizione e Sandra non voleva diventasse così.
Lei voleva ricordarla.
Ricordare tutti quelli che incontrava.
Si stropicciò gli occhi, perché le pungevano.
Poi andò da suo padre che le porse un fazzoletto e l’abbracciò.
Si sentì meno sola, ma poi vide sua madre distrutta e chiudendo gli occhi provò a mettersi nei suoi panni.
Si vide da grande nella stessa condizione.
Una fitta dolorosa la oltrepassò.
Ora piangeva anche lei.
Questo significava che non era cattiva e sua nonna non era morta per causa sua.
Una malattia se l’era portata.
“Che stupida” - esclamò parlando con se stessa mentalmente - “l’ho anche vista in ospedale…”.
Seduta in auto, con zia Nina al centro e suo fratello dall’altro lato, mentre il padre guidava e sua madre gli sedeva di fianco, guardando distrattamente il paesaggio fuori dall’abitacolo, si appoggiò alla spalla della zia e chiese: “ e adesso cosa succede?”.
Poi si addormentò e quando si ridestò era sera inoltrata, si rese conto di trovarsi nella stanza da letto di zia Nina e sentiva un vociare di persone provenire dalla sala da pranzo di casa della nonna.
Erano tutti lì, attorno al grande tavolo di cristallo, al centro del quale troneggiavano delle focacce, bicchieri di carta e tovagliolini, mentre si passavano delle foto della nonna.
Quella era la prima cena di famiglia senza la nonna. Stavano tutti insieme, ma nessuno poteva ignorare quel posto che era rimasto vuoto. Lo notò anche Sandra.
Qualcuno le offrì del cibo ma lei rifiutò e andò nella sua camera a casa della nonna.
Prese un foglio e delle matite colorate e disegnò al centro un grosso cuore coi colori dell’arcobaleno, voleva disegnare delle ali, ma erano già tre volte che cancellava, perché le ali erano la parte più difficile del suo disegno. Voleva un rumore qualsiasi, perché così le sembrava di non poter far smettere la sua mente di pensare. Nessun rumore fuori e come se fosse in una fabbrica, il rumore che aveva in testa e si domandò a che punto del cielo si trovasse sua nonna in quel momento… mentre tutti erano in sala da pranzo e suo fratello pisolava indisturbato.
Dopo un po’ andarono tutti via e i suoi genitori le dissero di tornare a dormire, visto che non si sarebbero mossi per non lasciare la zia da sola, in quella casa ormai troppo grande per lei da sola.
Sandra ubbidì ma non aveva sonno, continuava a pensare a quell’intera, greve giornata e immaginava il viaggio di sua nonna, mentre si rigirava continuamente nel letto, che per quanto suo, non era familiare, poichè prima di allora era capitato rarissimamente di dormire lontana da casa sua.
Tutte quelle storie del corpo che non c’è più ma resta l’anima, l’avevano turbata, anche se lei non voleva definire il motivo per cui non riusciva a riprendere sonno.
“Fifa!” - ammise sincera con se stessa.
Fu tentata di svegliare suo fratello Gianni, ma evitò di farlo, perché non voleva spaventarlo mentre dormiva beato.
Però quella notte la casa era troppo rumorosa.
Le molle del letto cigolavano a ogni movimento, l’orologio da parete ticchettava più del solito, il vento scuoteva le tapparelle, suo fratello per come respirava le sembrava raffreddato e non avevano chiuso bene il rubinetto in cucina, perché sentiva delle gocce cadere in qualche recipiente lasciato a mollo nel lavandino.
Provò ad andare ancora una volta in bagno, ma mentre si trovava nel corridoio per ritornare nel suo letto improvvisamente dirottò verso il lettone dei suoi genitori.
Inutile fingersi coraggiose, quando non era così.
Lì finalmente sua madre l’abbracciò e le accarezzò i capelli e Sandra nel buio sentì che piangeva e le diede un bacio salato, come Anna chiamava i baci che distribuiva per consolare i pianti dei figli.
Non riuscì a trattenere una domanda: “Ma domani noi tutti ci saremo ancora?”.
Aspettava dall’uscita dalla chiesa le parole di sua madre, aveva bisogno di essere rassicurata, confortata e riportata alla spensieratezza, perchè la testa faceva ancora rumore e nessuno tranne sua madre sarebbe riuscito a farla smettere.
Anna le rispose di si e aggiunse che anche se non avrebbero più visto la nonna, dovevano continuare a volerle bene per ricordarla, perché la nonna era andata in cielo con questa sicurezza e certa del fatto che i suoi cari sapessero già che anche per lei era lo stesso.
Le parlò della vita che è fatta anche di dolori e distacchi e che nessuno riuscirebbe a vivere pensando continuamente al giorno in cui perderà qualcuno o qualcuno perderà noi, perché chi si ama non si perde mai e che se qualcuno ci ama resterà per sempre con noi, anche se non si può più vedere, perché l’anima è invisibile e che non bisogna avere paura perché lo spirito delle persone buone è imbattibile.
Chiese anche: “Ma a quest’ora la nonna sarà arrivata in Paradiso?” - ottenendo ancora una volta una risposta affermativa.
Sandra sospirò, appagata dalle rassicurazioni di mamma Anna e pensò di essere davvero fortunata a vivere, dato che l’indomani sarebbe stata per tutta la giornata con la sua famiglia e si sarebbe goduta ogni attimo che poteva con loro, che sua nonna era arrivata sicuramente a destinazione e che secondo le regole del gioco della vita, lei e i suoi parenti dovevano superare caselle su caselle, non era il caso di pensare a una eventualità così spaventosa ma remota, poi finalmente chiuse gli occhi e quel rumore nella testa tacque tra le braccia morbide di sua madre.
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: Le regole di un grande gioco (ultima parte)   Le regole di un grande gioco (ultima parte) Icon_minitime12/7/2009, 13:23

Il dolore delle perdite, quando si è bambini, non lo si capisce fino in fondo. Lo si può fare una volta cresciuti, dopo che altre perdite sono avvenute. Ma quella prima separazione resterà per sempre dentro il cuore, e quando riaffiora si posso scrivere pagine come questa tua, colme di dolcezza e di malinconia.
Molto piaciuta.
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lalla
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MessaggioTitolo: Re: Le regole di un grande gioco (ultima parte)   Le regole di un grande gioco (ultima parte) Icon_minitime12/7/2009, 15:29

Bellissima...
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Lea De Cristoforo
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Lea De Cristoforo


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MessaggioTitolo: Re: Le regole di un grande gioco (ultima parte)   Le regole di un grande gioco (ultima parte) Icon_minitime12/7/2009, 16:30

Grazie mille Daniela e Lalla Smile
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MessaggioTitolo: Re: Le regole di un grande gioco (ultima parte)   Le regole di un grande gioco (ultima parte) Icon_minitime

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