Ne avevo la consapevolezza, ma ora ne ho quasi la certezza. Non sarò mai uno scrittore. Non uno come Pamuk per intenderci (non certo grande come Pamuk). Uno di quelli che creano e se non lo fanno è come se non respirassero.
A volte respiro male, ma un po’ d’aria entra sempre.
Da mesi non ho più tempo per scrivere, né riesco ad organizzare quel poco che mi rimane. Avverto l’astinenza, sento che una parte di me dorme, di quel sonno pesante non sano. Certo non essere scrittore non vuol dire che ogni tanto la parola non esca fluida, netta, precisa. Non vuol dire che non ci sia ritmo.
É talmente tanto tempo che non scrivo con un minimo di regolarità, che comincio ad incontrare i miei personaggi per strada, in tribunale, al bar quando faccio colazione. Li ascolto mentre parlano dei viaggi che non faranno, del tempo che non avranno e della felicità che non si gusteranno.
Come lo so ? Sono tutte cose che ho scritto. Ho scritto del coraggio che ci vuole ad essere felici, come quando squarci la carne per guardarci dentro.
Mi chiedono di ascoltarli come so fare io e di trascrivere tutto, come so fare io. Mi chiedono di cercare quelle piccole sfumature, che si scorgono anche quando si parla del tempo. Di ascoltarle e scriverle prima che il vento le porti via
In fin dei conti sono un buon gregario, faccio il lavoro sporco, ma i miei personaggi mi chiedono di non essere la sciati soli, in una stagione in cui, la solitudine si distende come un gatto che si sta svegliando