Rosalba Signorello

ETERNO FEMMININO

Quattro anni, solo quattro anni, ed era cambiato tutto. La vita, innanzitutto: eh sì, il girovita si era allargato di almeno quattro centimetri…le cosce poi, premevano nel collant quarta misura…e la pancia! la pancia sporgeva inequivocabilmente se si girava di profilo. In compenso il reggiseno quarta taglia era sempre coppa A, il collo accennava a rammollirsi, specie sotto il mento, e le guance addirittura stavano per cascare. Era la quarta volta che guardava lo specchio con rancorosa diffidenza: come aveva potuto trasformarsi tanto in così poco tempo? Ora le toccava metter mano a quel disastro prima dell’estate oppure rinunciare al mare, come aveva fatto per ben altre ragioni negli ultimi quattro anni. Sospirò, ripetutamente, quattro lunghe volte: di rabbia, di sconsolazione, di rimpianto, di nostalgia, ricordando quei bei tempi in cui, magra, ma con un fondoschiena da Campbell, divorava primi, secondi, contorni e dessert – perché no? grazie! – senza ingrossare di un millimetro. Ora, anche quattro pistacchi all’ora dell’aperitivo le sembrava che non riuscisse più a smaltire velocemente, figuriamoci il resto…Alzò le spalle e le lasciò ricadere al quarto sospiro, e con un piccolo gesto teatrale che le veniva da una delle sue antiche passioni, scrollò la testa mandando all’indietro i suoi riccioli indomati, sempre tanti, sempre neri – grazie, coiffeur! – sempre aerei e sempre pazzi. Ehi! a ben vedere, erano ancora belli! La faccia non era mai stata brutta ma, senza quella massa pazza di capelli attorno, non le era mai piaciuta molto…e anche se le amiche avevano talvolta apprezzato su di lei bei tagli minimal alla moda, lei non vi si era mai riconosciuta. Prese una matita da labbra, scegliendo con sicurezza tra le quattro sparse sulla mensola, e incominciò a scrivere fedelmente il contorno bocca; fedelmente, certo, ché altra cosa su cui aveva sempre potuto contare era quella: una splendida bocca, per disegno e generosità!
Oggi…4 del mese: importante appuntamento, presentarsi al meglio, mettercela tutta, afferrare l’occasione prima degli altri. Allora, okay: pantaloni neri a sigaretta e vita alta (urca! come snelliscono!) giacca di velluto disegno cachemire (chic and shock) tacco a rocchetto (femminile ma transitabile) borsa da lavoro lisa quanto basta (non sono mica una novellina, ué). Pronta? Sì! Chiuse la porta e scese in strada, salì in macchina e mise in moto: quattro semplici gesti che però erano significativi del suo intimo percorso, fatto di fermezza, risoluzione, convinzione, azione. Un’occhiata allo specchietto e i suoi occhi le ammiccarono: taglia fuori le guance e il collo e vedi che scherzi ti faccio! altro che quattro: torni indietro di quattordici anni! Ragazzi! L’umore era quello giusto: ora mancava solo un pizzico di magia e avrebbe conquistato al mondo, se lo sentiva, li avrebbe stesi tutti! Dunque…al quarto incrocio – deserto - girare a sinistra…si fermò puntualmente a dare la precedenza al fuoristrada che veniva dalla sua destra, con quelle belle grandi quattro ruote imponenti, e anche un po’ tamarre. Il fuoristrada frenò e il guidatore le sorrise. Una faccia asciutta, tagliente, alla – come si chiamava quello là? ah sì! – alla Sam Shepard, occhio vissuto e mento da cacciatore, espressione furba e galante insieme. E i riflessi funzionarono a meraviglia – altro che Pavlov! -: le sue labbra si dischiusero – cheeese! - i capelli ondeggiarono – grazie! - la mano innestò la marcia e lei girò a sinistra. Mentre proseguiva nel viale alberato, la sua bocca continuava a sorridere e nella sua mente circolava una vecchia frase fatta, che sua madre talvolta enunciava con la solennità frammista all’arguzia che certi proverbi richiedono: “Gallina vecchia, fa buon brodo”. Come no! li avrebbe stesi tutti!

A BRASILEIRA

Era alta, imponente, bruna. Aveva una presenza fisica che si faceva largo da sola, e non tanto per bellezza o sex-appeal ma semplicemente perché era “tanta”. Non era “tanta” di curve, no: lo era di stazza, ovunque oversize, ma distribuita secondo le giuste opzioni pur non provocando sovraccarichi felliniani. Spiccavano due bagliori in “tanta” bronzeità: il bianco di occhi, il bianco di denti, entrambi ridenti e lampeggianti. E di questi lampi ne arrivavano a raffica, per via di un suo perenne girarsi, parlare, spostarsi, ammiccare…si era nel bel mezzo di una festa d’estate, sullo spiazzo d’una casa di campagna, sotto una pergola d’uvaspina e lei, “ a brasileira”, era uno dei centri d’attrazione, insieme al buffet e all’altalena. Più che altro lo si doveva alla novità, che però non reggeva la durata: gli uomini dopo un po’ si ritiravano per mancanza di argomenti, e anche per la sorveglianza del marito di lei che girellava attorno col bicchiere sempre ben fornito; le donne sentivano di più i doveri dell’ospitalità ma fatta qualche chiacchiera convenzionale, cominciavano invariabilmente a cercare con gli occhi vie di fuga…e tutto perché Tereza disponeva di uno scarso vocabolario italiano, anche se certo compensato da un’abbondante mimica latino-americana.
Non ragiono affatto per stereotipi, ma davvero Tereza accennava di continuo un movimento di samba sui sottili tacchi neri(anche se nessuno ballava alla musica del lettore cd), davvero le sue risate trillavano in modo frequente e acutissimo (anche se le battute responsabili non ne erano affatto degne), davvero sfoggiava una stupefacente esuberanza carioca (anche se l’ora inclinava di più ad una torpida siesta). Ma pur se gli stereotipi mi irritano, conoscendo i miei doveri quale parente prossima dei padroni di casa, mi portai nel suo raggio d’azione per le presentazioni.
I Martini freddi e le pizzette calde operano miracoli nei rapporti umani e così, complice la pigrizia di quell’ora e l’assenza del mio fidanzato, non cercai vie di scampo dopo i primi convenevoli: l’ombra di uno stoico albero di cachi proiettata su due comode sdraio determinò il resto. Tereza aveva conosciuto Vito in Molise, dove lei si era recata a trovare i nonni paterni (la mamma invece era brasiliana doc) mentre lui era lì per lavoro; Vito e Tereza si erano innamorati a prima vista (e sposati che lei era già incinta); Tereza aveva lasciato in Brasile una grande famiglia molto unita (ed era venuta ad abitare in un luogo per lei sconosciuto, lontanissimo e che sentiva avverso); Tereza dopo il parto aveva mantenuto qualche chilo di troppo (ma quando fosse tornata a a trovar la famiglia, sarebbe andata dal chirurgo plastico che a Rio è come da noi il dentista); Tereza cercava un lavoro nelle PR (ma trovava solo da cameriera negli agriturismo e Vito gliel’aveva proibito per la reputazione); Tereza diceva che nessuno, neanche Vito, immaginava di cosa fosse capace pur di non confinarsi tra le quattro mura di casa (anche sfidare lui e il paese intero)….
Mi trovavo, nell’ascoltarla, posta in un’ambigua posizione: per quanto ne poteva saper lei, essendo io una “locale”, appartenevo a quella mentalità che lei voleva sfidare ma potevo anche essere un buon “contatto” sociale da coltivare per agganci lavorativi, dato che opero in pubblicità; essendo una “donna” ero capace di comprendere le sue ambasce estetiche o di condividere le sue passioni per lo shopping e per l’aerobica ma potevo anche essere una “concorrente” da non incoraggiare troppo, dato che le apparivo single e che non le era sfuggito come suo marito mi avesse bloccato prima per un quarto d’ora di conversazione forzata… poiché però è certo che io stessa non abbia mai sentito d’appartenere al mio luogo d’origine né possa asserire di divertirmi a far compere o a sudare, cercai di non alimentare false speranze ed erronee opinioni ma la ascoltai cortese, e non solo perché ormai al buffet le pizzette s’erano raffreddate e i Martini scaldati perdendo così ogni attrattiva, ma anche perché lei mi aveva suscitato - lì ed allora - un’assurda voglia di placare la sua ansiosa frenesia, la sua samba di nostalgia, la sua fame di nient’altro che di un po’ di compagnia. Prima della fine della festa ci scambiammo i numeri di telefono, e quella fu per me la conclusione.
Verso la metà d’autunno, una sera squillò il telefono mentre stavo per uscire. Era la voce di Tereza, rotta, soffocata, tremula. Mi spaventò sentirla così e le chiesi se stesse male. Lei mi singhiozzò che non ce la faceva più a tenere quel peso nel cuore. Di quale peso parlava? Non poteva dirmelo ma ormai era da tanto che lo reggeva, ed era così sola. Mi risedetti sul divano, le chiesi da quanto mai lo reggesse, mi rispose che era da quando abitava qui da noi. I vicini ostili? il marito opprimente? il bimbo insonne? Tereza mi disse che no, non poteva raccontarlo a nessuno, non poteva. Ogni tanto un’apnea sofferente interrompeva il suo respiro, annegava le parole, configurava la sua disperazione. Le dissi che se avesse voluto avrei potuto recarmi subito da lei, o lei stessa venire da me: no…no…non era possibile, grazie, no. Poi, gradatamente riprese il controllo, ristabilì le distanze, prese commiato. Capii che non mi avrebbe più detto nulla e rinunciai.
A volte la incontro per strada: alta, imponente, bruna, occhi e denti ridenti e lampeggianti. Ci fermiamo sempre a scambiare due parole. Di quella sera però, mai più un cenno.

LA VISIONE

Milano anni ’80, metropolitana linea rossa, ore 18,30 circa. Le vetture erano “ancora” linde e ben tenute, non si era “ancora” posto il problema delle vetture separate “per i milanesi”, si respirava “ancora” la cara vecchia aria di efficienza e buon senso meneghini che tanto mi hanno fatto amare questa città.
La vettura quasi deserta, ché il flusso degli impiegati di ritorno a casa s’era esaurito (a dispetto dei luoghi comuni, i milanesi smettono presto di lavorare e sanno godersi la vita), io ero seduta al centro del sedile blu ben imbottito e mi godevo le luci fredde e ferme del soffitto che si riflettevano sdoppiate nei vetri dei finestrini, l’arietta che entrava dagli spiragli, la velocità del treno nel tunnel, il rombo di cui conoscevo le cadenze di partenza, pieno ritmo, entrata in stazione. Stavo leggendo l’ultima ristampa di un romanzo di Nero Wolfe e ne potevo approfittare per ancora 5/6 fermate.
Alla stazione di Loreto entrò e si sedette sul sedile di fronte e spostato alla mia sinistra. Alzai automaticamente gli occhi e lo vidi. Aveva un abito classico grigio, e buttato sopra ad esso, un leggero impermeabile beige, svolazzante e un po’ stropicciato ma di buon taglio, camicia bianca e cravatta bordeaux sotto, in mano una valigetta portadocumenti nera. Lui era un bellissimo uomo, certo non italiano, molto biondo, di ottima corporatura e d’altezza notevole, faccia scolpita, mani grandi ed eleganti. L’espressione stanca come alla fine di un’intensa giornata di lavoro ma padrona di sé come consapevole dei risultati conseguiti, si era seduto a gambe un po’ divaricate - considerato l’ampio spazio di cui poteva disporre a vettura vuota - allungandole poi leggermente davanti a sé quasi a sgranchirsele, aveva quindi appoggiato in piedi e per terra la valigetta, si era reclinato leggermente all’indietro sullo schienale col mento un po’ sollevato e aveva chiuso per qualche istante gli occhi. Una postura misurata anche se informale, un fare elegante e rilassato. Pensai dovesse essere americano. Forse sono proprio gli americani che, abituati al culto sportivo parallelo allo studio universitario, hanno tra gli occidentali la maggior scioltezza fisica nella quotidianità. Aveva allentato appena la cravatta e il pomo d’Adamo era uscito allo scoperto mentre il piede in mocassino nero teneva fermo nel rollare della vettura, il suo patrimonio professionale viaggiante, la portadocumenti con le cerniere dorate (“ancora” non esistevano i pc portatili). Pensai dovesse essere un Chief, ancora abbastanza giovane da desiderare ulteriore carriera, già abbastanza adulto da non incorrere nelle ingenuità sofferte degli esordi direttivi. Alla mano nessuna fede. Ancora pensai che, nonostante un’apparente età tra i 35 e i 38 anni , non aveva ancora scelto una donna da sposare, il che, tradotto al maschile, indicava una libertà sessuale da scapolo, facile, felice e soddisfatta, considerato il suo aspetto e la sua posizione sociale. Ora sicuramente sarebbe tornato in albergo, avrebbe fatto la doccia e si sarebbe recato in adeguata compagnia all’aperitivo (“ancora” non esisteva l’ happy hour), in uno di quegli insospettabili stretti barettini di via Larga o di Piazza Diaz dove servivano delle splendide abbondantissime file di tartine e mischiavano a richiesta la Guinness col Pérignon. Riaprì gli occhi, forse sentendo il mio sguardo, e mi fissò mentre io rapida distoglievo i miei. La mia osservazione era stata del tutto non intenzionale ed era scattata per la vettura deserta e l’inusualità – anche per la cosmopolita Milano – del soggetto, ma non avevo nessuna voglia di passare per sfacciata. Mentre riprendevo a leggere, e lui tornava a rilassarsi, pensai che avevo avuto la visione dell’essere più potente della terra: di sesso maschile, di razza bianca, nel fiore degli anni e in buona forma, di bell’aspetto e senza vincoli affettivi istituzionalizzati, presumibilmente senza prole quindi in un’ottica ancora centripeta, cittadino del Paese odiernamente più potente nel mondo, in carriera.
Chissà se lui lo sapeva, e con quanta consapevolezza, di essere un dio o quanto meno un titano.

Signorello, manca il mio preferito. Lo invoco.

E qual è (che comunque sia un ritratto di un qualcuno e non di una mania)?

ih ih ih....

Ecco la Signora Signorello!!!
Uno lo conosco, gli altri due me li leggo domani

Me: contenta :-D

Rosalba Signorello ha scritto:

E qual è (che comunque sia un ritratto di un qualcuno e non di una mania)?

ih ih ih....

Il ritratto del balcone.

Comunque questi tre li ho letti o riletti. Per me si equivalgono. Il ritratto del balcone, però...

Ti piacciono le parentesi, eh!

Gibbì ha scritto:

Rosalba Signorello ha scritto:

E qual è (che comunque sia un ritratto di un qualcuno e non di una mania)?

ih ih ih....

Il ritratto del balcone.

Ma se per "ritratto" si intende un ritratto figurativo, che sia un tutto tondo o un'istantanea ma comunque un ritratto di un personaggio, quello non è un ritratto ma una retrospettiva interiore.

ciao! se in linea! Esprimimi una preferenza (In privato credo...) che si equivalgano è un insulto! non puoi dirmi così!

Dici a me, Rosalba?

Senti Rosalba, io non c'ho la pazienza dei santi, ok. Non mi fare dire parole, eh!
Prendiamo sto ritratto in senso figurato e non figurativo, va bene?

E poi a me piace fotografare e di balconi ne ho ritratti una marea, un fiume, una cancellata, una ringhiera...
Minchia, ce ne vuole di pazienza con Rosalba...

Ed io, fra di voi....

Io li stampo tutti i racconti, li devo avere sotto mano per leggerli e a quest'ora, reduce da una bottiglia di prosecco ghiacciato gustato nella più bella piazza della mia città natale non c'ho voglia di collegare la stampante

Dài, affacciati al balcone...!
Poi ti voto la brasileira, casomai (mai), ma affacciati.

no, Daniela, dicevo a Gibbì che straparla! Secondo me il ritratto è un ritratto, altrimentiil filo conduttore se lo frega il Minotauro e Teseo poi si butta dal balcone!!!

Dai che è caruccio... ha la faccia così da bravo ragazzo...

(Questo tuo avatar è splendido eheheh)

Daniela Micheli ha scritto:

Io li stampo tutti i racconti, li devo avere sotto mano per leggerli e a quest'ora, reduce da una bottiglia di prosecco ghiacciato gustato nella più bella piazza della mia città natale non c'ho voglia di collegare la stampante

Io invece sceglierei subito, al posto tuo: una scelta scosciente.

vabbé, mi sono affacciata ma la connessione è lenta e saltellante!
E se votate, votate in pvt che Turirubino vi fulmini!

A questa tua prima sono particolarmente legata in modo affettivo...
Se penso al casino che ci abbiamo imbastito su, rido ancora :-D

Rosalba Signorello ha scritto:

vabbé, mi sono affacciata ma la connessione è lenta e saltellante!
E se votate, votate in pvt che Turirubino vi fulmini!

Turirubino

Il terrore dei settemari

Ma io dico: Rosalba è davvero siciliana? Per me è austriaca. Altro che cassata, qua si parla di Sacher.

No, non vale il voto affettivo: fai finta che non conosci la gallina, io amo sempre l'ultimo nato più degli altri ma sono un caso patologico...

Non sono siciliana neanche se ci nasco ( e ci sono nata!)

Voto la Guardia svizzera