Vuoi reagire a questo messaggio? Crea un account in pochi click o accedi per continuare.



 
RegistratiIndiceCercaUltime immaginiAccedi

 

 Gaetano Benedetto / Anam

Andare in basso 
4 partecipanti
AutoreMessaggio
Gaetano Benedetto
Star
Star
Gaetano Benedetto


Numero di messaggi : 1571
Data d'iscrizione : 01.03.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime21/7/2009, 21:21

LA LUNA NEGLI OCCHI

Di sera, negli aeroporti, si respira una calma frenesia.
I movimenti sembrano lenti, e i ritardi dei voli, scontati.
Uomini in cravatta si aggirano famelici nella sala d’imbarco: mostrano fedeli il Corriere della Sera, ormai con notizie superate, e nascondono con falsa vergogna, la Gazzetta dello Sport.
La scena è illuminata eccessivamente da freddi neon, e l’ampia vetrata che circonda la sala, nasconde con fatica le luci carnevalesche delle varie piste d’atterraggio.
I bar vendono a prezzi vergognosi patatine e gelati fuori moda. Vistosi negozi vip, di vino e abbigliamento, stanno ordinati ai lati dei metal detector; espliciti inviti a romantiche serate a lume di candela, e pomeriggi da passare in divani viziati, foderano una timida vetrina.
Le tv a schermo piatto trasmettono le solite pubblicità con eccitata costanza; si pubblicizza il territorio in modo esagerato e isterico.
Scrivo in questo spazio asettico e qualcuno mi osserva; la penna scorre veloce su questa pagina bianca.
Le cuffie suonano improbabili melodie, e le poltrone sono davvero scomode.
Sono le 18.05. Il volo ritarda.

Voglio mettere in chiaro una cosa: non era una notte buia e tempestosa; l’avrei notato, altrimenti.
Era piuttosto una di quelle sere di fine autunno, stanche e indecise. La macchina scorreva con apparente disinvoltura tra quelle strade squadrate e dimenticate, e illuminate malinconicamente.
Ancora non si vedevano le luci colorate e gli inguardabili babbi natale appesi ai balconi. Neanche gli alberi luccicanti dietro le finestre condivano la scena. Bisognava accontentarsi dei discorsi imprecisi e interrotti dalla musica alla radio.
Tra quei marciapiedi polverosi che scorrevano veloce, tornavano alla mente, con facilità impressionante, le luci ondeggianti sull’acqua, le barche ormeggiate in modo disordinato e l’odore pungente del mare d’inverno. Un sorriso cadeva, poi, su quell’immagine ingannevole di una città che in verità era cattiva e nevrotica. E anche molto egocentrica.
Avrei presto raggiunto il molo. Due o trecento metri ancora, e poi tutto mi avrebbe inondato con rinnovata goduria, in quella splendida realtà.


E’ sera. Il volo è turbolento; fuori i paesi sembrano eterne colate di lava a macchie di leopardo.
Il cielo è sgombro di nuvole; guado la luna negli occhi.
Voci indecise arrivano e si accavallano alla musica soul suonata dal mio I-pod; tutto è calmo e rilassato.
E non so che ora sia e sinceramente nonmenefreganiente.
Il libro di Camilleri mi aspetta.
Parecchie centinaia di metri ci separano dal suolo.
E’ un martedì distratto. Il tempo è rapido, e silenzioso.

Il cielo aveva l’aria di un crine distratto, e abitato da piccole lampade a petrolio.
I fari della macchina tracciavano ferite sull’asfalto, evidenziandone i segni del tempo.
In lontananza il Palazzo di Città era illuminato eccessivamente, e pronte guardie in divisa vigilavano sui passanti.
Un momento preciso per i ricordi, e per certe scelte dettate dall’istinto.
Era un bel lunedì sera, tutto sembrava svolgersi secondo copione.
Rossella mi guardava con la sua finta espressione ansiosa, poi tornava a sorridere e a disegnare con l’indice strane figure sul vetro, che la separava dal mondo, fuori.
Guidavo piano. Come sempre. Come ovunque.


I vicoli sono bui e stretti. Non c’è gente. Abbiamo da poco cenato al Montino. Serata divertente e meravigliosa. Sorprendente.
Giovanna cammina spedita tra le strade della sua città, io la seguo divertito. Parliamo di tante cose.
Ci divertono le differenze che saltano fuori mentre discutiamo.
Poi si ferma, Giovanna, e mi guarda. E sorride.
“Alza lo sguardo” mi dice. Io lo faccio.
Lunghi secondi mi separano dal resto della vita.
Un pezzo della Torre fa capolino fra i tetti. Sono sorpreso e stupito; ho gli occhi del bambino che non si aspetta un così bel regalo.
Proseguiamo.
Le bancarelle dei venditori ambulanti di ricordi, sono chiuse. La scena è calma e terribilmente bella.
Misteriose ombre si affacciano in questa limpida notte.
Il prato è luccicante e il marmo grigissimo. Fatico a respirare. Mi tornano in mente vecchie canzoni soul.
Voglio bene a questa ragazza.
E’ una di quelle notti da incollare come adesivo sul frigo.

Ero distratto dai semafori lampeggianti, e dalla gente seria e a volte sorridente ferma per la strada.
Poi tornavo a parlare, e a cercare con lo sguardo un pezzo di terra dove posteggiare l’auto.
Passi carrabile si susseguivano infiniti. Poi divieti e cassonetti colorati della spazzatura.
Il resto delle macchine erano parcheggiate male e le vetrine erano gelosamente spente.


E come la barca si lascia trasportare dalle onde, se lo crede, così ogni viaggio ci conduce in luoghi inaspettati, e molte volte incredibili.
Questa volta, lontano da casa, siedo in una biblioteca universitaria di fianco a due studenti vistosamente giapponesi.
Io guardo loro, loro scrutano me.
Occhi a mandorla, capelli neri come la pece, e stesso modo ticchettante e leggero di parlare.
Poi tacciono, e questo mercoledì mattina diventa come certe lavagne pulite, su cui segnare strane e misteriose formule magiche.
Il silenzio è irreale, e fortunatamente rotto a intermittenza, dal rumore degli oggetti. Ti accorgi senza alzare lo sguardo se una penna cade per terra o se meglio, è aperto un astuccio. E poi il click dei notebook, e il costante e sacro suono sussurrato dei fogli sfogliati; è tutto rilassante e scontato.
Vorrei chiedere a questo simpatico giapponese, che mi sta di fronte, dove ha comprato queste sue fantastiche scarpe blu e rosse; ricordano i tipici cartone animati del Sol Levante.
Alle mie spalle due enormi porte con il simpatico maniglione antipanico, ci separano da un ordinato e immediato parcheggio per bici; mi ricorda certi telefilm americani che seguivo anni fa.
La stanza è illuminata a dovere dalla luce del sole; le ampie vetrate raccontano di giardini e panchine di legno, e di seri edifici in lontananza.
I viali reclamano l’autunno con tutte quelle foglie morte.
I due ragazzi giapponesi (sono sicuramente una coppia, si sorridono e si amano … ah l’Amore giapponese!) tirano spesso su col naso; si alternano nel farlo, in modo ordinato.
Come si dice in giapponese: “Vuoi un fazzolettino?”
Guardo il resto dei ragazzi: cerco di immaginare come sono fuori da queste mura.
Sole le 12.33, la mensa ci aspetta.

Parcheggiammo in maniera fortunosa e cercando di proteggerci dal vento, ci incamminammo verso il fortino.
Bari, nelle sere d’inverno, è di un’autorevole rigidità. La gente tende a vestirsi sempre tutta uguale (ma questo non accade solo quando le sere si fanno fredde, vi assicuro) e cammina imitandosi. La scena è molto spesso buffa e triste. E appariscente, e scontata.
Il fortino è forse il luogo più bello, il più romantico e ingannevole.
“Guarda, quelle luci dietro le palme, danzano e ricordano stelle filanti” disse Rossella portando la mano all’altezza del viso.
Scendemmo piano verso il mare; l’odore non era pungente e la temperatura bassa.
Una scenografia perfetta per un brano di Paco de Lucia.


La nebbia ha una presenza spettrale; gioca a nascondino con i ricordi.
Ogni bici sembra colorata d’arancio e l’Arno è tanto alto da far spavento.
Le cuffie suonano musica elettronica; i prati sono verdi e brillanti, e fa freddo.
Misteriosi e stretti vicoli m’invitano a percorrerli, lo faccio piano.
Giovani e seducenti ragazze stanno ferme alla fermata dell’autobus, ascoltano musica.
In lontananza il Bazeel con il suo vino meravigliosamente buono e la finta pizza dura e fredda.
Ai piedi di una statua in omaggio del sovrappeso Garibaldi, una coppia discute felice del futuro; è piacevole starli a osservare. Poi vanno via e non mi resta che guardare due muratori al lavoro.
Frenetico mi precipito, poi, in un mercatino di roba esotica; c’è di tutto.
Mille sono i colori e c’è poca gente: guardano distratti e vanno altrove. Poi esco e cammino, cammino e ancora cammino. Corro a sedermi su una panchina che ha avuto modo di ospitarmi in passato.
Per un po’ di vicoli un uomo, credo indiano, mi ha seguito. Sono stato al suo gioco, poi l’ho guardato ormai annoiato e lui è andato via per un’altra strada. Non l’ho più rivisto.
Sono circondato ora dal solito istituto bancario, e da lunghe file di negozi vuoti; i due lati della strada sono uniti da luci natalizie, che si dice abbiano rischiato di non esserci quest’anno: colpa del denaro e della follia umana.
La gente, in questo vivo pomeriggio, mi guarda e prosegue veloce.
Io osservo e annoto, imparo. Sorrido.
Un uomo credo ubriaco mi si avvicina e biascica delle parole strane che non capisco, poi prosegue verso altra gente e in pochi istanti lo perdo tra la folla; intanto signore in bici, vestite con abiti vistosamente costosi, corrono via a velocità divertita.

Con i polpastrelli cercavo la natura liscia della pelle di Rossella; la sfioravo, percorrevo piano la sua corazza chiara.
Il silenzio accompagnava le nostre solitudini.
Il mare e le lunghe fila di case alla nostra destra, specchiavano la nostra incurabile malinconia.
Tutto era il ricordo luminoso di qualcosa: le ombre che ci inseguivano invano, le auto, i venditori ambulati di birra e panini d’incerto igiene. I gabbiani che sanno morire piano, e gli scogli sporchi e le alghe rinsecchite.
Le luci che avevano aperto la serata, iniziavano a impallidire la scena, e noi con i nostri spostamenti lenti alitavamo una calma follia.
L’angoscia, che mordeva le nostre gole, era il chiaro presagio di un amore imbottigliato da due caratteri fin troppo feroci, feriti. Increduli per tanta bellezza scoppiata e poi appassita, con forza ugualmente accecante.
Le panchine che ci reggevano mostravano la loro fredda e distaccata indifferenza.


Un uomo aspetta sua moglie, e lei arriva. Sono seduto a questa panchina sporca e in pietra.
Ho camminato tanto, per corti minuti.
Non sono abituato alla nebbia, mi mette malinconia.
Lunghe file di motorini stanno parcheggiati, pazienti, ai piedi di questa ricca università.
Una teatrale donna attraversa la scena; cammina veloce in modo elegante.
Attendo Giovanna.
La vedo, ora. Viene verso di me e sorride.
Il resto del pomeriggio avrebbe parlato di cappuccio con panna e giri in moto per la città.
E poi via veloci all’aeroporto, col crepuscolo in lontananza.

In questo momento di convinta confusione, in fila al gate, e mentre tutti i voli (come una partita a scacchi) sono cancellati, io penso a due frasi fatte:
- la nebbia la puoi tagliare a fette;
- non si vede ad un palmo dal naso.
Gente impazzita e confusa va a destra e a manca in cerca di notizie.
L’aria è elettrizzata.
Io resto seduto sul pavimento polveroso e sporco con un sorriso complice e un po’ malato.
Seimila persone cambieranno i loro programmi, per le prossime ore, in modo violento; io sono uno di loro.
Un rapido giro di chiamate mi sta rassicurando circa gli orari dei treni. Non mio resta, quindi, che andare alla stazione.
La serata, fuori, è fredda e appiccicosa.
Il resto è un misto di treni presi al volo (ironia della sorte) e coincidenze temute. Il tutto in compagnia di cinque fedeli compagni di viaggio.

Iniziava a infastidirmi quel colpevole silenzio, e fu così che per placare quell’odio sul nascere decisi di rimettermi in viaggio; nuove strade e odori, colori espressioni. E ancora tuoni lampi e balconi con nuovi addobbi.
La strada. La sentivo forte.
La notte si annunciava ancora lunga e pensierosa.
Dovevo lasciare Bari.


Ora, in questa timida alba, e a pochi chilometri dalla mia stazione, fuori piove e l’acqua striscia gli sporchi finestrini.
Le case, fuori, scorrono veloci, e le luci natalizie iniziano a traboccare sugli abbondanti balconi di questo distratto e condannato meridione.
Sono stanco, il viaggio è stato avventuroso e divertente; ho dormito pochissimo.
Tutto sembrava attirare la mia attenzione, come sempre.
L’atmosfera nel treno è cupa e imprecisa.
Ognuno per la sua strada, alla ricerca di qualcosa.
Infami sono volati via i pomeriggi, le sere e le mattine.
E attendo il sole con pazienza.
Ad aspettarmi, immobili, le lunghe e squadrate strade di Bari, dove tutto pare alcune volte, infinito.
Torna in alto Andare in basso
http://paulaner85gaetano.spaces.live.com/
Gaetano Benedetto
Star
Star
Gaetano Benedetto


Numero di messaggi : 1571
Data d'iscrizione : 01.03.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime21/7/2009, 21:24

IL MIO NOME E' DANIELE BURGO BRAMBILLA

(testo rivisto)

Il trillo infantile del telefonino mi ricordò che ero un essere umano, e che il letargo è cosa animale.
Aprii gli occhi e rimasi a fissare il soffitto per due o tre secondi, poi con la mano destra cercai disperatamente il cellulare rovistando alla cieca il comodino; si era nascosto bene il bastardo! Lo ritrovai dopo aver scaraventato via: il telecomando della tv e poi quello dello stereo, un libro di Ioanna Karistiani, fazzolettini usati e un flacone di Rinalzina di chissà quale inverno addietro.
“Daniele, oh Daniele …Giorgia chiama Daniele, ripeto, Giorgia chiama Daniele!”
“che vuoi Giorgia, è l’alba!”
“alba? L’alba non dovrebbe terminare diciamo verso le sei, sei e mezza al massimo? Mi sa che son le due, o meglio, le quattordici”
“io li odio quelli che dicono le quattordici, le quindici e via dicendo, che vuoi? Su!”
“niente, passo a prenderti, vestiti”
Dopo pochi minuti il videocitofono iniziò a suonare.
“non puoi proprio stare senza di me?! Eh? Comunque in bianco e nero sei davvero brutta, Giorgietta mia”
“fanculo …apri stronzo!”
Mi sorrise, e mentre la vedi spostarsi i capelli dalla fronte pensai a quanto il suo amore mi facesse male con quello strano disagio dal sapore speziato.
Io semplicemente non l'amavo.
Aprii la porta e andai in camera da letto.
Dopo un po’ sentii i suoi passi nella penombra delle tapparelle semi abbassate.
Entrò in camera e mi baciò il collo. Io continuai ad abbottonare la camicia.
“la tolgo?”
“no vestiti, devo parlarti”
“parliamo”
“vestiti, ti aspetto in cucina, lo vuoi un caffè?”
“no dai, lo prendiamo al bar, giù”
“ok”

Guardavo Giorgia illuminata dalla luce artificiale dentro l’ascensore, la sua pelle era brillante e apparentemente delicata.
Il sedere, un’autentica meraviglia, era tagliato a metà dai suoi capelli neri e lisci.
Per strada tornai a osservare la luce nei suoi occhi, mi sembrava diversa. Alterata.
“sediamoci qui”
“ma no dai, si vede il balcone di casa”
“e quindi? Che male c’è?”
“ma no, niente, però sai, il balcone è di casa mia”
Mi zittì con un gesto della mano.
“farnetichi?”
“si”
“perché, sei nervoso?”
“si, e non so il perché, stasera? Impegni? Se vuoi dopo torniamo in casa…”
Sorrisi allusivamente. Come solo certi maschi idioti sanno fare.
“devo dirti una cosa, e dopo …si dopo non so se ne avrai voglia”
“e che ci può essere di così grave, di così trascendentale?!”
“non le sai usare, tu, certe parole”
“scema”
“scemo”
Sorrise.
Io ricambiai, e poi chiamai il cameriere con il solito gesto, inutile e offensivo.
Lui che mi conosceva bene e sapeva quanto fossi arrogante, ci mise un po’ ad arrivare. Pareva improvvisamente indaffarato.
Presi le chiavi che avevo nella borsetta di Vuitton, e con il telecomando iniziai ad aprire e chiudere la macchina.
“se vuoi, prendo la moto e andiamo a fare un giro”
“no, no, adesso devo dirti una cosa”
“che fretta hai?”
“un po’ ne ho, e smettila di aprire e chiudere la macchina, l’hanno vista tutti … anche quelle ragazzette che ti stanno guardando da quando ci siamo seduti, quindi tranquillo! E siediti composto, ma …ma che mocassini ti sei messo?”
“comprati ieri, ti piacciono?”
“mostruosi”
“bellini eh?”
“sì, un’autentica cagata!”
“ma che dici, sono viola, si usano”
“viola, certo, come quello usato nei funerali!”
“tu non ci capisci niente di moda, tu, si tu che ne sai?” e poi rivolgendomi al cameriere che stava arrivando dissi, “tu, dico a te, ti vuoi muovere?”
Quello mi guardò in modo strano e poi si rivolse a Giorgia.
“signorina che prende?”
“un caffè, sì un caffè, e lo scusi”
Il cameriere fece una smorfia, e mi guardò.
“ e lei signore?”
“caffè freddo con panna, panna fresca ovviamente, non quella colata acida che servite di solito”
Giorgia mi diede un calcio, e mi fece male.
“ma che sei idiota? Sai quanto mi costano questi pantaloni?? Ebete!”
“io non so come ho fatto a prendere una cotta per te!Sei un coglione …ecco che sei! E io dovrei crescere un figlio con te?”
“un figlio?”
“sì un figlio, sono incinta coglione!”
Si alzò, impugnò il fazzolettino bianco con cui aveva giocato fino a poco prima di quello scatto che mi aveva colto impreparato, e digrignò i denti.
“un figlio?”
“sai ripetere solo: un figlio?!”
“come un figlio? Ci sarà un errore, sì un errore, i medici fanno spesso errori”
“nessun errore, tu il pisello evidentemente lo usi a tromba!”
“che vuol dire a tromba?”
“certo, nei circoli che frequenta quel frocio di tuo padre, queste espressioni, come dire, terrene, non le usate eh!”
“come …un figlio?! e poi la tromba?”
Giorgia mi guardò negli occhi, quegli occhi che non avrei più dimenticato, sorrise, si girò e andò via.
“ e tu che cazzo guardi cameriere di merda”
“ma vaffanculo!”
E mi diede un pugno così forte che il dolore successivo mi sembrò profondo e ossessivo; poi scomparve in un modo strano, come se avesse sbagliato viso. Sentii intanto le mie parole, sdoppiate da me. Inclinate da un odio che non provavo.
“ma che hai fatto, sei un pazzo! Tu non sai chi sono io! Io mi chiamo Daniele Burgo Brambilla!”
Il cameriere rimase un attimo a pensare, poi mi colpì con un secondo gancio.
Caddi rovinosamente con il sole negli occhi e un’espressione strana nel viso.
Rimasi a terra per un tempo che mi sembrò interminabile, poi il proprietario mi fece rialzare e rivolto al cameriere disse: Tu sei licenziato.
Chiesi scusa e andai via.
Chiesi scusa.

Camminai per qualche isolato tenendo la testa bassa, poi alzai lo sguardo e vidi una strana luce sulle vetrine.
Era abbagliante, ma sparì subito. Dopo guardai il cielo e vedi le nuvole colorate con un grigio stano, scuro e indecifrabile. Poi sentii i primi tuoni.
Rimasi fermo.
Iniziai a camminare, piano, quando le prime gocce ebbero bagnato la camicia bianca che indossavo.
Pensai che avevo chiesto scusa per la prima volta. Pensai a molte cose dopo, e a Giorgia.
Ebbi l’assoluta certezza che avrebbe abortito, ma avevo paura.
Un’intima ed inesplorabile paura, nuova per me.
Un figlio.
Avevo pensato di cambiare la villa a Gallipoli, e poi di comprare un nuovo Suv.
Ma a un figlio no, non c’avevo mai pensato.
E poi Giorgia. Io non l’amavo.
Continuai a camminare fin quando i primi starnuti non mi richiamarono dal limbo in cui ero caduto.
Lasciai che la notte arrivasse piano, poi tornai a casa.
Un figlio.
Io non lo volevo, un figlio.

Poi i giorni passarono e tornai ai miei ritmi, e quel pomeriggio mi sembrò un sogno, o meglio, un incubo da cui mi ero svegliato.
Sperai di non incrociare più gli occhi di Giorgia, quello sguardo che mi condannò, e che rimane l’ultima immagine che ho di lei.


Ultima modifica di Anam il 22/7/2009, 20:41 - modificato 2 volte.
Torna in alto Andare in basso
http://paulaner85gaetano.spaces.live.com/
Gaetano Benedetto
Star
Star
Gaetano Benedetto


Numero di messaggi : 1571
Data d'iscrizione : 01.03.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime21/7/2009, 21:42

EROINA

Avevo piegato il braccio destro nell’inutile intento di nascondere l’ematoma.
Thea, la cameriera dal grembiule a strisce rosse e bianche, mi stava servendo brioche e caffè al tavolino.
Lei sapeva pescare, in quel pozzo senza fondo dei miei occhi verdi, il peso asfissiante della paura.
L’immagine di Paolo con siringa al braccio e schiuma alla bocca, alitava la sua presenza mortificante.
Thea mi conosceva, Thea mi aveva persino amato in quel periodo in cui gli alberi avevano la stessa forma sempre uguale nei disegni alle elementari. Ora gli alberi erano fantasmi, erano ombre a inseguirmi.
“come va oggi Francesco” disse Thea accarezzando le mie guance essiccata dal sole e dalle troppe notti per strada.
“oggi? Oggi come ieri, e che dici, adesso, Paolo, nella sua bara che forma avrà?”
“che cazzo dici Francè!? Basta con sta storia”
“niente dico, anzi dico me lo porti un altro cornetto? Oggi ho troppa fame”
“ok …il secondo lo offre la casa se la smetti di dire queste scemenze, e inizi a mangiare il primo croissant”.
Vidi il suo sorriso innaturale, forzato.
Poi si girò verso le enormi finestre che ci separavano dal mare grigio contaminano dall’inverno, fuori, e s’incamminò piano verso i tavolini ordinati alla nostra sinistra, in direzione del banco trafficato dai tre baristi e dalla proprietaria dagli occhi azzurri, e sanguinanti.

Come sanguinanti?
Ecco che torna.
No dai, ora no.
Paolo, che ci fa Paolo …in questo bar, ora.
Perché sei disteso per terra, e ti calpestano, Paolo.
I loro piedi entrano dentro il tuo corpo.
Hai il volto cianotico, Paolo. Basta rantolare. Basta con quella disperazione.
Perché è tutto opaco? Perché la luce è la stessa di quel neon in quella maledetta stanza.
Perché quella sera?
Salvate Paolo.
No, la schiuma no, lavategli la bocca su. Odio quella schiuma bianca e lattiginosa.
E gli occhi.
Dove sono i tuoi occhi?


Poi Paolo sparì.
Vidi Thea piangere, e la crema colare dal cornetto che stringeva con la mano.
Sentii il mio respiro tornare regolare.
Cercai di navigare la natura ruvida del tavolino, con indice della mano sinistra.
Il braccio destro era sempre piegato, chiuso.
Pensai alle parole di Grazia: “…tranquillo, quelle crisi vanno e vengono, chi fa uso di droghe è esposto a visioni, …la droga scava nel corpo, nella testa, oltre al ricordo del suo effetto, le immagini i suoni gli odori e tutte le altre percezioni che hanno accompagnato il suo utilizzo”.
La voce di Grazia mi tornava rassicurante e familiare.
I miei occhi annebbiati dall’oblio senza fine in cui ero ripiombato, fissavano il vuoto.
Poi sentii il corpo caldo e inquietante di Thea stringermi.
Le sue lacrime salate annaffiavano i miei capelli sale e pepe.
Ero immobile, perso dietro la patina confusa dei ricordi.

Paolo. I tuoi occhi si spengono piano.
Le tue bracciano cercano di afferrarmi nel vuoto.
Nel vuoto!
Non riesco Paolo.
Cazzo non riesco a muovermi!
Sto cercando, ma non riesco.
Il mio corpo è tutto eccitato.
So che durerà pochi sporchi minuti, e poi il piacere calerà e ci sarà il buio senza fine della dannazione.
Paolo.
Paolo.
Paolo.
Paolo.


“Francè, vieni fuori da quell’incubo, Francè così non puoi, Francè”.
Sentivo la voce di Thea, l’unico contatto con il mondo reale, fuori.
“Paolo” ripetevo.
“Lascia andare Paolo, lascialo al suo destino già scritto, lascia andare Paolo …questa è follia”
“Paolo, perché Paolo”
Sentii un ultimo rantolo salire alle labbra, e poi un forte dolore al petto.

Mi risvegliai in ospedale, con Thea che mi stringeva la mano.
La stanza era illuminata eccessivamente, l’ossigeno rinfrescava il mio corpo.
Non riuscivo a tenere gli occhi aperti, sentivo alterati i miei sensi.
“da domani ritorni in terapia al Sert, e non si discute!” ordinò Thea.
Non risposi.
Aveva ragione.
Sentivo le mani sporche dal fango con cui era stato seppellito Paolo.
L’eroina aveva annientato la pace, la mia pace.
E gli archi della salita verso San Luca, a Bologna, sarebbero stati per sempre il simbolo della mia perdizione.
Di quella notte d’iniziazione ricordo la stagnola che luccicava nel buio, e la fiamma dell’accendino sotto a liquefare quel pezzo scuso e maligno, e poi il viso di Paolo illuminato per metà, contrariato.
Io sorridevo come solo i demoni sanno fare.
Poi sentii l’ago pizzicare la mia pelle, e un orgasmo apparentemente infinito impossessarsi del mio corpo.
E dopo il buio.
Lo stesso di adesso.
Torna in alto Andare in basso
http://paulaner85gaetano.spaces.live.com/
Daniela Micheli
Admin
Admin
Daniela Micheli


Numero di messaggi : 14694
Data d'iscrizione : 04.01.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime21/7/2009, 22:19

Ok rileggo, Gaetano.
Torna in alto Andare in basso
Daniela Micheli
Admin
Admin
Daniela Micheli


Numero di messaggi : 14694
Data d'iscrizione : 04.01.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime16/8/2009, 20:24

non mi ricordo più se ho espresso il mio voto :-(
Torna in alto Andare in basso
Gaetano Benedetto
Star
Star
Gaetano Benedetto


Numero di messaggi : 1571
Data d'iscrizione : 01.03.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime21/8/2009, 12:47

solo la poesia
Torna in alto Andare in basso
http://paulaner85gaetano.spaces.live.com/
Emma Bricola
Star
Star
Emma Bricola


Numero di messaggi : 1352
Data d'iscrizione : 27.01.09

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime21/8/2009, 16:32

A me Daniela non mi ha votato proprio Sad
Torna in alto Andare in basso
Susanna Costa
Top
Top
Susanna Costa


Numero di messaggi : 366
Data d'iscrizione : 27.03.09

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime22/8/2009, 18:41

Ciao Gaetano. Ti lascio il mio voto.
A presto
Torna in alto Andare in basso
Ospite
Ospite




Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime2/9/2009, 22:18

Letto ...
vado a votare.
Saluti,
A.
Torna in alto Andare in basso
Daniela Micheli
Admin
Admin
Daniela Micheli


Numero di messaggi : 14694
Data d'iscrizione : 04.01.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime3/9/2009, 22:25

Ero convinta di averlo fatto, Gae, trovi MP
Bacio
Torna in alto Andare in basso
Gaetano Benedetto
Star
Star
Gaetano Benedetto


Numero di messaggi : 1571
Data d'iscrizione : 01.03.08

Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime4/9/2009, 21:01

ok grazie Dani e anche a Mauro.
Adesso devo cercare di capire un po come sto messo con i voti, chi non ho votato?
Torna in alto Andare in basso
http://paulaner85gaetano.spaces.live.com/
Ospite
Ospite




Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime4/9/2009, 21:42

Ciao Gaetano
a me non m'hai votato ...
Gaetano Benedetto / Anam 575356
Torna in alto Andare in basso
Contenuto sponsorizzato





Gaetano Benedetto / Anam Empty
MessaggioTitolo: Re: Gaetano Benedetto / Anam   Gaetano Benedetto / Anam Icon_minitime

Torna in alto Andare in basso
 
Gaetano Benedetto / Anam
Torna in alto 
Pagina 1 di 1
 Argomenti simili
-
» Gaetano Benedetto / Anam
» PARLAMI - ANAM GAETANO BENEDETTO
» VUCCIRIA MIA - ANAM GAETANO BENEDETTO
» EROINA - ANAM GAETANO BENEDETTO
» DICHIARAZIONE DI DIPENDENZA - ANAM GAETANO BENEDETTO

Permessi in questa sezione del forum:Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
 :: Prosa e Poesia :: Prosa-
Vai verso: