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 Antonella Pozzobon / occhidicobalto

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Rosalba Signorello
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Antonella Pozzobon
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MessaggioTitolo: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime22/7/2009, 08:38

ADELAIDE

Adelaide non era mai stata bella, ne sono sicura. Non credo nemmeno che sia mai stata giovane, io la ricordo sempre così, vestita di nero o di grigio, i lunghi capelli argentati raccolti sulla testa in una treccia arrotolata, fermata da due pettinini di corno, ai piedi due zoccoli in legno, in estate e in inverno. Le donne di un tempo, nelle campagne degli anni 60, invecchiavano prima o per meglio dire, il tempo si fermava per loro troppo presto, la giovinezza sfioriva per lasciare posto a reticoli di rughe sul volto, il segno indelebile delle fatiche del lavoro all’aperto, nei campi. Era nata e cresciuta in Friuli, in un piccolo borgo sperduto, da una famiglia povera e severa, per niente indulgente. E sul suo viso si era radicato quel ghigno perenne, impassibile. Mai un sorriso, mai una parola gentile. A me faceva paura. Abitava vicino ai miei nonni, da sola, in una vecchia casa con inferriate alla finestra, tendine logore e porta di legno. Non usciva quasi mai, non salutava nessuno, nemmeno mio padre, che pure aveva visto bambino. La vedevo sbirciare la strada dietro a quei vetri, tirando a malapena le tende. Passava i suoi giorni rintanata in quel buco di casa, leggendo riviste e giornali, facendo lavori di maglia e uncinetto. Per chi? Non si sa. Non amava nemmeno i bambini, specialmente se femmine. Forse vedeva in loro lo specchio di quello che lei era stata e che non era potuta diventare. Io e mia sorella facevamo di tutto per farci notare, quella donna ci spaventava ma allo stesso tempo ci incuriosiva. Volevamo che uscisse, che ci facesse entrare nella sua tana per potere osservare cosa c’era all’interno. E allora facevamo rumore, tiravamo dei sassi sulla persiana, ma niente, il silenzio assoluto. Ogni tanto, nelle giornate d’estate, il riverbero del sole si rifletteva sui suoi occhiali, scintillando dal vetro. Ma lei non usciva. Io credo che la parola dolcezza per lei non avesse un significato. Del resto, chi mai si era rivolto dolcemente a lei? Mia nonna mi raccontava che quando aveva 16 anni, era stata mandata “a servizio” in città, nella casa di un grande signore. I suoi genitori erano troppo poveri, il terreno della loro casa non rendeva abbastanza per tutti. Il fratello serviva nei campi, la sorella era troppo piccola e cagionevole, quindi per forza di cose toccava a lei allontanarsi da casa. Ma lei era stata contenta di questo, non amava la terra, i raccolti. Nel suo io forse sognava di potersene andare un giorno, incontrare un amore che la portasse via, lontano, non importa dove, e che riuscisse a dipingerle il volto di un nuovo colore. Lavorava e nel frattempo osservava quel mondo così diverso, quelle trine, quei merletti che doveva ogni giorno stirare e che non sarebbero mai state sue. Un giorno il padrone le disse che si sarebbe dovuto trasferire in Francia per un certo periodo e se voleva avrebbe potuto anche lei andare con loro. Adelaide era al settimo cielo. La Francia, un paese straniero. Pensava a Parigi, alle foto sulle riviste di moda che riusciva a sbirciare nella stanza della signora. Chi del suo paesino in campagna aveva questa opportunità? E così per 10 anni, Adelaide riuscì ad osservare dal vivo la terra dei suoi sogni, ad ascoltare ed anche un po’imparare la dolce melodia della lingua francese. Un sogno per lei, anche se non riuscì mai a farsi nemmeno un’amica. Sempre e continuamente in casa, anche lì, a vivere di riflesso la vita degli altri. Quando suo padre morì, la sorella e il fratello si erano sposati e trasferiti lontano e allora toccò a lei tornare e occuparsi della vecchia madre, sola ed inferma in un letto. Anni e anni di amara solitudine, isolata dal resto del mondo. Nessuno però ebbe mai modo di raccogliere un suo lamento. Il suo ghigno cresceva insieme alle sue rughe. Ma un giorno accadde qualcosa. Avevamo un cugino che aveva sposato una giovane donna francese, viveva a Marsiglia e ogni tanto tornava in Italia a trovare la nonna. Quell’anno arrivò con i suoi bambini, due maschietti di 5 e 2 anni. Ed allora qualcosa cominciò a cambiare. Le tendine non erano più sempre chiuse, la porta di legno ogni tanto era aperta ed un giorno Adelaide uscì nel giardino a scambiare qualche parola con i tre francesini. Non le piacevano le bambine, ma i maschietti sì, senza dubbio. Comparirono caramelle, cioccolatini, solamente per Gerard e Joseph. Per me e mia sorella nemmeno un sorriso. Mia sorella stizzita un giorno bussò alla sua porta e le disse: “ Ma noi siamo le loro cugine!”. E lei niente, soltanto quel ghigno sui denti ormai radi. Si sedeva lì fuori a parlare in francese con Claudine, ogni tanto il barlume di un sorriso appariva sul volto grigiastro, ignorandoci. Osservava i bambini, li accarezzava ed apostrofava con delicatezza. Non credevo ai miei occhi. Non sembrava più nemmeno la stessa persona. Chi lo sa, mi chiedevo, forse anche lei avrebbe voluto essere mamma...
Una mattina però fui svegliata da un grido. Claudine, disperata, continuava a chiamare Joseph. Si era alzata dal letto e aveva notato la finestra della camera aperta. Il bambino non c’era. Corremmo tutti fuori, gridammo il suo nome nei campi, ma niente, nessuna risposta. Stranamente però, quella porta di legno era chiusa, ma all’inizio nessuno lo notò, nessuno pensò come mai proprio lei, che negli ultimi giorni aveva rotto il suo muro col mondo, non avesse notato il frastuono e le urla. Io ero ancora una bambina, ma all’improvviso mi venne un sospetto. Bussai alla porta, chiamai il suo nome, ma non ebbi risposta. Ed allora sbirciai dietro il vetro ed un’immagine forte si parò innanzi a me: Adelaide, con un seno ormai vizzo scoperto, stringeva sul ventre il bambino, un’orribile balia, ma con gli occhi splendenti di tenero affetto.
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime22/7/2009, 09:01

Eccoti!
Ciao, Anto buongiorno...
Diamo la tua adesione all'antologia, sì????

Ti leggo poi, sto impicciata uorra Smile
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime22/7/2009, 09:11

proviamo dai!!
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime22/7/2009, 10:17

Un bel ritratto. Sembra di vederla, l'Adelaide. Smile
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MessaggioTitolo: ADELAIDE- RIVISTO   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime24/7/2009, 17:37

Ho apportato alcune correzioni al racconto da me precedentemente pubblicato

ADELAIDE

Adelaide non era mai stata bella. Dubito che sia mai stata giovane. La ricordo sempre vestita di nero, di grigio; i capelli lunghi argentati raccolti sulla testa in una treccia ritorta, fermata da due pettinini di corno. Ai piedi zoccoli in legno, in estate e in inverno. Le donne, nelle campagne degli anni ‘60, invecchiavano presto, la giovinezza sfioriva per lasciare posto a reticoli di rughe sul volto, segno indelebile delle fatiche nei campi. Era nata e cresciuta in Friuli, in un piccolo borgo sperduto, da una famiglia povera ma severa, per niente indulgente. E sul suo viso si era cristallizzato quel ghigno perenne, impassibile. Mai un sorriso, non una parola gentile. Mi turbava. Abitava vicino ai miei nonni, da sola, in una vecchia casa con le finestre sbarrate, tendine logore e porta di legno. Non usciva quasi mai, non salutava nessuno, nemmeno mio padre, che pure aveva visto bambino. La vedevo, circospetta, sbirciare la strada dietro ai vetri, scostando di poco le tende. Passava i suoi giorni rintanata in quel buco di casa, leggendo riviste e giornali, facendo lavori di maglia e uncinetto chissà per chi. Non amava i bambini, specialmente se femmine. Forse vedeva in loro il riflesso di quello che lei era stata, di un’età che, però, non aveva potuto vivere. Io e mia sorella facevamo di tutto per farci notare, quella donna ci inquietava ma allo stesso tempo ci incuriosiva. Volevamo che uscisse allo scoperto o che ci facesse entrare nelle sue segrete per potere osservare cosa c’era all’interno. E allora facevamo rumore, tiravamo dei sassi sulle persiane, ma in risposta solo il silenzio. Di tanto in tanto, nelle giornate d’estate, i raggi del sole, riverberati dalle lenti dei suoi occhiali, facevano brillare i vetri delle finestre. Credo che non conoscesse il significato di dolcezza. Chi mai le si era rivolto dolcemente? Mia nonna raccontava che quando Adelaide aveva sedici anni, era stata mandata “a servizio” in città, a casa di un grande signore. I suoi genitori erano troppo poveri, il terreno della loro casa non rendeva abbastanza per tutti; il fratello lavorava per i campi, la sorella era troppo piccola e cagionevole: era toccato a lei, dunque, lasciare la casa. Lo fece con spirito buono, era stata contenta di questo allontanamento dalla terra, dai raccolti. Sarà stato, probabilmente, l’inizio di un bel sogno da coronare con l’incontro di un amore che la portasse via, lontano, non importa dove, e che riuscisse a dipingerle il volto di nuovi colori, più tenui, femminili. Lavorava osservando il mondo dei ricchi, così diverso dal suo, con quelle trine, quei merletti che doveva ogni giorno stirare e che non sarebbero mai stati suoi. Un giorno il padrone di casa le disse che si sarebbe dovuto trasferire in Francia per un certo periodo e se voleva avrebbe potuto anche lei andare con loro. Adelaide era felicissima. La Francia, un paese straniero. Pensava a Parigi, alle foto sulle riviste di moda che riusciva a sbirciare nella stanza della signora. Chi del suo paesino in campagna avrebbe mai avuto un’opportunità del genere? Così per 10 anni, Adelaide riuscì ad osservare dal vivo la terra dei suoi sogni, ad ascoltare e anche un po’ a imparare la dolce melodia della lingua francese. Sempre chiusa nella nuova casa francese, anche lì, a vivere di riflesso la vita degli altri; non riuscì mai a farsi nemmeno un’amica. Quando suo padre morì, la sorella e il fratello si erano ormai sposati e trasferiti lontano. Toccò a lei tornare e occuparsi della vecchia madre, inferma e costretta al letto. Anni di amara solitudine, isolata dal resto del mondo. Nessuno però ebbe mai modo di cogliere un suo lamento. Il suo ghigno si attestava sul volto, insieme alle rughe. Ma un giorno accadde qualcosa. Avevamo un cugino che aveva sposato una giovane donna francese e viveva a Marsiglia. Di tanto in tanto tornava in Italia a trovare la nonna. Quell’anno arrivò con i suoi bambini, due maschietti di cinque e due anni, Gerard e Joseph. E in casa di Adelaide qualcosa cominciò a cambiare. Le tendine non erano più sempre chiuse, la porta di legno ogni tanto si apriva e un giorno lei uscì nel giardino a scambiare qualche parola con i tre francesini. Non le piacevano le bambine, ma i maschietti sì. Comparirono caramelle e cioccolatini solamente per Gerard e Joseph. Per me e mia sorella nemmeno un sorriso. Mia sorella stizzita un giorno bussò alla sua porta e le notificò che noi eravamo le cugine dei bambini francesi. Niente, soltanto quel ghigno davanti ai denti ormai radi. Si sedeva fuori di casa a parlare in francese con Claudine, la moglie di nostro cugino. Ogni tanto il barlume di un sorriso compariva sul suo volto grigiastro che continuava a ignorarci. Osservava i bambini, li accarezzava, li apostrofava, all’occorrenza, con delicatezza. Non credevo ai miei occhi. Non sembrava più nemmeno la stessa persona. Chi lo sa, mi chiedevo, forse anche lei avrebbe voluto essere mamma.
Una mattina fui svegliata da un grido. Claudine, disperata, continuava a chiamare Joseph. Si era alzata dal letto e aveva notato la finestra della camera aperta. Il bambino non c’era più. Corremmo tutti fuori a gridare invano il suo nome nei campi, ma senza ottenere risposta. La porta di legno della casa di Adelaide, stranamente, era chiusa, ma all’inizio nessuno lo notò, nessuno pensò come mai proprio lei, che negli ultimi giorni aveva rotto il suo muro col mondo, non avesse notato il frastuono e le urla. Io ero ancora una bambina, ma all’improvviso mi venne un sospetto. Bussai alla sua porta, la chiamai, ma non ebbi risposta. Sbirciai dietro il vetro e un’immagine indelebile si parò innanzi a me: Adelaide con un seno scoperto, ormai vizzo, stringeva sul suo ventre il bambino: una balia orribile con gli occhi splendenti di tenero affetto.
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime25/7/2009, 23:32

un finale forte.

piaciuto Occhidicobalto, ciao
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime27/7/2009, 21:38

Anto, lo unisco all'altro, così non ci si confonde.
baci
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Daniele Dossena
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime28/7/2009, 22:32

come non poter appoggiare una mia concittadina...
la chiusa mi piace una cifra
Daniele
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MessaggioTitolo: ALTO, GIOVANE E BELLO   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime29/7/2009, 12:01

ALTO, GIOVANE E BELLO

Alto, giovane, bello. Daria lo incontrò per caso un giorno di inverno. La pioggia che cadeva incessante e battente fuori dalla finestra non riusciva a inumidire l’aridità che si era creata nel suo animo. Troppe sofferenze, troppe dure prove negli ultimi tempi. Era stanca, sfibrata, amareggiata e quel giorno anche annoiata. Gironzolava per casa senza sapere cosa fare. Gli altri erano tutti occupati nelle loro passioni, chi guardava la tv, chi giocava alla play station, chi parlava al telefono. Nessuno pareva notare che lì dentro c’era anche una donna, non solo una moglie e una mamma. Con un gesto di stizza accese il pc, unico svago che i suoi le concedevano, e a volte anche a malincuore. Rare uscite, poche distrazioni. Lavoro, faccende domestiche, qualche volta una pizza. Internet-dipendente, la chiamavano, ma del resto che faceva di male? Meglio una tastiera e uno schermo che strane ubbie per la testa da sfogare al di fuori. Ed allora si collegò ad un sito che riportava le notizie aggiornate sulla città di origine di sua madre. Un cordone ombelicale che non riusciva ancora a tagliare, sebbene la sua mamma non ci fosse più da tempo. E su quel sito notò una foto, un articolo nuovo. Un isolano trapiantato in un’altra isola, che strano. Di solito gli isolani sono molto legati alla terra di origine. Alto, giovane, bello. Un viso da intellettuale, uno sguardo profondo, penetrante. Due belle mani, grandi. Un’espressione intelligente, pacata. Un altro premio vinto per la sua promettente carriera di scrittore, una lode della redazione. Daria adorava leggere, la sua casa era inondata di libri. Era molto disordinata, ma per i libri aveva una venerazione, ne aveva a centinaia, ben tenuti. Quando andava in libreria, in biblioteca, il suo corpo si riempiva di una strana libidine. L’odore della carta stampata ancora intonsa, le copertine col volto dell’autore sul retro, le prefazioni...sensazioni indescrivibili! Non vedeva l’ora di assaporarli, di cogliere l’essenza, il messaggio che trasferivano. E dunque, in fondo all’articolo c’era anche il link al blog dello scrittore. Link, blog. Parole di moda. Chi non pubblica un link? Chi non ha un blog? Daria non aveva un blog, non avrebbe saputo cosa farsene, lei era di un’altra generazione. Ai suoi tempi si scrivevano lettere a mano, si telefonava dalle cabine col vecchio gettone, a mezzanotte al massimo si rientrava a casa a dormire. Una volta aveva anche perso un amore per non avere il telefono in casa. Non si potevano chiamare e lui cercò altrove. Ora invece pc fino a notte, e-email, cellulari. Daria era curiosa: “Vediamo un po’ cosa scrive nel blog” si domandò. E la sua brama per la lettura fu subito placata dalle sue poesie, dai suoi racconti. Era estasiata. “Gli scrivo!” pensò . Alto, giovane, bello. “Che male c’è a mandargli un commento? Potrei quasi essere la sua mamma, non c’è niente di strano, figuriamoci poi se risponde”. E lui invece rispose. La ringraziò con parole gentili, profonde. Riguardando la sua foto, Daria si accorse che il suo sguardo andava al di là dell’obiettivo. Nei suoi occhi c’era una luce intensa, il riflesso della sua anima. Rimase per ore a guardarlo, a cercare di capire qualcosa di lui. E in un giorno di sole, riaccese di nuovo il pc e trovò un’e-mail di un’amica che le diceva: “Perchè non ti iscrivi al social network del momento?” Riecco i paroloni: questo inglese che avvolge le nostre vite come una tela di ragno. Ma che ne sapeva Daria dei social network, lei che da giovane per girare aveva una piccola Fiat 500, che per incontrare gli amici doveva andare al circolino del paese la sera. Per lei i rapporti sociali erano quelli diretti, con persone da guardare negli occhi, da odorare, toccare. Che cos’erano i rapporti virtuali? Ma se non ti aggiorni non sei alla moda, i suoi figli la prendevano in giro. “Mamma sei vecchia!” le dicevano. Ed allora si iscrisse, caricò una foto, anzi due. Le scelse a fatica perchè lei non si piaceva mai, nemmeno nello specchio, figuriamoci nelle foto. Eppure era una bella donna, a detta di tutti, ma la fiducia in se stessa negli ultimi tempi era precipitata! E subito una valanga di amici, vecchi e nuovi la contattarono e nella lista di uno di loro si accorse che c’era anche il nome dello scrittore. “Che faccio, gli chiedo l’amicizia?”si domandò Daria. Riguardò la sua data di nascita, e pensò che era meglio di no. Ma il suo volto era un richiamo, quello sguardo la penetrava dentro. “Gliela chiedo, si disse, “ma con tutti gli amici che ha, non credo proprio che consideri me, una donna attempata”. Ed invece lui accettò. Alto, giovane e bello. E non solo accettò, ma una sera le mandò un messaggio con parole stupende. L’anima inaridita di Daria cominciò piano piano ad assaporare una dolce linfa, ad ammorbidire la crosta di rabbia che si era formata dentro di lei. Solo con le parole il ragazzo riusciva a farla sentire di nuovo una donna e soprattutto le dimostrava di sapere ascoltare. Non si parlavano a voce. Si scambiavano solo messaggi via chat, via email, sms. Questa volta però le parole straniere le piaceva, anche se nuove, perchè adorava dialogare con lui anche se solo per via virtuale. La trovava bellissima le diceva. Sarà stato vero? A Daria non importava. Ci credeva, o forse aveva solo bisogno di crederci. Forse un giorno si sarebbero incontrati anche di persona, ma a lei bastava anche così. Alto, giovane e bello. Non tutti i ragazzi della sua età sanno essere tanto profondi e soprattutto pazienti e gentili con una che alta, giovane e bella (forse) lo era stata anche lei, ma qualche anno prima.
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Susanna Costa
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime22/8/2009, 19:13

Ciao Occhi/Anto, vado a votare il brano... :-)
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Marco Naldi
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime24/8/2009, 22:40

Brava.. scelta ardua...
Ciao
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime2/9/2009, 22:40

Ciao
letto tutto
complimenti !
vado a votare ! Antonella Pozzobon / occhidicobalto 899765
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MessaggioTitolo: Re: Antonella Pozzobon / occhidicobalto   Antonella Pozzobon / occhidicobalto Icon_minitime

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