Assolto il più dei miei doveri,
e nonostante l'autoinflitto senso di inconcludenza,
affronto con afettata indifferenza
il buio, che ingoia la misure delle cose
al giorno conosciute.
Morbidezze sprecate sul letto vacante
che attende di ricordarmi l'avanzare degli anni,
e nell'oscurità che vanifica le difese
la solitudine aggrava la malattia.
Mi stendo sull'altare con spirito sacrificale,
ineluttabile destino di sgomento;
l'attesa del salvifico oblio, nell'ora più vuota,
si muta presto in tormento,
in assenza di un odore altro da me.
Acque rapide di un fiume senza sponde,
nessun appiglio per sfuggire all'ovvietà:
il lenzuolo non basta a coprire testa e piedi.
Raggomitolate paure infantili
sbattono contro il soffitto troppo basso,
e il grido muto soffoca nel silenzio.
Posso solo abbandonarmi
alla clemenza della notte,
affidando la mia anima ad angeli di stelle,
caldo alito che asciuga le lacrime
che secche saranno sul cuscino di domani.