ATTO UNICO - SELVA

Io lo seguivo a qualche passo di distanza, indecisa sul da farsi ma determinata a non perdere di vista l’uomo che aveva segnato la mia vita. Salpi, il suo cognome, e noi giovani attori lo chiamavamo così pur dandogli del tu.
Sono passati quattro anni da quando il teatro era la mia grande passione ed oggi, inaspettatamente, seguo i passi sicuri di Salpi catapultata indietro nei ricordi. La sua voce riecheggia in me come allora e come non aveva mai smesso di fare.
Per quella rappresentazione, la mia ultima esperienza teatrale, la parte della protagonista "Sophia" era stata assegnata a Paola, la cui bellezza poteva essere tradotta solo in un vuoto allo stomaco. Pelle ambrata e lucente, occhi verde cupo e i suoi capelli neri come la notte più nera. Paola era l'incarnazione del Vulcano e come lui incuteva passione e rispetto. Il suo profumo, come lava incandescente, sembrava trasudare dai suoi abiti a prender forma e tracimare nella stranezza di un desiderio da lei disgiunto. La vedevo meraviglia, in un mondo ormai miope e indifferente.
Io, come tutte, avevo sperato in quella parte eppure non riuscii a risentirmi della scelta di Salpi: era Paola quella giusta e tutti sapevamo che soltanto lei avrebbe potuto interpretare Sophia.
I copioni sfogliati e le nostre paure. Le risate improvvise e lui, sigaretta in bocca ed occhi penetranti, a modellare le nostre interpretazioni, plasmando impostazioni,  intonazioni e sfiorando le nostre sensibili corde ancora verdi liane.
E' strano quanto io più che ricordare i compagni di viaggio con i quali ho recitato e sofferto, ricordi lui: il nostro regista, che con un copione maltrattato in mano e quegli occhiali inforcati a casaccio, c'insegnava a vivere prima che a recitare.

"Paola, ricorda che Sophia ha deciso di sfruttare la sua bellezza per ottenere la libertà sua e dei suoi figli, è una donna che conosce molti segreti ma non parlerà di niente e nessuno se non per salvarsi e salvare così quanto ha di prezioso. Avrai lo sguardo fiero, a tratti arrogante… non è uno sguardo impaurito o dimesso, il suo. Dovrai mantenere sempre il corpo in posizione quasi altezzosa, il pubblico è troppo distante avrà solo la percezione dei tuoi occhi , perciò devi mostrarli anche nell'atteggiamento. Sarai Sophia e dovrai tradurre il tuo silenzio in frastuono. Dai, riproviamo da qui. Pronta Paola? Andrea vai con la penultima…"

Nessuno sapeva granché di Paola, se non dello sguardo intenso che ti piantava addosso senza parlare, ed io avvertivo prezioso quel suo tacere che sapeva dove scovarti e strattonarti, lasciandoti traboccante di vita.
Si provava a casa di Salpi. Ricordo quel suo salone immenso e tutti quei libri che ormai non venivano più raccolti nella libreria ma ammassati sul pavimento aperti,  sfogliati, controllati.  
Pile e pile di libri che raccontavano di notti insonni trascorse in ricerche, lettura, solitudine. Un uomo determinatamente solo che attraverso la conoscenza, ed il teatro probabilmente, riusciva a comunicare con il mondo e con noi: scalmanati sognatori.
Era solitudine tangibile anche quel mondo di Sophia e la parte che Paola avrebbe interpretato come nessuno di noi avrebbe potuto esprimere.

"Sophia che tace è una denuncia. E' la sua voce in un mondo che non l'ha compresa e non la capirà mai, capite ragazzi? Dobbiamo trasmettere al pubblico il silenzio che morde più di ogni parola"

e noi dimenticavamo d'essere nel salone di un appartamento in periferia. Eravamo già teatro, eravamo le assi del palco, sentivamo i riflettori in viso e pareva già di non identificare volti e mani che avrebbero determinato, di scena in scena e di battuta in battuta, l'applauso a farci scoppiare il cuore oppure il silenzio d'una attesa che pareva dire - …non mi convinci, vai avanti -.

"Lasciate il mondo fuori, ragazzi. Il pubblico si aspetta di portare via con sé un pezzo di noi, vuole dimenticare gli abiti che indossa per entrare nei nostri a condividerci, amarci, odiarci. Lasciate il mondo fuori e studiate la vostra parte con la pancia e con il cuore"

era questo che Salpi ci ripeteva incessantemente ed alle sue parole quel cuore, chiamato in causa, saliva prepotente al petto come se prima di allora non fosse mai esistito, come se solo lui potesse farcelo riconoscere e finanche usare. Io guardavo i nostri volti rossi d'emozione. L'attenzione e la commozione ci rapivano a tradimento, trattenendoci uniti in un unico battere ed unico sforzo.
Lo sapeva, il nostro regista, e subito spezzava l'incanto con la sua voce perentoria:

"Andiamo avanti. Paola avrà poco da parlare nei panni di Sophia, ma voi dovete ancora imparare le battute e siete indietro. Olga, continua… ripartiamo dalla tua"

Io intuivo Paola innamorarsi sempre più della sua parte, di noi , del dramma e di Salpi.
Fantasticavo spesso chiedendomi quale sarebbe stato l'epilogo. Mi chiedevo se lui capisse, sentisse e ricambiasse Paola in quell'intimo trasporto.
Malgrado le tante serate di prova, le risate, le lacrime e la fatica, arrivò presto il giorno della prova generale in teatro, e come ogni volta quello era l'apice della condivisione. Il senso sospeso tra la paura e la soddisfazione, era la prova del  "davvero" erano le luci vere, le entrate musicali. Finalmente i costumi ed il trucco giusto a trasformarci in quello che nella finzione saremmo diventati.
Il silenzio di Sophia, nella bellezza di Paola e nei suoi gesti cesellati al momento, ci trascinava oltre le pareti di quel modesto teatro. Anche le sue brevi battute entravano in noi come neve leggera e silente.
Si era pronti.
Finite le rappresentazioni e le repliche, non rividi più nessuno della Compagnia. Cambiai città per lavoro e solo dopo mi resi conto di quanta passione avesse  lasciato in me quell'esperienza.  
Seguì la mia vita a scorrere ed un matrimonio frantumato in soli tre mesi.  
Ed ora questo incontro che mai avrei immaginato…
Una leggera stretta al braccio per attirarne l'attenzione e lo sguardo di Salpi,  nuovamente. In quei suoi occhi profondi ritrovai ancora Paola. Come non ritrovarla?

"Ciao Salpi,ti trovo bene…Che emozione rivederti! Ho pensato spesso a te, a tutti voi"

superato lo stupore, la sua voce di rimando era come la ricordavo: una carezza

"Anche per me è un piacere rivederti. Anch'io ho pensato molto a te"

e non potendo resistere, domandai con l'espressione più idiota che avessi mai avuto

"Tu stai bene? E con Paola… voglio dire, è poi successo qualcosa di bello?"

mi rispose con un sorriso incredulo

"Paola? Ma lei non voleva me… non hai mai capito nulla?"

fu valanga di rosso al mio cuore. Lava e macerie divelte, in sequenza ricordi e ancora magma incandescente a tramutarsi in nuova speranza. Poi alle labbra…

"Dimmi dove posso trovarla, se puoi"