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 Cammino

Andare in basso 
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Mario Ughi
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Mario Ughi


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MessaggioTitolo: Cammino   Cammino Icon_minitime21/10/2009, 13:00

Cammino per strada cercando di mantenere una postura eretta nonostante i continui capogiri e la sensazione che dal corpo fugga via tutta l’energia, scorrendo furiosamente verso il basso. Una sensazione di morte imminente. La paura si stringe violenta intorno al buco del culo; un tenace anello chiuso, attraverso il quale niente può passare. La tensione coinvolge la spina dorsale costringendola a raddrizzarsi e di conseguenza le spalle si estendono in fuori. La tentazione sarebbe quella di camminare curvo, gli occhi fissi a terra, perché l’orizzonte mi procura un senso di vertigine, ma non ci riesco. Devo stare eretto, guardando verso il vuoto con gli occhi sbarrati. Le gambe sono rigide, però io continuo a camminare, come deponendo in questo gesto la speranza di poter allontanare il baratro verso il quale mi sto dirigendo.
Dentro di me una voce urla furiosa. Mi dice che non ci lasceremo ricacciare indietro. E’ indispensabile raggiungere la meta prefissata, prima di concederci il lusso di tornare a casa. Ma in quanti siamo?
Provo potente il desiderio di appoggiarmi ad un muro, nella via trafficata, e mi impongo di non farlo. Attirare in questo modo l’attenzione degli altri equivarrebbe ad ammettere che qualcosa non va per il verso giusto. Che ho bisogno di attenzione e di cure. Preferisco evitare. Non mi caccerà indietro.
Continuo a camminare, e se non posso guardare in basso provo a distrarmi guardando intorno.
Nelle prime ombre della sera i negozi sono illuminati. Luci fredde che sbalzano i colori degli oggetti esposti, a ferire gli occhi. Libri. Dolciumi. Capi di abbigliamento.
Incrocio sguardi che scivolano su di me senza vedermi, prima di posarsi interessati e attenti sull’ultimo cd della band in voga, sul bambino che trotterella due passi avanti, sul culo inguainato a bassa vita della tizia alta e slanciata.
Non dovrei essere qui, in questo momento. Non vorrei essere qui.
Inizio ad intravedere la linea piatta dell’orizzonte, frastagliata da una quantità imprecisata di alberi da vela che si muovono ondeggiando al ritmo della marea, poco sotto. Le nuvole basse, l’ultima striscia aranciata di un sole che muore ogni giorno, nascondendosi.
Una luce rossa mi impone di fermarmi, un fiume di metallo si impenna all’improvviso di fronte a me. Poi prende a scivolare lento. Io resisto in piedi, col fiato spezzato dalla paura.
Quando si accende il sorriso verde sono l’ultimo a mettersi in movimento. Raggiungo la sponda del molo, mi siedo sopra una bitta, accendo una sigaretta. Il peggio è passato. Adesso, basta volerlo, potrò tornare a casa con un semplice e rassicurante senso di leggero sbandamento. Una slavatura nella vernice.
Le onde battono leggere sulla parete che scende a picco nell’acqua, contentandosi di raggiungere la linea di bagnato già marcata sulla pietra chiara. Onde gentili. La sera scende veloce a mascherare questo distacco tra materia, solida e liquida.
Queste pietre serrate l’una all’altra resistono al battere cadenzato delle maree da decine di anni, mi chiedo come facciano a sopportare il costante ritmo dell’onda che colpisce e arretra per colpire ancora. Senza crollare.
Un giorno dopo l’altro. Ogni giorno è la replica del precedente e la matrice del successivo.
Guardo il mio volto spezzettato e ricomposto sulla superficie dell’acqua in movimento, poi guardo verso l’orizzonte.
Ho bisogno di un mare in tempesta, di onde minacciose che mi portino veloce verso l’alto per lasciarmi poi ricadere, una danza vorticosa che costringa le sinapsi del mio cervello a liquefarsi per poi di nuovo aggregarsi in forme diverse dalle consuete, in schemi insoliti e dissimili dalla trama delle mie ordinarie emozioni.
Voglio un vento cattivo al quale resistere ad ali spiegate, per saggiare la forza e la tenacia del mio radicamento. Piegato in avanti a sfidare e tagliare le raffiche con la punta del naso, quale polena che indichi verso un nuovo mondo.
Chiedo una pioggia fredda che scivoli lungo la schiena per battersi con il serpente che si avvolge in tre spire, costringendolo a mutare pelle e risvegliando il calore per spingerlo poi a salire attraverso la colonna vertebrale, a nutrire il fiore.
Sole che secchi la terra del sentiero sul quale cammino, onde di calore nell’aria a mascherare le forme, rendendole liquide come lingue di fiamma che si muovono sinuose e veloci verso il cielo. Miraggi da scoprire concreti o illusori soltanto all’arrivo.
Un mare di neve da attraversare a piedi nudi.
E lungo il cammino lascerò cadere l’armatura che mi impedisce di muovermi agile e leggero, baratterò gli scarponi da montagna con calzature più leggere, mi siederò di fronte al fuoco di chi mi offra accoglienza, ascoltando il racconto di mille vite, e imparando la mia, la racconterò ospitando presso il mio fuoco chi abbia voglia e bisogno di fermarsi, di scaldarsi.
Schiverò con un sorriso beffardo il vento che passa veloce lungo la via, evitando di lasciarmi toccare.
E brucerò il magazzino dei giorni sempre uguali, che visto uno ne hai visti tutti, le mappe dei sentieri percorsi in affanno e in paura. Cattivo quando sarà necessario esserlo, veloce quando i tempi lo richiederanno.
Eviterò i familiari pensieri, ai quali il mio corpo reagisce con nausea e disgusto, mostrandomi il precipizio di una quotidianità che mi attira a cadere in una vertigine senza fine.
Una musica nuova nasce dal fondo dell’anima, un canto di guerra che devo accogliere e fare mio per vivere il sole e il vento e cercare e sfidare la burrasca. Perché la vita è una battaglia nella quale non si può stare al margine, non si può scriverne guardandola da fuori.
Spengo la sigaretta pensando come al solito che sarà l’ultima.
Dovrò ritrovare il fiato per correre di nuovo sul lungomare, lungo la linea di un tramonto che mi accolga, spingendomi ad andare sempre più veloce.
Mi incammino verso casa con soltanto un accenno di incertezza nei miei passi, ma un sorriso nuovo per luci e vetrine e persone.
Sto tornando.
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Daniela Micheli
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MessaggioTitolo: Re: Cammino   Cammino Icon_minitime3/11/2009, 21:21

Mi ha angosciato la prima parte. Molto. Mi hai trasmesso la disperazione e la forza.
Che mi fa pensare a quanto dolore c'è intorno e quanto è facile scriverne, quasi ad esorcizzarlo...
Ciao, Mario.
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