BRUTTO CAFFE'

Incipit tratto da “Tutti i racconti – Je ne parle pas francais” di Katherine Mansfield

Chissà perché questo piccolo caffè mi piace tanto. E’ sporco e triste, triste. Se almeno qualcosa lo distinguesse da centinaia di altri: macché.


Niente lo rende diverso: stessa aria trascurata, tavolini con il ripiano di marmo segnato da decine di caffé sorseggiati da sconosciuti avventori che qui depositano variegate porzioni di vita; odore antico di forti sigarette fumate tra un’attesa e una partenza; impronte fangose di piedi irrequieti che striano il pavimento reso grigio dall’incuria di chi se ne dovrebbe occupare.
Eppure mi piace. Sarà perché posso mimetizzarmi con il grigio del marmo e del pavimento, o posso far finta di essere uno dei tanti cerchi di caffé sul marmo e immaginare di essere cancellata da uno straccio sudicio passato con indolenza sul tavolino. O forse riconosco nell’aria triste della ragazza l’espressione del mio viso rimandata dall’antico specchio lurido posto di fronte a me; la osservo mentre cammina trascinando sul pavimento opaco i piedi calzati in brutte pantofole e serve stancamente il caffé ai tavoli.
Ecco, questo è il mio posto, sto bene qui: giusta cornice per pensieri che odorano di stantio, di cose usate e lasciate
In un angolo c’è un piccolo albero di Natale, misero in verità: le poche luci intermittenti non riescono a rendere meno tetro l’angolo che tentano di rischiarare. Quell’alberello fa ancora più tristezza, dovrebbe rendere allegro il Natale e invece lo deprime. E’ l’immagine del mio Natale che anche stavolta non porterà nulla.
No, mi sbaglio: invece mi porterà l’ansia dell’attesa di te, lo sbirciare ansioso la pagina delle e-mail che non arrivano, l’impossibilità di fare altro che attendere un tuo cenno di presenza nella mia vita, il giorno di Natale.
Ed era circa Natale tempo fa, quando ti ho incontrato in un posto come questo, due avventori annoiati in attesa di chissà cosa. Il tuo sguardo infastidito, il tuo modo di appoggiare il gomito sullo schienale della sedia, la sigaretta stretta fra le due dita, gli occhi leggermente socchiusi mentre aspiravi il fumo e quell’aria strafottente e sorniona: immagini incise nella mia mente. Natale!...
Nella squallida banalità di questo posto mi riconosco e vivo: finalmente non devo nascondermi, sono perfetta qui, attrice di uno spettacolo andato troppe volte in scena; e niente di meglio che questo pavimento come palcoscenico per la mia recita di Natale.
Non sono previsti applausi per me che ho creduto di cambiare la rappresentazione usando abiti che non mi appartenevano: cercare di strapparli di dosso a chi li indossava mi ha fatto ritrovare il giorno di Natale senza veste per festeggiare…. ma mi consola pensare che senza veste forse non c’è neanche Natale.

Buongiorno Zietta.
Felice di trovarti qui stamattina.

A proposito di caffè io già sono a quota 4 .....

Credo che i locali pubblici sono semplici contenitori atti a contenere. Appunto.
Sono gli avventori a farne qualcosa di speciale, i personaggi che ci incontri, quello che ci succede dentro edecco che il "tuo Caffè" per esempio, diventa un pezzo di vita, inizio, fine o transito decisivo di una storia.

Quando hai scritto questo, ancora non era uscita la legge Sirchia. Vero?

... scordavo.
Bello l'avatar... fiabesco che fa molto Peter Pan

Mi ci ritrovo nella tua pagina. Mi hai fatto tornare in mente i barrettini (forse è più corretto "barettini", non lo so, qua si dice così) della mia città, tanti anni fa.
Non erano il pub all'inglese, ma erano sicuramente un punto d'icontro, una valvola di sicurezza quando la casa ti andava stretta, un rifugio sicuro negli inconludenti adolescenziali pomeriggi sfigati (non nel senso della fortuna).
Luoghi tutti molto simili a quello di cui parli nel tuo scritto. Un flipper traballante, l'immancabile juke box (quell'anno lì, uno a caso, mi ero fissato con The Year of the cat), in quelli più importanti il biliardo col panno segnato da innumerevoli cicche dimenticate. E quei tavolini rotondi, di fòrmica colorata, col bordo di alluminio e tre sole gambe perennemente instabili, che quando li spostavi sembrava che scannassero un gatto nel retro bottega. Te li ricordi? C'era sempre un posacenere del Cinzano, sopra, ovunque, in tutta Italia.
Oggi di quei baretti lì sono spariti quasi ovunque, fatto salvo qualcuno che ancora resiste. Ma come dici tu, sono di un triste che nemmeno la meglio (anzi... la peggio) saudade caraibica potrebbe accompagnare.
Il fatto è che i ragazzi sono sempre le stesse persone di allora, il barista lo stesso, anche se il bar è passato di mano decine di volte. Ma quel che è peggio è che la morona moglie del titolare è sempre lei, ma ormai c'ha sessantacinque anni. Prima si doveva difendere da sola dai lazzi dei ragazzi, ora la difende la natura.
Bellissima pagina, la tua.

grazie Marco, contenta ti sia piciuto l'avatar

Giampiero, felice di averti portato dei ricordi!
grazie per l'apprezzamento

I barrettini sono spicchi di vita, guardare gli avventori è come leggere un libro. Si vede la loro vita scritta nel vestito, in ciò che mangiano e come lo addentano, con quale stile bevono il caffè....eccetra.
A dire il vero qualunque luogo dove si ritrovino più persone è un libro diverso e intenso.
Dei barrettini, ricordo a volte l'odore dei cappotti bagnati di pioggia, un odore triste di freddo e disagio, ma a volte la pioggia era primaverile ed aveva un odore diverso, come di gioia o di attesa.

Bisognerebbe dare un nobel per la letteratura collettivo alle migliaia di bar, baretti, taverne, saloon e simili che hanno ispirato della buona, a volte ottima, scrittura.
Fonte inesauribile d'ispirazione, hanno attraversato i secoli cambiando volto ma non anima: le persone entrano coi loro problemi, le loro storie, i loro drammi e diventano personaggi, a volte indimenticabili.
Brava zietta, a continuare in questa tradizione con ottimi risultati.

Esce una zietta ed entra una Paoletta...
E' stato un bel regalo incontrarti, Paola, te e quella peste di Ardengo

Eih, ma non è giusto. Avevo postato un commentone di stampo brechtiano e mo non lo vedo?
Way?

La vita di uno schiavo operaio a costruire acquedotti per la goia scomposta dei frequentatori delle terme, che ne è rimasto a memoria? E quella di un giovane contadino medievale di qundici anni morto a soldataglia del suo padrone e signore sul campo di qualche inutile battaglia? Chi mai ne scrisse. E di tutti quei carbonai che scaldarono il freddo inverno di Parigi, nessuno tracciò mai uno schizzo d'anime annerite con un tizzone sulla liscia parete d'un palazzo? Mio nonno, e forse il tuo, il suo, medaglie d'oro buscate sul fronte del Carso, chi si ricorda più di loro che ci consegnarono quest'Italietta ingrata, dura da gestire? Quante vite passano apparentemente gettate al vento, quante ne son passano dietro al banco di un baretto di periferia. C'è una storia nel morso di un cornetto o nel frullare lo zucchero di un caffe ristretto in tazza grande?
Scusate, l'ho postato io nella pagina sbagliata! che F...

Giampiero Pieri ha scritto:

Eih, ma non è giusto. Avevo postato un commentone di stampo brechtiano e mo non lo vedo?
Way?

guarda che è là in cima!

Daniela Micheli ha scritto:

Giampiero Pieri ha scritto:

Eih, ma non è giusto. Avevo postato un commentone di stampo brechtiano e mo non lo vedo?
Way?

guarda che è là in cima!

Lo so, l'ho recuperato da un'altra pagina dove l'avevo messo per sbaglio.
meglio che vada a far qualcosa di utile, va'!

Giampiero, mentre vai a fare cose utili, passa a prenderti un caffè in un BEL CAFFE'. Ne troverai uno già pagato da me!

Il tuo caffé... ed i cerchi sul tavolo. I segni di una vita, bella o brutta che passa. E i mille pensieri che si attorcigliano intorno a quei cerchi. Poi a volte bastano due occhi ed anche l'inganno del tempo si ferma. Ciao, quelle due alette sulle spalle ti stanno proprio bene..

sono perfetta qui, attrice di uno spettacolo andato troppe volte in scena;
A volte esco da sola e mi fermo in un bar simile a quello descritto così bene da te.
Divento una spettatrice seduta in ultima fila, invisibile ma attenta e guardo la vita passare da quel bancone datato, sorseggiando un aperitivo in silenzio. Faccio finta di leggere il giornale e mi guardo intorno, felice di essere anonima.


Bella la tua pagina.