Non ho più occhi per te
che mi rigurgiti dentro,
rinnego il corpo che ti chiama
e gli rammento il fango
lasciato sull' ombra sua
dopo maschere d'amore
subdolamente celanti
la fame cruda del tuo fine unico.
Parole umiliate dalla menzogna,
buttate lì a riempire il tempo
da ipocrita mendicante
di ciò cui non sai dar valore;
tu involucro firmato arroganza:
prendere è meglio che dare,
essere amati meglio che amare,
alibi in prestito dalla banalità.
Scacciarti dal mio inferno
è ormai scopo abituale,
il che decreta la mia sconfitta;
mi consumo potando emozioni,
per disinnescare sentimenti
pericolosi quanto mal posti,
e rifiutando ciò che tossicamente desidero;
ma trovo la giusta prospettiva, salvifica:
e lo chiamo Dignità, questo silenzio che mi accompagna.
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