II – La crisi.
Il giorno di quell’undici di marzo,
che vide il condottier defenestrato
dal luogo del successo e dello sfarzo,
è parto del destino che ha portato
il bel diamante ad ire in vile quarzo.
Ognuno, da quel giorno, ha paventato
il Male aver pervaso tutto quanto,
lanciando la Virtù verso lo schianto.
Accusa Madrigali un vile affare,
ordito dai suoi primi cortigiani;
non esita per questo a vendicare
e mina della squadra tutti i piani.
Messina è ‘sì costretto ad osservare
il frutto di sua mente e di sue mani
passar sotto il controllo del suo vice,
con rabbia che la bocca sua non dice.
Del Re l’ira s’abbatte su Roberto,
esempio non discusso e presidente
che sempre il condottier avea coperto,
tutela del futuro e del presente
con cui si riteneva essere certo
la Virtus rimanere pur vincente:
la collera del Sire non fa sconti
nemmen per il divino Brunamonti.
Ma rïendo dal disastro marchigiano,
pretesto del fatal siluramento,
sorprende tutti quanti il fatto strano
del popolo in total sommovimento.
Ribelle ad un cotal colpo di mano,
infertogli alla fede e al sentimento,
insorge contro l’empio il gran Palazzo
gridando esser’il Duca solo un pazzo.
E mentre di Trieste si fa strame
la mente del Monarca il baco accoglie:
il vertice riunito del reame,
con Lui la figlioletta e pur la moglie,
ritorna sull’editto tanto infame
e quel che ha dato subito ritoglie:
l’esercito a Messina torna in mano;
e pure si rinsella il Capitano.
Ma tal provvedimento è solo schermo,
chè il Sire resta chiuso nel sospetto
e il polso di chi guida non è fermo,
avendolo chi paga in gran dispetto.
Non sbaglio a posteriori se v’affermo
la nave esser mutata in vaporetto,
il dì che il comandante giubilato
fu, per voler del volgo, restaurato.
E’ colpa dei monarchi l’ignorare
il merito dei prodi ed il talento
che il suddito, per media, sa vagliare.
E quel che ad uno solo riesce a stento
la massa invece ben sa valutare,
chè d’occhi e d’intelletti conta cento:
se sbaglian tutti quanti non è niente,
se sbaglia un uomo solo è un deficiente.
Rovina, fallimento e distruzione
ai regni degli umani serba il Fato,
sorpresi senza alcuna prevenzione
fra il vertice assoluto, dallo iato,
con tutta quanta la popolazione:
rivolta contro il re tutto lo Stato
ed ogni nuovo editto venga imposto
ottien sicuramente effetto opposto.
I segni sono pronti della crisi,
sebbene li nascondano i campioni;
perfino a Fabriano siamo uccisi,
e gèrminano mille situazioni
per esser finalmente un poco irrisi
da chi fu bastonato in più occasioni.
I verdi ci violentan da gradassi
per via d’Emanuel che fa tre passi.
Il tonfo principal avvien di maggio,
nel giorno in cui, a Fèlsina, si tiene
la sfida che d’Europa assegna l’aggio
fra i nostri ed i campioni dell’Atene.
La Virtus gran dilapida vantaggio,
con colpa di Messina, si sostiene;
infin la coppa vola in altro loco
e l’onta nella reggia attizza il fuoco.
Non resta che lottar per lo scudetto.
L’esercito, fiaccato nel morale,
condotto da grand’uomo ora costretto
a mettere i gallon da caporale,
affronta gli avversari a rango stretto
ma cede nella mezza di finale.
Conclusa malamente la stagione,
il Sire predispone il ribaltone.
Chi resse nelle idi all’ira prima
or sa di non poter più contrastare
volere di colui che non ha stima
dell’uomo che l’allor sa meritare.
Roberto nella lista è sulla cima,
ed ei a sua region deve tornare;
Messina, che il destin ci fa diviso,
s’impalma col nemico di Treviso.
(segue nei prossimi giorni)