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 La Virtus Tradita - parte quarta: la speranza.

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Sandro Theta
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MessaggioTitolo: La Virtus Tradita - parte quarta: la speranza.   La Virtus Tradita - parte quarta: la speranza. Icon_minitime9/12/2009, 15:19

IV – La speranza.

I fatti che susseguon tale evento
son frutto di lagnanze, grida e rabbia;
ribolle fra le genti un gran fermento
che invocan per il Duca fiera gabbia.
Si cerca intorno a sè chi sentimento
e voglia di lottar ancora abbia:
fra tanti è solo un certo Sabatini
che sembra voler metterci quattrini.

La trama di convulsa trattativa
che vede gran transare fra persone,
s’assolve in breve volger dell’estiva,
e quel che in mesi interi fu illusione
diventa realtà, e quindi arriva
la luce sulla grama situazione.
La Virtus è per debito radiata,
seppur in prospettiva risanata.

Porelli, che Grand’Uomo fu del Regno,
appronta d’impugnare quel verdetto,
chè desso a fronte il mondo è certo degno
di sostener dell’empietà rigetto.
Dall’alto vien per lui benigno segno
ed egli al Gran Consiglio fa prospetto;
s’illude che il giudizio sia di saggi
e non di vili servi, ladri e paggi.

Destino di Vu nera è invece scritto,
chè di nemici là, ne conta mille.
Non serve poi sapere di diritto
e discettar in imo di postille,
se il voto di chi puote va in affitto
e il giudice supremo è un imbecille.
Bilancia di Giustizia muta in ruota
se il primo fra i giurati è puro idiota.

Affossa il tentativo quel consesso
di consiglier ridicoli e cialtroni,
che fanno di favori orrendo amplesso.
Non conta che per ciò ricevan doni
o tanti di vantaggi abbian complesso:
s’innalzano sul seggio da Catoni,
ma sono miserevoli sensali
che forza fanno a sè come sodali.

Lo scettro del reame devastato
ritorna nelle man di Madrigali;
quel ch’avvi nella Virtus di pregiato
è preso dai nemici, come squali,
che vollero verdetto scellerato
per far saccheggio e stupro senza eguali.
E mentre si violenta un sentimento
spalancasi il burron del fallimento.

Vergogna dell’uman è di godere,
ricco gigante divenir piccino
e povero d’un lampo, nel vedere;
ma quel che fa di lui ben più meschino
è maggior gusto in ciò se, nel cadere,
il misero a sè sta più vicino.
Fra tutti chi più ride in trama immonda
è quello che sta lì, sull’altra sponda.

E l’onta ancor più grave pel cugino
è fare sul delitto mercimonio,
träendoci dal nido quel pulcino
prezioso, nel modesto patrimonio.
Fin questo costa il genio del Cretino,
di falsi e di scemenze re di conio:
l’azione di codesto deficiente
ci lascia nella reggia men di niente.

La Virtus d’ogni cosa resta senza,
a fronte d’una somma di reclami
pei quali non si trova d’or essenza.
Son vani dell’Idiota i gran proclami
e certa sembra quindi la sentenza:
crudele fu pronunzia degli infami,
si pensa debba essere finale
il motto del sereno Tribunale.

Adesso che Giustizia si fa vera,
in testa misteriosa del Demente
palesasi l’idea di cella nera,
per lui e per la figlia indisponente.
Commercia, d’ogni giorno oltre la sera,
per colmo far il suo conto corrente
e, poco pria dell’alba della morte,
si firma quel che inverte cruda sorte.

Un uomo con due donne a rango stretti,
nel buio della notte, in ora bassa,
a tergo della statua di Minghetti.
L’imperator che fu, così trapassa,
sparendo dalla lista degli eletti,
in piazza del Palazzo della Cassa.
È dessa la padrona della Gloria
che salva dalla fine la sua Storia.

Al popolo meschino vien offerto
un tristo simulacro della fede,
però tal’è ‘l travaglio che ha sofferto
che più di quello ch’è, d’aver non chiede.
In bassa lega posta, a strano merto,
la Virtus cammuffata infin risiede;
sfidandoci avversari sconosciuti
viviamo d’affamati un dì pasciuti.

Non esser vero sembra il Gran Torneo.
Colà, senza la Vu, l’altri fan giostra,
e pur sanno d’aver nell’alma ‘l neo
d’aver tolto gioiello a bella mostra,
ponendo in luogo suo finto cammeo,
non degno della teca che fu nostra.
E’ giusto definir il campionato
dicendo che fra tutti è asteriscato.

Pensier d’avere un dì la Virtus Vera,
che l’avversario al legno sempre rulla,
è sogno che rapisce ad ogni sera
ed ogni altro disir in lampo annulla,
chè träe anima nostra la Vu nera
più forte dell’umor d’una fanciulla.
Felici tornerem, mirando alloro
un giorno coronar la stella d’oro.


(fine)
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