ASSENSO - SUSANNA COSTA

“La nostra è un'epoca essenzialmente tragica, perciò ci rifiutiamo di viverla tragicamente.”

Alzo gli occhi dal libro e fisso un punto indefinito davanti a me.  Il mio sguardo spazia oltre la piccola corte, nella quale sono disposti i tavolini del bar dove mi sono fermata a bere una bibita fresca.
La calura estiva non dà tregua in questi giorni in città così, quando mio marito mi ha proposto di trasferirci in collina ho accettato di buon grado anche se il paese, splendido con i suoi palazzi del trecento e le botteghe antiche non offra poi molte distrazioni.
Abbasso gli occhi di nuovo sul libro, vorrei leggerne ancora, pur conoscendone quasi a memoria ormai, le pagine consunte dal tempo e dall’uso.
Qualcosa però mi costringe a desistere dal mio intento e mi rendo conto che quel qualcosa é uno sguardo insistente che mi sento addosso.
Occhi scuri e sorriso attraente su un viso irregolare, il corpo mollemente abbandonato sulla sedia di metallo del tavolino di fronte al mio. La gamba destra accavallata sulla sinistra con noncuranza, racconta di un uomo che si trova perfettamente a suo agio mentre continua a sorridere ad una perfetta sconosciuta.
Fa un cenno indicando il libro che continuo a tenere in grembo ed anch’io lo guardo. Rialzo gli occhi e lo trovo lì, ad un passo da me. Non attende consensi, si siede al mio tavolo e attira l’attenzione del giovane cameriere per ordinare un caffè.
“Un bel classico”.
La voce pacata e senza alcuna inflessione dialettale, si rivela calda e piacevole e il suo odore è quello classico della lavanda. Non so perché ma penso ad un binomio perfetto. Anzi, penso che se sommo il sorriso, gli occhi, la corporatura e tutto il resto non è solo un binomio: è un polinomio di elementi perfettamente elevati al quadrato.
Parliamo un po’ e mi racconta di avere acquistato la vecchia torre quadrata che sovrasta la piazza del paese e dei lavori di restauro intrapresi che andranno avanti fino ad autunno inoltrato.
Lo guardo mentre parla e decido che mi piace. Ho sempre pensato che le persone debbano piacere “a pelle” e a lui permetterei di usare tutta la mia pelle in questo momento.
Non trovo quindi strano seguirlo fino alla torre quando mi chiede se sono interessata a vedere di persona i lavori di ristrutturazione.
Paga le consumazioni tirando fuori una manciata di banconote dalla tasca. Credo di intuire che abbia un rapporto di noncuranza con il denaro. Ma è solo un pensiero fugace. Non riesco in realtà a staccare gli occhi dal suo corpo e questo mi sta mandando in confusione: lui e il suo profumo.
Sto desiderando che mi tocchi.
Voglio che mi tocchi.
Lo penso e, accade: tocca la mia spalla mentre mi invita ad entrare dopo aver aperto il vecchio portone in legno della torre.
Le voglio ancora quelle mani addosso, adesso.
Sembra quasi che legga i miei pensieri e mi accompagna stringendomi il braccio.
E’ un silenzio asciutto quello che ci accompagna lungo sale e corridoi. I vetri antichi delle immense finestre che illuminano gli ambienti riflettono le nostre figure vicine.
Mi giro e lui ancora sorride. La mano scende sul fianco e la stoffa leggera del vestito lascia passare calore. Davanti ad una porta si ferma. “Chiudi gli occhi, aspettami qui, ti fidi di me, vero?” Sorride ancora e io rispondo di sì, mentre chiudo gli occhi appoggiandomi allo stipite. Mi gira e mi lascia per poco. Torna, lo sento alle mie spalle, sento il suo respiro mentre qualcosa di leggero e impalpabile cala sui miei occhi. Mi sta bendando. Non riesco a dire nulla. Non voglio sapere cosa accadrà. Lascio spazio alla sua immaginazione che sento, da quando ci siamo visti, è anche la mia. Voglio sentire le sue mani frugare ogni angolo di me. “Vieni”, mi dice. E’ poco più di un sussurro la sua voce, ora.  Percepisco il suo profumo nella stanza in cui siamo. Le sue mani sono tutte e due sui miei fianchi ora e accarezzano lievemente le gambe, si insinuano sotto il vestito, salgono.  Provo vergogna nell’essere già così pronta, così languidamente persa e sciolta solo per essere stata accarezzata “al buio”. O forse è proprio questo “buio” che lui ha voluto per me che mi eccita.  
“Non hai bisogno di vedere, guardami con gli altri tuoi sensi, godimi con tutto ciò che nascondi nella sensualità della tua mente”.  
Il suo respiro caldo sul collo si mescola a queste parole, stravolge definitivamente tutti i miei pensieri.
E’ vero. Riesco a sentirlo di più e non ho paura di questa situazione insolita. Ho desideri nascosti che si affacciano e mi rendo conto che non esistono freni inibitori in questo momento, che ho voglia di lui e basta.
Allungo le mani per toccarlo e mi accorgo che ha sbottonato completamente la camicia pur senza toglierla. Tocco la fibbia fredda della cinta, ci gioco, la slaccio. E sfilo uno ad uno i bottoni dei jeans che indossa e che sento poi cadere ai nostri piedi. Va via anche il vestito che indosso. Lascio ora che siano le sue mani a guidare la mia testa sul suo petto. Ne odoro la pelle centimetro per centimetro e sento il suo respiro farsi più forte quando comincio a baciarlo, seguendo il percorso impazzito che mi porta a scoprire il suo corpo. Mi inginocchio e non mi fermo, non mi fermo finché non arrivo al suo desiderio già pieno, già pronto per me. Lui raccoglie i miei capelli in una mano, mentre con l’altra esplora i miei seni con tocchi leggeri, soffermandosi a disegnare l’aureola più scura, regalandomi un dolce tormento sfiorando i capezzoli una volta, due volte, cento volte. Mi tira dolcemente su senza lasciare i capelli, bacia ancora il collo, le spalle. Mi gira, deciso. Lo sento liberarsi del mucchio di stoffa che sono i nostri vestiti restati sul pavimento con un movimento leggero del piede. Si muove, mi muove. Pochi passi e tocco il muro. Lo tocco con tutto il corpo, ne avverto il freddo mentre lui dietro di me preme, mi cerca, scopre il miele tra le gambe e mi assaggia.
Toglie la benda, mi guarda, ed affonda. Mi prende così. E’ una danza decisa dei fianchi che misura la voglia che sale nel ritmo e che infine esplode, per donare l’oblio che abbiamo pensato, desiderato, voluto.  
Il fascio di luce indiscreto che filtra dall’imposta accostata ci trova intrecciati su un letto disfatto che sa di lavanda, di sesso, di noi.
Mi alzo e mi rivesto in silenzio, lo guardo mentre ancora mi guarda. I nostri occhi non si lasciano ancora.
Lo bacio prima di andare.
Una volta in strada il tramonto mi regala un’aria più fresca rispetto a quella di poche ore prima.
Il tragitto verso casa è lento, non ho fretta stasera di arrivare.
Quando apro la porta, la voce cara di mio marito mi accoglie. Lascio le chiavi della macchina sul mobile basso all’ingresso e, accanto ad esse il libro che stavo leggendo.
Già letto e riletto ma, non posso fermarmi, non è giusto per me, non è giusto per la vita che avrei.
Uno stupido incidente di macchina ha segnato in modo tragico l’uomo che amo profondamente, devotamente. L’uomo che adoro e che mi adora.
“Sei tornata Lady?” Il rumore del piccolo motore della sedia a rotelle mi anticipa il suo affacciarsi sulla porta dello studio. “Come è andata, tesoro?” Mi chiede. Poi mi guarda e sorride. “No, non c’è bisogno che tu mi risponda, sai? Hai due occhi stupendi stasera, doveva essere qualcosa di veramente speciale. Il suo nome, anima mia? Qual’era il suo nome?”. Mi chino a baciarlo. “Angelo, amore mio. Angelo Ravagli.”