Il colore dei tramonti invernali, quelli che fanno sperare in un buon tempo per il giorno dopo, il colore del sangue, dei volti stravolti da fatica, rabbia o passione, di rose profumate e selvatiche, di Ferrari imprendibili, di ideologie che uomini indegni hanno tradito, dell’organo principale del corpo umano, di bacche, di tetti di case e di chiese, di occhi stanchi o fumati, di rubini, stop e luci di posizioni a formare magiche scie sulle foto notturne, di segnali di pericolo o divieti, di messaggi d’ errore, di papaveri nel grano che si colora d’oro a maggio, del fuoco che brucia in un camino o in campi di sterpaglie di grano.
Ed il rosso in Maremma ieri era più rosso.
Rosso come il vino di Silvano.
Lo dovreste vedere, lo dovreste assaggiare.
Poteste tagliarlo con un coltello per dividerlo, e, se cade, non esiste detersivo o detergente. Indelebile.
Ce l’ho qui. Annata 2009.
Ha fatto il viaggio di ritorno con me.
E c’era anche il sole in Maremma. Ed il verde del grano e degli olivi.
Quella strada che so a memoria, quella degli autovelox e dei butteri, della malinconia che prende quando sto per arrivare. Quella che ormai da anni faccio da solo.
Questo vino qualcuno lo ha definito Morellino per via della vicinanza con Scansano, altri lo chiamano Rosso di Montecucco, per me è il Rosso del Granaione.
Lo avevo detto a Silvano a novembre: “Ma come cazzo fai a fare ‘sto vino?”.
E lui mi aveva sorriso riempendo i boccioni.
“Bevi Marco, bevi, Madonnina bona”.
Ce l’ho qui. Ieri la Giovanna mi ha dato il solito boccione.
Bevo e sento lacrime, e sudore, mattine fredde per potare, mattine calde a togliere le foglie per far prendere il sole a quei grappoli appena nati, e sento le bestemmie, le imprecazioni e strade polverose e odore di letame.
Un altro sorso, e ti penso.
Cazzo. Come è possibile che il tempo passi così in fretta?
Quante vendemmie hai fatto?
Così ad occhio 80, non so a che età hai cominciato, ma era dura.
Parentela? Sì il cognome è lo stesso, uno zio di primo grado, secondo, terzo non lo so, per me è sempre stato qualcosa di importante, da quando ero bambino ed andavo in quelle terre dimenticate da Dio insieme a mio padre che lì era nato.
Ma tanto, Silvano, tutto sta per finire: terre, vigne, vitelli e vacche, e feste sull’aia, e grano e fieno, biada ed orzo, i giovani non ci stanno, studiano per un lavoro che non si trova e l’ ENEL che viene a chiedere la terra per poterci costruire pannelli solari ed eolico, lo stato ad espropriare terreni per la superstrada, ed il grano che mieti te lo pagano a 14 Euro al quintale, ed un kilo di pane costa 3 euro quando sei fortunato. Mezzo chilo di spaghetti 90 centesimi. E la carne? Ed il latte? Eh già, bisogna buttarlo, darlo ai maiali, farlo sparire…
Quante ne ho sentite in questi ultimi anni, e tu imperterrito, vigna-vacche-grano-olive.
Ce l’ho qui, certo mica è lo stesso bicchiere di prima, è un altro e non sto bevendo da solo, o forse sì.
Però, cazzo Silvano, una cosa te la devo dire.
Io lo sapevo che non stavi benissimo, però non a questo punto.
E così in silenzio, piano piano senza disturbare nessuno, senza dare a vedere te ne sei andato da questo mondo di sabato sera.
Mi mancherai Silvano.
E a tutti mancherà quel mondo che tu ed altri avete popolato, accudito, lavorato, coltivato e governato e che vi ha arricchito solo di cicatrici e rughe.
Noi ci arrangeremo. Forse.
Finisco il vino come al solito, alzando il bicchiere e pensando a qualcuno.
Stasera, per la prima volta, è per te.
Ciao.