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 La terra degli aranceti

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anna mininno
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anna mininno


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MessaggioTitolo: La terra degli aranceti   La terra degli aranceti Icon_minitime25/3/2010, 01:09

Sono in ritardo, ma ho voglia di parlare di mio padre.
Oggi, 25 marzo 2010, egli avrebbe compiuto 105 anni.
Auguri, papà!

La terra degli aranceti

Sono di origine contadina. Lo furono i miei nonni, gente semplice, dignitosa e anonima, e altri miei progenitori.
E lo fu anche un lontano parente di mia nonna paterna, certo Paolo Tonti che, in più degli altri, contava estesi possedimenti e all’inizio del XIX secolo aveva potuto destinare parte della sua rendita per la costruzione della Cattedrale di Cerignola, nella piana della Daunia.
Nella mia genealogia ci sono prelati, filantropi e aristocratici per elevatezza di pensiero, ma anche, e in tempi più recenti, commercianti e industriali.
“Una schiatta patrizia, e pure popolaresca, antichissima e pure ancora giovane…qua mescolata con la folla, là distinta per onorande imprese…non ancora perdette la caratteristica impronta che porta dall’origine, tanto le fu stampata in fronte“.
Recita esattamente così lo stralcio di una specialistica ricerca araldica.
Ma questo poco importa, poiché la mia è una comune storia d’amore. Forse unilaterale. Forse no. O forse soltanto un punto di vista. Ma, di sicuro, è una storia fra tante e infinite altre nelle quali si leggono i comuni temi della vita: amore, guerra, morte, destino e via discorrendo.

I miei genitori svolgevano attività di altro genere e, tuttavia, collegate al mondo rurale.
Mio padre era uomo garbato, mite, di sani principi, molto riservato e legato alla terra.
La sua morte, all’età di ottantatré anni, mi spezzò il cuore, lasciandomi intatte le radici.
Come spesso diceva mia madre, la morte vuole l’occasione. E per lui, vacillante a causa di un femore rotto, l’occasione arrivò nel balcone di casa ed esattamente su un vaso di fiori, che gli procurò un’inarrestabile emorragia interna. A nulla valsero quindi le numerose trasfusioni di sangue che, in precedenza, più volte erano servite a fermare la melèna da ulcera perforata, e a salvargli la vita.
Da anziano mio padre era irrequieto come un bambino e amava andare in giro, convinto che quelle evasioni servissero per riscattarlo dai tanti anni di reclusione da lavoro.
Dopo essersi ripreso dall’immobilità per la rottura del femore, non potendo sostenere lunghi percorsi, egli andava in giro in automobile accompagnato dal signor Pipino che gli faceva da autista, poiché noi figli eravamo sempre molto impegnati a difendere il nostro presente.

Quella sera del 13 aprile, lasciai l’ospedale verso le ore 23.00.
Mio padre sembrava riposare tranquillamente, in posizione fetale, sul fianco sinistro e il viso rivolto verso la parete.
E, comunque, era assistito dal suo infermiere personale.
Nel tardo pomeriggio, con voce flebile mi aveva sussurrato di sentire il sangue fluirgli a fiotti. E mi era parso che ne fosse contento.
Ripensandoci, avrei cercato di capire se quella sua condizione visibilmente felice fosse, in realtà, determinata dalla necessità di liberarsi di quanto ormai non era più nell’ordine delle cose, al fine di una dimensione soprannaturale, divina, o altro. E mi sarei persino chiesta se in ultimo egli avesse davvero avvertito l’esilarante esperienza della morte, piuttosto che vivere il passaggio naturale e dolcissimo tra l’essere e il non-essere così, semplicemente, come succede quando si passa dallo stato di veglia al sonno.
Pensandoci ancora e nel buio di una risposta, avrei poi rivisto quegli interrogativi riducendoli a un mero e consolante artifizio della mente.
Nelle stesse ore e nella sua apparente lucidità, egli aveva ripetutamente chiesto di poter andare in cucina. Ed io non ero riuscita a cogliere il senso di quella richiesta, né avevo saputo spiegarmi perché avesse tentato di farcela da solo, mettendo più e più volte e di forza i piedi fuori dal letto.
“Era per il suo addio alla Terra”, sarebbe stata poi la convinta e lapidaria spiegazione di mia madre.

Verso mezzanotte arrivò la telefonata che non avrei mai voluto ricevere.
E, un’ora dopo averlo lasciato, ero di nuovo da lui.
Gli intimi: mia sorella, mio fratello, mio cognato, mio marito ed io eravamo da lui, in quell’ospedale buio per la notte e per il dolore.
La mamma, ignara, era a casa e dormiva rannicchiata in un cantuccio del suo letto dove la trovammo, sola e vulnerabile, quando poi fummo costretti a svegliarla e a comunicarle l’accaduto.
Sì, rividi mio padre dopo appena un’ora.
Indossava il suo pigiama a righe e la papalina ben calzata sulla sua bella testa di uomo perbene, esattamente come quando l’avevo lasciato, e sembrava dormisse serenamente in posizione fetale sul suo fianco sinistro.
Nulla era cambiato, ma lui non c’era più.

Da ragazzo mio padre andava a mestiere.
Aveva cominciato così ad apprendere l’arte della molitura, che gli avrebbe permesso di fare il mugnaio per oltre cinquant’anni.
Durante il tempo libero si dedicava, invece, alla passione più antica, la coltivazione dei campi, per la quale toglieva tempo al sonno e un po’ anche alla famiglia.
Quando ero bambina, egli possedeva un uliveto ricco di piante secolari, dalle quali ricavare olio genuino e prelibato, e dove si contavano anche alcuni alberi da frutta.
Tra questi si ergeva maestoso un vecchio albero di albicocche, le prime della stagione, allora per nulla contaminate e squisitamente morbide e profumate. Ed io sentivo che mi carezzavano il palato e m’inebriavano di piacere mangiandole a bocca piena, sotto l’albero o a casa, sempre e in ogni caso per soddisfare la mia ormai invereconda ingordigia.
Ogni anno, prima che la lunga estate divenisse secca e torrida, ve n’era una gran quantità in quel podere di famiglia, che si trovava verso un’ambita località di mare, tempio di cultura e dolce vita, e abbastanza lontano dal paese.
Dal mio paese, situato al confine orientale della Fossa Premurgiana e quasi a un tiro di schioppo dal Castel del Monte, l’ottagonale castello medievale ora effigiato sul centesimo di euro e che fu presunta residenza di caccia al falcone e vanto di Federico II di Svevia.
Erano gli anni ‘50 e si andava in contrada Casalicchio con il motom, un Ducati 60 rosso e nuovo di zecca che, tra i primi nel quartiere, mio padre aveva acquistato per permettersi una mobilità autonoma e veloce.
Gambe scoperte sotto il corto gonnellino e cavalcioni del sellino posteriore, io mi aggrappavo al torace di mio padre, stringendo forte al braccio un pesante paniere ricavato dai virgulti d’ulivo e tipico della mia terra. Quel paniere sarebbe poi servito per riporvi i frutti vellutati e nutrienti che io stessa, in gran parte, avrei spudoratamente consumato.
E capivo che si stava per arrivare quando scorgevo in lontananza l’imponente e bianca muraglia dell’Acquedotto. E, dopo aver svoltato dalla statale sul viale che portava verso il podere, quando vedevo l’alto muro a secco, dal quale sporgevano grandi e fitti cespugli di fichi d’india, a guardia e riparo di un vasto e invalicabile agrumeto.
Il fondo era lì, subito dopo aver svoltato sul viottolo interno e proprio di fronte a quel muro, oltre il quale m'immaginavo infiniti pomi dorati e succosi.
E ogni volta mi chiedevo se quei frutti evocassero a mio padre il luogo dove crescevano in abbondanza. La terra degli aranceti, calda, impervia ma ospitale, dove lui aveva fatto la guerra e da dove, per buona sorte, era tornato.
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Annamaria Giannini
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Annamaria Giannini


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MessaggioTitolo: Re: La terra degli aranceti   La terra degli aranceti Icon_minitime3/4/2010, 12:51

Un abbraccio Anna.
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Franca Bagnoli
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MessaggioTitolo: Re: La terra degli aranceti   La terra degli aranceti Icon_minitime16/4/2010, 19:08

Una pagina densa di affettività e di bellezze naturali così ben descritte da diventare quadri che incantano gli occhi. Un abbraccio. F.
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anna mininno
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MessaggioTitolo: Re: La terra degli aranceti   La terra degli aranceti Icon_minitime16/4/2010, 21:57

Grazie, cara e tenera Franca!
Mio padre avrebbe gradito molto leggere le parole di sua figlia ribelle.
Un bacio.
Anna

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Franca Bagnoli
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Franca Bagnoli


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MessaggioTitolo: Re: La terra degli aranceti   La terra degli aranceti Icon_minitime16/4/2010, 22:03

Un bacio a te, Anna. Franca.
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MessaggioTitolo: Re: La terra degli aranceti   La terra degli aranceti Icon_minitime

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