Antonia è una donna dai sentimenti forti, e talvolta eccessivi, che manifesta anche in particolari che potrebbero essere considerati marginali nell’economia di una buona esistenza.
Orgogliosa del suo nome bello, deciso e aristocratico, come spesso dice vantandosi, non lo è invece della sua scrittura che giammai oserebbe definire calligrafia.
“Lo so, è un qualcosa di gravoso che da tempo mi porto addosso”, asserisce. “Una sorta di marchio che pare dirla lunga sulla mia persona”.
Spiega che tutto ebbe inizio quando le furono tolte le righe strette e fu costretta a scrivere su fogli con quelle tutte uguali e belle larghe. Quell’operazione, le avevano detto, significava che finalmente stava diventando grande e che doveva imparare a gestire spazi più ampi e meno protetti.
Al contrario, quel passaggio pareva procurarle un imbarazzante disagio poiché la sua grafia incominciò a cambiare, e decisamente in peggio. Non riusciva a stare bene tra le righe e a scrivere in bell’ordine, con le lettere unite tra loro, ben definite e arrotondate come prima, quando si prestavano a una lettura elementare ma chiara e piacevole.
Contrariata e ancor più preoccupata, si chiese perché mai le sillabe non rimanessero attaccate fra loro e perché le lettere non riuscissero a stare dritte tendendo, in modo autonomo ed inconsulto, ad andare un po’ a destra e un po’ a sinistra.
Nel tempo, però, riuscì a capire che ben altro doveva aver determinato quell’orribile cambiamento e che, in realtà, esso era soltanto un effetto visibile e per giunta interpretabile.
Si convinse quindi che la sua scrittura, diventata spigolosa, disordinata e variabile, fosse l’espressione del suo carattere grippato da tante e differenti cause. E, così pensando, sembrava volesse intendere: “Insomma, roba da psicoanalisi!“.
Inviò al grafologo di un noto settimanale femminile una lettera autografa, nella quale sosteneva di sentirsi vittima del mondo e di ipotizzare che la sua grafia denunciasse una precoce aridità di cuore.
La risposta dell’esperto non si fece attendere spiegandole che, in realtà, stava vivendo una normale crisi adolescenziale e che la sua scrittura esprimeva disordine, temperamento impulsivo ed esuberante, carattere difficile, scontroso, talvolta ostinato e un po’ presuntuoso.
“Altro che questione di righe!”, rimuginò Antonia. “Qui è tutto da rifare”. E, tenendola d’occhio, cercò di migliorarne la struttura con risultati per nulla soddisfacenti.
Spazientita, decise di sottrarsi al minuzioso confronto e di rinunciare a ogni altro tentativo.
Riabilitata una vecchia dattilografica, incominciò a usarla tutte le volte che non fosse necessario scrivere di suo pugno e operando, in assenza di esperienza tecnica, con un dito soltanto che per fortuna divenne rapido e sicuro. E, nonostante fosse costretta a sostenere il martellante e monotono ticchettio dei tasti in metallo di quella macchina paleolitica, non considerò neppure l’eventualità di averne una silenziosa e al passo con i tempi.
Un giorno invece accadde quello che non avrebbe mai pensato.
E fu la svolta.
“Eureka, ho trovato!”, esclamò ad alta voce quando, dopo un lento innamoramento, si trovò a pigiare, con il dito ormai addestrato, sui tasti di un diabolico aggeggio tecnologico e sentì che una strana e soave armonia accompagnava il flusso dei pensieri e delle parole, facilitandone il percorso.
“Straordinario!”, pensò Antonia che, letteralmente stregata da quell’incredibile magia, ritrovava il piacere della scrittura, tanto da sentirsi esclamare, in uno stato di autentica esaltazione: ”Eh sì, meno male, meno male che c’è il p.c.!”.
Titolo: E meno male...! 
5/4/2010, 15:40
