Ho conosciuto padre Ernesto Balducci, Scolopio, tanti anni fa. Il mio primo incontro con lui, che conoscevo attraverso le sue opere e la rivista “Testimonianze”, avvenne nei locali di una parrocchia romana periferica dove lui animava dibattiti di alto livello spirituale, culturale e civile, sul tema della pace., su quelli ecclesiali, sul rapporto fede-politica. Ricordo che, per andarlo a sentire, attraversavo tutta Roma con la mia “500” , facendo le ore piccole perché gli incontri cominciavano alle 21. Tornavo casa a notte fonda, suscitando le apprensioni di mio padre e mia madre che ritenevano pericoloso questo mio andare sola, di notte per tanti chilometri. Non ho mai assistito alle sue omelie alla Badia fiesolana, sempre affollatissime. Ma non ho mai mancato nessuno di Convegni, sul tema della pace, al Palazzo dei Congressi a Firenze. I relatori erano sempre molti, di diversa connotazione ideologica e di molte provenienze geografiche. Assidua era la presenza di Enrico Chiavacci, altro profeta di speranza, teologo morale aperto e profondo e tanto impegnato sul piano pastorale che non ha mai voluto abbandonare la sua parrocchia situata alla periferia di Firenze. Balducci l’ ho incontrato, poi, tante volte, all’ annuale Corso di Studi Cristiani alla Cittadella di Assisi. Era un uomo di grande intelligenza e di grande fede. Conosceva bene il significato della “libertà dei figli di Dio” e ne faceva uso per criticare con pacatezza e amore di figlio certi atteggiamenti della gerarchia ecclesiastica che riteneva andassero corretti. Fu uno dei maggiori fautori del dialogo tre cattolici e comunisti, un dialogo che praticava con serenità, nel segno del rispetto della diversità e nella consapevolezza che una fede adulta potesse superare lo scoglio dell’ unità politica dei cattolici., spesso usata strumentalmente a difesa di privilegi economici classisti, appellandosi impropriamente alla lotta contro il marxismo. Le sue opere hanno tutte il “Nihil obstat” della Curia romana, per espressa volontà dell’ Autore che, in questo modo, confermava il suo legame con la Chiesa. Da buon toscano aveva un grande senso umoristico. Ricordo che, una volta, incontrandoci al bar della Cittadella, mi disse, in tono un po’ ironico e un po’ affettuoso: “ Ho ascoltato il tuo tremolante intervento. Non era male. Ma perché ti emozioni tanto quando parli in pubblico? “ Delle sue opere quella che mi è più cara è “La terra del tramonto” nella quale, con grande lucidità, analizza le molte contraddizioni della società capitalistica. Mi è rimasto impresso il suo modo diretto e scevro di retorica, di affrontare il tema della droga. “Basterebbe (cito a memoria) riconvertire i terreni coltivati a oppiacei, ma questo va contro i poteri forti economici” La sua sana razionalità, come la definisce Raniero La Valle, gli permette di coniugare due concetti apparentemente inconciliabili: realismo e utopia. E’ sua l’ espressione: realismo dell’utopia, che adopera in relazione alla guerra la cui estromissione dalla storia dell’ uomo è un’ utopia intesa come progetto realistico perché, con le moderne armi, se l’ uomo continerà a fare le guerre si distruggerà. E qui si innesta un altro splendido concetto balducciano, quello del’ uomo inedito. La speranza umana e cristiana porta Balducci a ipotizzare che, nel corso della storia della evoluzione umana, emerga un uomo nuovo, inedito, che relegherà nei reperti dell’ archeologia storica la follia della guerra.
Il suo amore verso Dio lo porta a riflettere sul concetto di una onnipotenza divina intesa piuttosto rozzamente. Dal libro di Raniero La Valle “Prima che l’ amore finisca” ho tratto stralci d un’ omelia di Balducci del 20 ottobre 1991. Il tema è: Il trono del potere e il trono della Grazia” “Ne ho parlato più volte. – dice Balducci – Oggi però c’è una parola che mi viene messa sulle labbra dalla Lettera agli Ebrei ( 4,14- 16) quando si parla del “Trono della Grazia”. Questa parola, per la prima volta, mi ha scalfito nello spirito perché mi sembra una formale contrapposizione con l’ altro trono, quello sul quale volevano sedere i due apostoli nel regno della gloria…. e quello cui allude Gesù quando parla dei potenti che dominano le nazioni. Usando l’ immagine dico che ci sono due troni: un trono della Grazia e un trono del potere Il trono della Grazia è il trono della dedizione in cui l Grazia è il dono, è la gratuità, non è il potere. E’ molto importante sapere se, quando noi pensiamo al principio che dà ordine a tutto l’ universo, cioè a quello che chiamiamo Dio, quel trono è il il trono dl potere o il trono della Grazia. Noi siamo portati, sulla trafila delle pulsioni costitutive della nostra natura, ad immaginare che se i potenti dominano su questa terra, ce n’ è uno più potente di loro che domina anche su di loro. Pian piano siamo portati ad immaginare questo Dio onnipotente secondo la categoria del potere, che non è una categoria innocente perché, se si accettano le implicazioni, vengono le conseguenze….. Questo Dio che è “onnipotente” ha due vizi antievangelici. Il primo è che Egli domina per cui noi creature ci muoviamo dentro il suo raggio come un pulviscolo che danza; Egli è un mistero, un fatum, un numen che decide. Così avviene fino ad estremismi teologici che hanno visto nell’ umanità due masse, una condannata e una salvata e, alle rdici, la descrizione di Dio. Questo Dio non lo possiamo amare, lo possiamo temere. Il timore, certo, è ispiratore di comportamenti seri; però non mi dite che questa è Grazia. Il secondo vizio è che questo Dio ama l’ ordine più che l’ uomo, vuole che l’ ordine sia ristabilito sacrificando l’ essere umano. Già qui ci avviciniamo a quella ideologia dell’ ordine che è stata il punto d ‘ appoggio di tutti i poteri di questa terra. Anche la guerra del Golfo l’ abbiamo fatta per l’ ordine internazionale. Questo Dio che è potente da dominare tutti e che ama l’ ordine più che l’ uomo, è proprio il presupposto ideologico di tutte le prepotenze della terra. Lo so che parlare del Dio della Grazia per molti vuol dire che ognuno faccia quel che vuole. E’ vero l’ opposto perché in questo ordine quello che conta è il dono, il servizio; e Gesù è venuto per questo e non per comandare. Questo è il mistero di Gesù ed è il nostro mistero perché è qui il senso del vivere”
Questo grande intellettuale cristiano , figlio di un minatore del quale era molto orgoglioso, era un pessimo automobilista. Ne era consapevole e non guidava mai. Il giorno in cui, per una emergenza, dovette guidare una macchina, ebbe un incidente e ci rimise la vita. Ma è rimasto nella mia e in quella di tanti altri, per sempre.