"Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me" Emanuele Kant.
Caro Emanuele, ricordi? Io avevo vent' anni e andavo in giro per i viali della Sapienza di Roma, odorosi di tiglio, quando era tempo di esami. Andavo in cerca di verità. Avevo letto le tue Critiche, quella della ragion pura e quella della ragione pratica e anche quel sostanzioso libretto: Fondazione della metafisica dei costumi. Il tuo imperativo categorico che si esprimeva più o meno così: Tratta l' umanità, sia nella tua che nell' altrui persona sempre come fine e mai come mezzo"mi sembrava troppo rigido, troppo intelletualistico. Innamorata, allora come oggi di un certo Gesù di Nazareth, mi sembrava molto più bello, più umano, il Suo: "Fate agli altro quello che volete che gli altri facciano a voi". Trascinata dall' entusiasmo (sono una passionale) chiesi al professore di filosofia morale, l' ebreo Adolfo Ravà di fare la tesi su quel precetto. Il buon Ravà acconsentì e non batté ciglio quando, un po' spudoratamente, dissi tutto il male possibile dei Farisei. Mi misi al lavoro e via, via mi convinsi che l' amore che predica Gesù non è un amore facile, sentimentale. I sentimenti sono variabili, vanno e vengono, si accendono e si spengono. Nessuna morale può essere fondata sui sentimenti. "Amate i vostri nemici" Che vuol dire? Che mi devono risultare simpatici? No, La simpatia è una pulsione che posso controllare ma non convertire nel suo contrario. Mi accorsi, ragionando, che se faccio ad altri quello che non voglio essere fatto a me, vado contro ogni logica perché dò al mio Io una valenza assoluta, cosa che ogni altro Io può reclamare. Allora le carte si ingarbugliano e si rischia la possibilità di ogni convivenza sociale e lo snaturamento della nostra essenza. " L' uomo è un animale politico ( cioè destinato ad una vita di relazione ) aveva detto Aristotele. Insomma, caro Emanuele, il tuo imperativo categorico non era poi lontano dal precetto di Gesù. Tu, interrogandoti sulla esistenza di Dio, avevi concluso che di Dio non si può dire né che esiste , né che non esiste. Non avevi potuto dire un logico si all' esistenza di Dio ma avevi chiuso le porte all' ateismo. E il tuo cuore aveva ritrovato Dio, così credo, proprio attraverso quell' imperativo categorico che si presenta con una valenza di Assoluto che ci permette di sperare in un Assoluto trascendente.
Ora amo pensarti in quel cielo dalla sconfinata dimensione che tanto ti stupiva e ti turbava ma ti faceva toccare la vetta del Sublime. In quella immensità mi aspetto di trovarti.
Titolo: Lettera a Emanuele 
24/4/2010, 07:19
