I nonni sono preziosi: fra loro e i nipoti c'è un rapporto particolare che va oltre il legame affettivo. Si compenetrano attraverso la nota dominante della tenerezza, una virtù che definirei teologica perché misteriosamente sfiora la sfera metafisica, pur affondando nelle viscere.
Mi ha suggerito questo pensiero Leonardo Boff quando ha esaltato la tenerezza di Francesco di Assisi. Nonni e nipoti: albe e tramonti che si guardano stupiti, l'inizio e la fine che chiudono un cerchio d'amore.
Dei miei nonni ho intensi, anche se pochi, ricordi. Mia nonna Cleofe, la madre di mio padre, la conobbi quando ero piccolissima. Mi portò nel suo povero giardinetto a guardare i pesci rossi che nuotavano in una vasca circolare. Poi non la vidi più. Povera nonna Cleofe! Era stata la moglie di un fattore ed aveva goduto di una sobria agiatezza nella splendida terra di Toscana, accudendo polli e galline e impastando sportelline da servire con il vinsanto agli ospiti. Questa vita idilliaca finì una notte quando mio nonno Gaetano morì di un colpo apoplettico.
Le mogli dei fattori non avevano pensione e i padroni dimenticavano presto il debito che avevano verso i loro solerti dipendenti, colonne portanti della fattoria. La nonna Cleofe rimase sola con quattro figli. Il più piccolo, mio padre, aveva nove mesi. Per tirare avanti si mise ad impagliare fiaschi.
Un giorno, tornando da una consegna, vide davanti alla sua casa una fila di pompieri che si passavano secchi d'acqua. Mio padre e suo fratello, giocando con i fiammiferi, avevano incendiato la sala che lei usava per ricoprire i fiaschi. Al dolore per la casa devastata si aggiunse la preoccupazione per i due piromani che si erano resi latitanti.
Li ritrovarono dopo qualche ora, seduti in riva al fiume Elsa.
Nonna Cleofe riuscì a fare studiare tutti i figli, quel poco che servì per trovare un lavoro, chi da una parte, chi dall'altra, ma tutti lontani da lei. Morì sola per un improvviso e violento attacco d'asma. Di lei ho dei bellissimi pezzi di rame che danno calore alla mia cucina.
A distanza di pochi giorni morì mio nonno Tommaso.
Di lui ho più ricordi perché, con i miei genitori, vivevo in casa sua. Mi coccolava molto. Al tempo delle ciliege prendeva due coppie di grosse amarene, me le appendeva agli orecchi e mi guardava con occhi dolcissimi. Quando, a quattro anni, recitai una lunga poesia nel teatrino dell'asilo che frequentavo, mi regalò una stella di paglia intrecciata. Al centro, in un rettangolino, mi scrisse una dedica per ricordare l'evento di cui era molto orgoglioso. Tuttavia, presa da parte mia madre, le disse con tono perentorio: "Questa bambina recita molto bene ma, da grande, impediscile di fare l'"attrice". Fu così che il mondo perse una stella!.
Una notte, due colpi alla porta della camera dove dormivamo io, mio padre e mia madre. La nonna, sconvolta, svegliò i miei genitori che si avviarono per seguirla. Mi svegliai anch'io e mi misi a piangere perché non volevo rimanere sola.
Mia madre mi prese frettolosamente dal letto, entrò nella camera del nonno e mi appoggiò sul suo letto matrimoniale. Ricordo una coperta rossa di piquè, il nonno appoggiato ad una montagna di cuscini, il volto violaceo. Disse. "Gesù, Giuseppe e Maria, a voi affido l'anima mia" Chiuse gli occhi e non li riaprì più.
Su mia nonna Teresa, moglie di Tommaso, si potrebbe scrivere un romanzo. Al contrario del marito, uomo mite e remissivo, era aggressiva e dominante.
A distanza di tanti anni non saprei dire, ma credo che fosse in competizione con mia madre per il mio possesso. Io l'adoravo e quando tornavo da scuola accompagnata da mio padre, correvo ad abbraciarla. Una volta mio padre mi fece notare che avrei dovuto salutare prima la mamma sulla quale gravava tutto il peso di una grande casa e di una grande famiglia. Infatti, insieme a noi, abitavano nella stessa casa mia zia con relativo marito e il figlio più giovane di Teresa, lo zio Faustino, un altro mio grande amore che io chiamavo zio Pimpirillo. Un giorno, tornando da scuola come al solito accompagnata dal mio papà, venne ad aprire proprio la nonna che aprì subito le braccia pronte ad accogliermi. Ma io, con l'ingenuità qualche volta disastrosa, dei bambini, dissi decisa: "No. Ha detto papà, prima la mamma". Si scatenò l'uragano. Dopo avere urlato e pianto, mia nonna scelse la clausura della sua camera dalla quale usciva solo per il pranzo e la cena che si svolgevano nell'assoluto silenzio di tutti i commensali.
Quando era di buon umore la nonna era una formidabile narratrice. Raccontava storie di famiglia, della sua gioventù, in un linguaggio rigorosamente romanesco, condito di un vivace turpiloquio che tuttavia molto raramente scadeva in volgarità. Il racconto che amava ripetere a nuovi interlocutori, era quello di una gita in tram ad Albano, insieme al marito. Giunti a destinazione, mio nonno si accorse che gli avevano rubato la grossa catena d'oro che portava nel taschino del panciotto, insieme all'orologio. Lo disse a Teta (così la chiamava) e Teta, agendo d'impulso, afferrò per la giacca il primo che le capitò e gridò: "Molla la catena!". Il malcapitato la mollò. "Sora Tè - chiese un giorno una donna che aveva ascoltato il racconto - ma l'avevate visto rubbà la catena?" "No" - rispose Teta. E probabilmente era vero. Nel quartiere dei Borghi dove abitavamo la chiamavano "la carabiniera".
Non so se la Fedelissima avrebbe gradito l'arruolamento nell'Arma di questo ribelle personaggio, ma credo che avrebbe fatto bene ad accoglierla, considerato il suo fiuto acchiappaladri.
Nonostante i caratteri tanto diversi Tommaso e Teresa si amarono molto. Ebbero tredici figli ma sette li persero per aborti spontanei di Teresa che soffrì molto per la loro perdita e forse per alleviare la sofferenza ne addossò la colpa alla figlia maggiore perché -diceva- le portava "Jella". All'annuncio di una nuova gravidanza Secondina, la figlia maggiore, esclamava costernata:" A mà, 'n'antra vorta?". Non aveva tutti i torti, Secondina. Infatti la madre le aveva regalato una bella tavola di legno per lavare i pannolini degli ultimi nati.
Con i figli maschi Teta non riuscì ad esercitare il suo dominio. Anzi, subì il loro che, cacciandosi in vari pasticci le procurarono sofferenze, umiliazioni, grandi perdite economiche. Ma lei continuò ad amarli e ad aiutarli. Quando morì. a trentenove anni, il suo figlio maggiore, Teresa perse tutta la sua forza e vitalità. Si ritirò in una casa che aveva al mare fino a che un tumore la ricondusse a Roma, affidata
alle cure delle figlie. Vidi morire anche lei in un caldo pomeriggio estivo e ricordo ancora l'odore delle tuberose mescolato, nella camera funebre, a quello della cera.
Quando volevo stuzzicare mia madre, ripescando in tono ironico gli aspetti negativi di mia nonna, mia madre che evidentemente subiva ancora il suo dominio, non accettava la mia ironia e con uno sguardo che non dimenticherò mai diceva: "Ma lasciala in pace!" Si, riposa in pace nonna Teta. Non hai sempre saputo dominare il tuo carattere ma non hai fatto grandi mali. Anzi hai fatto molte cose buone. Tra le tante ne ricordo una, per quei tempi molto significativa.
Tu, molto devota e un po' bigotta non tradisti l'amicizia di una tua parente andata a convivere con un uomo e non nascondesti a nessuno il vostro rapporto d'amicizia.
Ti voglio ancora bene, nonna Teta.