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 Piccola storia di una cattolica critica

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Franca Bagnoli
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Franca Bagnoli


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MessaggioTitolo: Piccola storia di una cattolica critica   Piccola storia di una cattolica critica Icon_minitime6/5/2010, 14:12

Vorrei raccontarvi il germe della mia coscienza politica. A tredici anni frequentavo la terza media, a Roma, dove vivevo in un quartiere popolare che confinava con il quartiere Parioli, il top degli spazi abitativi romani. Di solito andavo a scuola con un'amica che abitava nel mio stesso quartiere, ma, per un breve periodo, ci andai con una compagna di classe che mi incuteva un po' di soggezione.

Era figlia di un generale, abitava in una ricca casa dei Parioli, a scuola andava meglio di me e nella vita faceva cose incomprensibili non solo per me ma per tutte le altre compagne. Frequentava i salotti di contesse e marchese e andava a cavallo, cosa, a quei tempi, da privilegiati di prima classe. E non c'era nemmeno da sperare che mentisse. Aveva le gambe arcuate tipiche di una cavallerizza e perfino il suo viso, un bel viso aristocratico, aveva, tuttavia, un che di cavallino. Era magro e lungo e quando la bocca si muoveva per parlare le guance si gonfiavano leggermente ed evocavano un nobile nitrito. Io non l'avevo mai vista andare a cavallo eppure riuscivo benissimo ad immaginarla con gli stivali e i pantaloni a sbuffo che avevo visto indossare da cavalieri e amazzoni un giorno che mio padre, avuti chissà come due biglietti gratis, mi aveva portato a vedere un concorso ippico a Piazza di Siena. Tornando da scuola passavamo davanti alla mia casa ma non ci lasciavamo lì. Proseguivamo fino alla casa della cavallerizza per continuare a parlare. Io non l'avevo mai invitata a casa mia: non avrei sopportato il paragone che certamente lei avrebbe fatto con la sua. Mi illudevo che potesse immaginarla un pò meglio di come era: una camera, una cucina e un gabinetto. Neppure lei mi aveva invitato ma io immaginavo la sua casa grande, ordinata e arredata con quei severi, raffinati mobili che guardavo sempre nelle vetrine di un mobilificio che si trovava tra le nostre due case. Un giorno io feci una considerazione politica di carattere molto generale. Lei non la gradì. Sollevando i bei sopraccigli regolarmente arcuati disse, convinta:"Si, ma adesso il popolo ha troppa prosopopea!". Le sue guance, con maggior evidenza del solito si gonfiavano a ritmo accelerato pronunciando la parola pro-so-po-pea. Io tacquì ma non per soggezione. Tra me pensavo:"Siamo passate davanti alla mia casa che sai bene essere uno schifo in confronto alla tua. Mia madre va a fare la spesa con i soldi contati mentre la tua ha il problema di non mettere per la seconda volta lo stesso vestito per una serata mondana. Mio padre fa il macchinista e per divisa ha una tuta nera dalla quale mia madre non riesce a togliere del tutto il grasso, quando la lava. E adesso vengo a sapere che noi tre, condannati a dividere la stessa stanza per dormire, abbiamo troppa pro-pro-pro-so-po-pea. Bisogna essere proprio stupidi per pensare e dire certe cose. E magari non è nemmeno un tuo pensiero originale. Questa frase l'avrai sentita dal generale tuo padre o dalla generalessa tua madre". Certamente quelle parole contribuirono a formare la mia coscienza di classe. Da quel giorno diminuì il mio imbarazzo nel dire che mio padre faceva il macchinista. Dovette passare un pò di tempo perché lo dichiarassi spontaneamente e con orgoglio. Quel piccolo germe di coscienza politica si sviluppò anche perché mio padre che aveva pagato un prezzo molto alto per essere stato antifascista non perdeva occasione per educare la mia capacità di capire e giudicare la realtà in cui vivevamo. Quando compii il ventunesimo anno e potei votare mi trovai di fronte ad un grosso problema. Ormai la mia posizione politica era decisamente e convintamente di sinistra ma ero credente, come lo sono ancora.L'alleanza tra la Chiesa cattolica e la Democrazia Cristiana era tanto forte da impedire ai cattolici di votare partiti marxisti, sotto pena di scomunica ( la famosa unità politica dei cattolici) Per qualche anno vissi, con grande sofferenza, un'assurda schizofrenia politica: votavo la Democrazia Cristiana sperando che perdesse. Ma non mi arresi. Attraverso letture e la frequentazione di cattolici detti del "dissenso", arrivai a distinguere fede e politica e a votare liberamente. Anzi, continuando a riflettere, mi sembrò che nella stessa fede e in particolare nel messaggio evangelico si potessero trovare elementi per contrastare con il voto quel materialismo di fatto che si opponeva ipocritamente al comunismo mascherando sotto la motivazione dei valori da salvare, la paura di perdere privilegi economici e di potere. Questa mia storia politica non è una storia personale. E' quella di molti cattolici che hanno fatto, con la stessa sofferenza, il mio stesso percorso. Alcuni hanno pagato prezzi altissimi. Parlo di Giovanni Franzoni e di Giulio Girardi tutti e due ridotti da sacerdoti allo stato laicale, e di molti altri.La storia dei cattolici del dissenso e del loro rapporto con la politica è una storia interessante che meriterebbe di essere ancora approfondita.

Nota. Devo ringraziare Ernesto Balducci che fu il primo ad inaugurare il dialogo tra cattolici e comunisti.
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