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 Lenzuola e girasoli

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Daniela Micheli
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Daniela Micheli


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MessaggioTitolo: Lenzuola e girasoli    Lenzuola e girasoli  Icon_minitime12/7/2010, 22:41

Lenzuola e girasoli  Giraso10

I cambiamenti di scena dei miei primi anni li accettai senza opporre resistenza.
Ero, eravamo entrambi, molto disponibili ed accomodanti e non sapevamo quali palcoscenici avremmo avuto in sorte: se un bel proscenio di lucido parquet o il pavé nella piazza di paese.
D’altronde, non è che avessimo molta voce in capitolo.
Già ai tempi eravamo dispettosi: ci piaceva molto fare gli scherzi alla mamma, specialmente a notte fonda.
Non resistevamo, era quasi un riflesso incondizionato far arrivare il cibo dalla bocca alla vescica e, in un battibaleno, all'intestino; quando poi, molti anni dopo, ci chiesero di partecipare alla notissima gara La cacca più veloce d’Italia, non avemmo alcun dubbio su chi sarebbe salito sul podio d'onore.
Perché, ai tempi, ci bastavano pochi minuti di transito nello stomaco e zac che si sporcava il pannolino pulito di nuova pipì e cacca fresca.
Era raggiungere il nirvana.
Mamma sospirava rassegnata e ci cambiava.
Mai una volta, la santa donna, che abbia pensato che poteva prima darci da mangiare e cambiarci dopo.
Non aveva studiato molto la nostra mamma…
Che poi lei il mattino avesse gli occhi cerchiati, non era un problema nostro; a noi bastava solamente mangiare, dormire ed urlare qual tanto che bastava ad irritare la famiglia intera.
Ricordo una mattina, riuscimmo talmente bene nel nostro intento perturbatore che nostro fratello Terenzio legò un lenzuolo alle nostre piccole, tenere braccia e ci sporse fuori dal balcone per farci volare.
Ma non voleva ammazzarci, spero, era solo curioso di vedere il paracadute a grandi girasoli gialli su fondo verde che planava dolcemente su di noi.
La sua curiosità non venne soddisfatta.
Per sua sfortuna e nostra fortuna, arrivò mamma a salvarci e i girasoli gialli non divennero la coperta fiorita sotto la quale riposavano i piccoli estinti.
Più tardi, quando fummo in grado di girarci da soli nel letto, imparammo un gioco che ci piaceva molto di più, molto più che tenere in bocca un succhiotto di uno strano colore che assomigliava vagamente alla cacca che ancora usciva copiosa dalla nostra retroguardia.
Con questo nuovo gioco avvenivano in noi delle vere e proprie mutazioni genetiche, ci allungavamo a dismisura, con grandissima soddisfazione di papi che si riconosceva tantissimo in quella dimostrazione di potenza.
In pratica, il gioco consisteva nel metterci a pancia in giù nel lettino e iniziare a scuoterci violentemente con moti sussultori del quarto grado della scala Richter.
Ricordiamo quei momenti con molto affetto.
Suscitavano un po' meno simpatia quando affinammo la tecnica ed imparammo a fare lo stesso gioco in posizione eretta.
Non ci è chiaro perché quando il raptus giochereccio ci coglieva all’improvviso le suore s’imbarazzassero e non volessero che ci trastullassimo così.
Suor Clemenza ci diceva che avremmo perso la vista se avessimo continuato e fu per quel motivo che andavamo a rifugiarsi nei bagni, dove potevamo agire indisturbati.
Così nessuno di avrebbe visti e non si sarebbe sentito in colpa della nostra futura cecità.
Crescemmo, diventammo grandi ed eravamo terrorizzati dalla prova che ci aspettava.
Papà ci aveva dato qualche vaga nozione, ma nemmeno lui aveva studiato e dalle sue lezioni di teoria non avevamo la più pallida idea del come si sarebbe svolta la pratica.
Per l'occasione fu scelta un'istituzione cittadina, la Vespuccia, così chiamata in onore della nave che a tanti allievi ufficiali aveva fatto scuola.
Era un donnone bello in carne, aveva cosce che pareva dovessero soffocarci nel momento in cui ci saremmo avvicinati.
Forse fu il timore di essere risucchiati da tutta quella ciccia che la nostra prima performance non ebbe che uno scarsissimo esito, insomma una cosina da niente, uno sputacchio ecco.
Un episodio da ricordare, sì, ma non con molto affetto.
Papà ci disse di non preoccuparci, la volta successiva sarebbe stata un'eruzione tale che al confronto quella che distrusse Pompei sarebbe sembrata una fiammella.
Non abbiamo mai dubitato delle parole di papà; perfezionammo così bene la nostra tecnica che arrivammo sulla bocca di tutto il paesello; non eravamo più noi che andavamo a bussare alle porte, ma erano le porte – dobbiamo dire spalancate – che venivano a bussare ai nostri battacchi.
La situazione in alcuni giorni fu talmente caotica che assumemmo a tempo pieno Terenzio, impegnandolo a distribuire i bigliettini con impresso il numero d’accesso.
Fu la figlia di uno dei capoccia delle coop rosse di Bologna che, valutando l'utilità dell'ordine che Terenzio creava, ne parlò al padre che brevettò il sistema: fece forgiare tanti Terenzi di ferro -rigorosamente rossi- per i supermercati che dirigeva, e dai quali sparì, come per magia, ogni discussione della serie toccaamecazzodicisonoarrivataprimaiodueettidisalamegrazie.
La nostra fama subì uno scossone a causa della contessa Mariapia Ludmilla Roncisvalle di Pian della Tortilla: pur avendo un nome altisonante che doveva essere sinonimo di classe e di stile, non esitò a spargere la sua maligna voce che, con lei, non c'era stato verso di giocare.
Era vero, ma la colpa era solamente sua e delle sue ascelle pezzate che ammosciavano gli argani -o organi-, nemmeno ricordando tutte le teoriche mosse apprese in lunghi e lunghi anni di visioni di filmini pornografici.
Non ci fu nulla da fare.
Si restava solamente a terra, morti, defunti, come un mochetto Vileda.
La zoccola sparse la voce sull’accaduto e la popolazione femminile del paese si unì in uno dei rari moti di solidarietà femminile, talmente raro che Don Leo lo segnò sugli annali parrocchiali, previa consultazione ed approvazione del consiglio pastorale.
Causa quelle maldicenze, il via vai davanti alle nostre porte cessò, fummo costretti a licenziare Terenzio, che fu assunto come operatore ecologico dal comune; iniziammo a vagare come disperati, alla ricerca di chi potesse aver fiducia in noi e ci aiutasse a tornare agli antichi fasti e splendori.
La pubblicità, si sa, è l’anima del commercio e iniziammo a pubblicizzare la nostra premiata ditta con ogni mezzo, lecito ed illecito, che conoscevamo.
Caso fortuito fu che una casa farmaceutica, produttrice della pillola della felicità, prese a cuore il nostro pietoso caso umano: ci assunsero con un CO.CO.PRO. per essere il miglior esempio vivente degli effetti tangibili del loro prodotto d’assalto.
E fu nuovamente miracolo: Terenzio abbandonò scopa e camion della mondezza per riprendere a pieno ritmo il suo ruolo, le ragazze della zona ricominciarono a parlare benissimo di noi, a consigliarci caldamente alle amiche e fu un trionfo, fu la nostra vittoria.
Nemmeno allora opponemmo una grande resistenza, accettammo di calcare quella scena per sempre, riconoscendo che era a noi la più consona; facemmo così quadrare il cerchio della nostra esistenza.
In fondo, l’unico palcoscenico sul quale potevamo esprimere al meglio le nostre incredibili doti di due grandissime teste di cazzo era quello, tra le braccia di dolci signorine e signore, senza andare troppo per il sottile.
Ogni tanto pensavamo alle lenzuola con i girasoli gialli.
E sospiravano con tanto affetto al ricordo.
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Franca Bagnoli
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Franca Bagnoli


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MessaggioTitolo: Re: Lenzuola e girasoli    Lenzuola e girasoli  Icon_minitime13/7/2010, 07:02

Un racconto che risale alle origini, utilizzndo un lessico spumeggiante adeguato all' attività prevalente dei simpatici infanti. Buona giornata, Daniela.
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Luca Curatoli
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Luca Curatoli


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MessaggioTitolo: Re: Lenzuola e girasoli    Lenzuola e girasoli  Icon_minitime13/7/2010, 17:52

è bellino il racconto, il titolo che evoca quella innocente pazzia e l'educazione di una vita allegra e incasinata: anche se penso con qualche bivido: e se quei due fossero diventati capitani d'industria?
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MessaggioTitolo: Re: Lenzuola e girasoli    Lenzuola e girasoli  Icon_minitime

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