La casa aveva esaurito la propria utilità e tutto quello che conteneva sembrava non servire più, né, avere qualche significato.
Ora che gli eventi erano precipitati tutto aveva perso valore.
Il divano, che tante volte aveva accolto le mie stanche chiappe, il tavolo in radica di noce vissuto e segnato da graffi profondi che mi ricordavano le serate con gli amici, le finestre con le tende in tinta, i mille soprammobili impolverati, le bottiglie di liquore smezzate, il televisore con il tubo catodico in quattro terzi, persino i quadri ed i libri disposti disordinatamente sulla libreria sembravano soffrire l’assenza di attenzione.
Ed anche lei si era trasformata in un alone, un entità eterea, una presenza inconsistente, una sbiadita copia di quello che era stata in un passato troppo, troppo remoto. Ma era colpa mia.
Ho sempre creduto che ognuno di noi, volente o nolente, magari snobbando il concetto, abbia bisogno di punti di riferimento, uno zoccolo duro su cui contare sempre, e questo è quasi sempre la casa intesa nella sua totalità di contenuti.
Anche un tappeto, o il quadro in una stanza, un odore, il posto in cui lasci le chiavi o la borsa al ritorno dal lavoro hanno un importanza che viene sempre sottovalutata, fino a ricredersi nel momento in cui questi fondamentali punti vengono meno. E nulla ha più senso.
Non so cosa mi mancava di più. Magari quella carezza della sera, o quella voglia di tranquillità in pantofole fatta di film d’annata (possibilmente western in bianco e nero) vino rosso corposo, e lei ad ascoltare i miei commenti banali, o le considerazioni sui servizi dei TG, qualche amico e le risate.
Ora mi basta una bottiglia di vino piena a metà per assicurarmi una apparente calma.
E’ quando scende il livello del liquido sotto una certa soglia che mi preoccupo.
Ed allora l’unica preoccupazione diventa procurasi un'altra bottiglia, o , almeno un altro brik, possibilmente da un litro.
Ripetersi che non era colpa mia non bastava. Potevo non essere lì, potevo star male e non uscire, poteva piovere, potevo aver bucato o avere la batteria dell’auto a terra. Niente di tutto questo.
Quella sera siamo andati. Quando il camion ha perso il controllo l’ho visto venirci addosso, e poi rumore di lamiere ed un buio freddo ed improvviso.
Lampeggianti, sirene ed un letto d’ospedale.
“Lei si salverà, ma le conseguenze dell’impatto saranno gravissime e permanenti”.
Il dottore aveva formulato la sentenza. E così era andata.
Ora vegetava eterea ed assente in una casa di cura, fuori dal mondo, fuori da tutto.
Nel mondo sono rimasto io con qualche cicatrice e la gamba destra zoppa.
Poteva andare diversamente.
Il senso della vita ci è stato strappato a forza, non abbiamo nemmeno combattuto o trattato.
Non solo la vita si è accanita, anche la morte ci ha preso per il culo.
Voi cosa avreste fatto?
Mi sono tenuto questa casa inutile, ancora piena di superflui ammennicoli resti di una vita normale, e non mi importa più niente del lavoro e degli amici. Il vino mi aiuta a rimanere fuori, come lei.
Ed ora passo le mie giornate andando in giro trascinandomi, con le mie bottiglie di vino scadente e di lacrime ancora da versare.