“Sì”, pensa Antonia, “le bimbe sognano di principi e di destrieri, di favole e di eterni cieli azzurri”.
“E anch’io credo di aver sognato, nutrendo speranze d’amore e di pace per lo più tradite”.
Rimugina Antonia e si convince di aver sognato molto, come tutti fanno.
Più di tutte, però, doveva aver sognato quella donnina che, per decisione del destino, si era poi ritrovata a essere barbona.
Una barbona davvero speciale, e persino adorabile, che sapeva regalare il piacere dell’incontro tanto ai grandi quanto ai più piccini.
Minuta e diafana, qual copia di damina in porcellana, modi delicati e forbito accento, ella s’aggirava per le vie del centro, luogo deputato a nobile e intellettual fermento, vestendo abiti che mal si combinavano tra loro e che eran sete d’Oriente nella sua mente.
Non faceva difetto il suo incedere, né inosservato era il suo passaggio che si annunciava con voce ridondante, e talvolta gracidante, distribuendo titoli e onorificenze, sdentati sorrisi e riverenze, a vantaggio di attenzione e considerazione.
“Sua Altezza Eccellentissima, marchese di Pezza Corvina…!”. Ed ecco che partiva l’ossequioso omaggio al prescelto di turno indotto, in cuor suo, ad approvarne la portata.
Seguiva poi l’alto elogio all’esimio intellettuale, o allo sfigato con le pezze al culo, che si guadagnava il suo “Grandissimo Avvocato, Giudice di Corte Suprema…” e, inebriandosi del titolo, confidava nel futuro.
E così Sisina, tale era il suo nome, soleva andare per le vie del borgo a elemosinare il suo pane quotidiano e a elargire sorrisi e sogni, nella misura in cui sembrava che ciascuno ne avesse bisogno.
Antonia indugia nel pensare che quella donnina dal cuore gentile è passata nella sua vita come un piccolo e delicato “cammeo”, lasciandole un ricordo tenero e incancellabile.
Una delle ultime volte che le capitò d’incontrarla, qual pallida e vulnerabile Biancaneve stringeva tra le mani una mela rossa, lucida e bella, che di sicuro le era stata regalata e che a lei, Antonia, parve stranamente emblematica.
“La strega cattiva è sempre in agguato”, si dice, “e il destino non gioca mai d’azzardo”.
E tanto meno per lei, dolce Sisina, insolita mendicante di un tempo ormai lontano!
Come per altre figure della stessa scena popolare, sempre singolari e non certo minori!
“Niente di speciale”, osserva Antonia, “Il palcoscenico mondiale è pieno zeppo di personaggi che inducono a riflettere su certi aspetti della vita e, persino, su tal altri facili e sterili protagonismi”.
Era motivo di divertimento per ragazzi e buontemponi farsi beffe di Vincenzo Bum, tipo malconcio, sempliciotto e facile bersaglio di cantilenanti ingiurie.
E “Vincenzo Bum…bum, bum, bum!”, più e più volte ripetuto, provocava roboanti quanto inutili reazioni.
Senza sosta Vincenzo, detto Bum, andava per le tante strade di periferia e spesso verso la campagna, portando con sé una zappetta pur sempre utile per vangare il suo piccolo lembo di terra.
Agile nell’andatura, asciutto, curvo e basco ben calzato sulla testa, alle insolenze dei ragazzi e dei nullafacenti con irruenza egli rispondeva difendendo così la propria condizione.
E così Vincenzo Bum, mite e solitario vagabondo, passò il tempo della sua vita, guadagnandosi, per merito e con diritto, un posto di riguardo nella storia popolare.
“E chi può sapere”, argomenta tre sé la nostra cara Antonia, “ se, nella sua semplicità, egli non avesse fatto del buon senso la sua virtù più grande, comprendendo bene che dalla sorte si può prendere solo quello che è stato destinato”.
Percorrendo le strade di periferia vendeva la sua mercanzia Ciccillo, detto però Labietola dal nome dell’ortaggio meglio pubblicizzato.
Voce atona ma cadenzata, annunciava il suo atteso passaggio quotidiano con un suono che così faceva: “Lajai’t’, eh, lajai’t’!” e che, diffondendosi lentamente nell’aria ovattata e quieta, echeggiava in cupe e lontane imitazioni.
Scavato in volto, curvo per la fatica e coppola sulla testa, Ciccillo tirava per la cavezza il suo somaro che, trainando un carretto a pari sgangherato, si lasciava da lui condurre, ormai rassegnato.
E proponendo cicoria, rape e bietola, verdura assai priva di controindicazioni pur se spesso avvizzita da natural calura, egli, ortolano di razza e mite dentro il cuore, flemmaticamente si portava per le consuete strade e, stando all’animo suo senza pretese, pareva del tutto soddisfatto del vecchio e paziente somaro che al meglio si prestava per fargli ancor sbarcare il suo antico e placido lunario.
Il 1° bozzetto è già stato pubblicato su questo sito con il titolo "Sua Altezza Eccellentissima".